WEST SIDE STORY AL TEATRO LIRICO DI CAGLIARI. UN ESEMPIO ECCELLENTE DI STRATIFICAZIONE DI GENERI MUSICALI

WEST SIDE STORY AL TEATRO LIRICO DI CAGLIARI. UN ESEMPIO ECCELLENTE DI STRATIFICAZIONE DI GENERI MUSICALI

Milano, 17 gennaio 2023. Di Luca Cerchiari, Musicologo e Critico Musicale.

Al Teatro Lirico di Cagliari, giovedì 15 dicembre, in scena la prima del musical in due atti WEST SIDE STORY.

Accolto da applausi e ovazioni del pubblico, lo spettacolo, ultimo titolo della Stagione lirica 2022 del prestigioso teatro  è andato in scena fino al 23 dicembre.

Il prof. Luca Cerchiari ha contribuito alla presentazione, con un suo saggio del quale riportiamo la parte che era entrata nel cuore dell'opera. [N.D.R.]

Il processo di stratificazione e coesistenza di generi e stili musicali riguarda naturalmente anche West Side Story e la figura del suo compositore, Leonard Bernstein.

Nella sua musica come nella sua longeva e brillante carriera di interprete e divulgatore di musica, Bernstein rivela un approccio simile a quello onnivoro di George Gershwin; entrambi, non a caso, provengono dal versante ebraico della società nordamericana.

Ma al di là di questo, Gershwin e Bernstein condividono un approccio complessivo ai generi musicali che differenzia concettualmente e operativamente l’approccio americano da quello europeo, più portato alla distinzione e gerarchizzazione tra generi, forse anche come inconscio retaggio di una visione classista e razzista della società e della cultura.

Come è difficile comprendere appieno il senso del grande contributo di Gershwin al Novecento musicale separando rigidamente il suo apporto alla canzone da quello a composizioni per grande forma o a musiche per il teatro e il cinema, così è arduo cogliere il senso dell’operato compositivo di Bernstein, in West Side Story come in altre pièces di teatro musicale, limitandosi a focalizzarne le radici colte.

Certo, diversamente da Gershwin (che ha avuto numerosi insegnanti privati), Bernstein, bostoniano a New York, proviene da un cursus honorum di studi classici in prestigiose istituzioni, allievo tra l’altro di Walter Piston e di Serge Koussevitzky.

Ma entrambi hanno assimilato e qui l’immagine prismatica della cultura newyorkese diventa il comun denominatore fondamentale,  il respiro dei generi diversi e complementari rispetto alla tradizione eurocolta, reso possibile e alimentato dalla stessa struttura urbanistica della città, dalla sua variegata toponomastica culturale, dalla prossimità fra le comunità wasp, afro-americana, ebraica, latino-americana.

Come Gershwin, padre assieme a Irving Berlin, Jerome Kern, Cole Porter e altri della musical comedy teatrale, Bernstein viene un po’ anch’egli dal musical.

Lo ha praticato soprattutto in due spettacoli (un terzo è Candide, del 1956), On the Town (1944) e Wonderful Town (1953), capaci di concorrere sostanzialmente alla trasformazione in atto nel musical del dopoguerra, definito “integrato” perché esito di un più ampio apporto di diversi autori, e caratterizzato, nei contenuti musicali e coreutici, da un ritorno sensibile della componente europea.

Al compositore e al paroliere, un tempo unici e incontrastati titolari del genere, si affiancano ora nel musical il coreografo e il regista (in On the Town, poi divenuto anche un film di successo con Frank Sinatra e Gene Kelly, Bernstein prosegue la collaborazione col ballerino-coreografo Jerome Robbins iniziata col balletto Fancy Free, e inizia quella con la brillante coppia di giovani autori teatrali Adolph Green e Betty Comden).

Come il titolo suggerisce, si tratta di due omaggi alla città di New York.

Analogamente a Gershwin, Bernstein ascolta anche il jazz, e se ne fa anzi promotore, divulgativamente, nei programmi di successo che presenta alla televisione (Omnibus, in particolare, in onda sull’emittente della Ford Foundation) a partire dalla metà degli anni Cinquanta, introducendo tra l’altro al grande pubblico la figura di Louis Armstrong.

Essendo il conflitto tra giovani newyorkesi e portoricani il fulcro della vicenda di West Side Story, anche la musica popolare di quest’isola caraibica. 

Tornando in tema di rapporti fra generi musicali, Bernestein realizza in questa occasione un complesso patchwork nel quale la forma-canzone di Broadway, alcuni elementi del jazz moderno, la musica contemporanea d’avanguardia euroamericana e appunto quella portoricana per strumenti a percussione si intrecciano e mescolano sul filo rosso di una serrata narrazione sonora e ritmica, come nei procedenti musical sentito omaggio allo spirito e al ritmo della metropoli.

Col musical integrato, e quindi anche con West Side Story, le categorie tradizionali di genere che identificano il musical stanno in realtà venendo meno.

Certo, è vero, West Side Story si basa anche su canzoni di notevole riuscita e impatto emotivo (le liriche, come sappiamo, sono quelle di un esordiente Stephen Sondheim, emulo e protetto del celebre Oscar Hammerstein II, e futura stella – soprattutto come compositore – dell’epoca contemporanea del genere).

Tuttavia qui è la struttura della commedia a venir meno, aprendo le porte del musical alla tragedia, o a temi diversi rispetto alla classica scelta tematica della storia sentimentale a lieto fine, magari segnata dalla frivola incertezza del triangolo amoroso (che risale, come fonte, agli intrecci tipici dell’operetta viennese e della commedia teatrale europea).

Con Bernstein, per la prima volta, la musica contemporanea colta euro-americana entra a far parte essenziale del contenuto sonoro di un musical.

E d’altra parte con Bernstein il ruolo del musicista sembra più latamente riallacciarsi alle fonti e prassi europee del genere, identificabili nell’operetta francese e austriaca, nell’opera comica e nella commedia inglese.

Come Jacques Offenbach, come Arthur Sullivan o come Johann Strauss jr., o come anche i compositori d’opera, Bernstein fa tutto da solo, non ricorre ad altre figure musicali.

Per quanto riuscite siano le canzoni che ha scritto egli stesso per West Side Story, Bernstein non è un songwriter, ma un compositore specializzato nella grande forma, nella scrittura orchestrale.

Diversamente rispetto al musical tradizionale e classico, Bernstein fa uso di generi musicali diversi (una sorta di neoclassicismo stravinskijano, la musica portoricana a percussione, e in genere ispano-americana, il jazz moderno) individuandone un comun denominatore in un linguaggio accessibile al grande pubblico e tuttavia sviluppato a partire da moduli espressivi tutt’altro che semplici, come i poliritmi, le melodie e le armonie dissonanti, e addirittura una sorta di leitmotiv caratterizzato dall’uso ricorrente di una nota più un tritono (intervallo tipico anche dello stile bebop del jazz moderno, nel quale viene denominato flatted fifth) e da un motivo di tre note che si presenta nelle sue varie possibili combinazioni 1-2-3, 3-2-1, 1-3-2, 3-1-2, 2-3-1, 2-1-3.

Per quanto apparentemente l’esito di una scelta a tavolino, di una programmazione razionale e numerologica della struttura melodica e compositiva, questa invenzione bernsteiniana, diversamente coniugata attraverso i citati generi musicali e i loro più tipici strumenti musicali, risulta particolarmente efficace nel cogliere il senso di alienazione sociale e di tensione e violenza giovanile che permea la vicenda narrativa di West Side Story, ma anche nel sottolineare a livello sonoro le architetture coreografiche sempre più complesse concepite per l’occasione da Jerome Robbins, che non a caso, e correttamente, in quest’opera di teatro musicale avoca a sé anche la funzione registica, o co-registica, orientando così le sorti del musical ‒ com’è accaduto dopo West Side Story ‒ alla sua assunzione nel più ampio novero del teatro musicale contemporaneo.

La centralità del ruolo assunto da Robbins in West Side Story (testimoniata dalla pubblicità della prima teatrale newyorkese del 1957 al Winter Garden Theatre, nella quale il suo nome figura due volte, come ‘inventore concettuale’ dello spettacolo, e come direttore delle coreografie) finisce col determinare in parte anche le scelte compositive, e di genere, di Leonard Bernstein.

In West Side Story Robbins, allontanandosi dalle opzioni e dalle indicazioni programmatiche della sua maestra, la coreografa Agnes de Mille, utilizza per le coreografie di questo musical non tanto lo stile del balletto classico-contemporaneo europeo, adattato al contesto statunitense, ma l’idioma tipicamente americano rappresentato dalle danze etniche e da quelle tipicamente jazzistiche.

Da qui anche, come detto, pur nell’ambito di una cornice orchestrale contemporanea di gusto colto euro-americano, le scelte musicali e di genere di Bernstein, volte appunto a documentare il versante etnico-popolare da un lato e quello tipicamente jazzistico, pur con i limiti di competenza jazzistica che vanno ascritti a Bernstein, e in parte al suo celebre predecessore George Gershwin, inerenti i parametri timbrici e la dimensione dell’estemporaneità espressiva.