Vi spiego perchè la Tobin Tax non funzionerà

Considerato che i costi della grande crisi finanziaria si sono sostanzialmente riversati sulla collettività, è comprensibile che i governi dei paesi interessati si siano ivolti al settore finanziario come possibile fonte di gettito fiscale allo scopo di finanziare il debito pubblico.

L’idea di applicare una “Tobin Tax” (dal nome del Premio Nobel che ha inventato una tassa sulle transazioni come mezzo per penalizzare le speculazioni valutarie a breve termine), ha suscitato grande interesse. Le imposte sulle transazioni finanziarie hanno seguito un percorso accidentato: le formule che sono riuscite a produrre un introito sono state tendenzialmente circoscritte, con le relative distorsioni, e hanno gravato sugli investitori più che sugli speculatori. Tuttavia, recentemente in Francia e in Italia è stata introdotta un’imposta sulle transazioni finanziarie. Assai più ambiziosa, e ancor più controversa, è la proposta della Commissione Europea a cui hanno aderito 11 dei 27 stati membri. La proposta si propone di “garantire che gli istituti finanziari diano un contributo equo e sostanzioso al costo della crisi” e nello stesso tempo di “disincentivare le operazioni che non migliorano l’efficienza dei mercati finanziari”. Sfortunatamente gli obiettivi della tassazione sulle transazioni finanziarie europea non ci sembrano realizzabili. I problemi partono dall’incompatibilità tra i due obiettivi principali. Se la tassa agisse da deterrente nei confronti delle negoziazioni “non desiderabili”, per definizione il gettito di 30-35 miliardi di Euro previsto dalla Commissione Europea proverrebbe da operazioni che favoriscono un incremento dell’efficienza del mercato. A parte l’evidente incongruenza, oltre alla domanda su quale dei due obiettivi dovrebbe avere la precedenza, riteniamo che ci siano almeno quattro ragioni per cui l’imposta sulle transazioni finanziarie non avrà successo. Primo, questa forma di tassazione non sembra in grado di operare una distinzione tra le operazioni opportune e quelle inopportune. Sulla carta l’imposta dovrebbe scoraggiare le attività a basso margine o a basso rendimento, ma potrebbe rendere difficili anche gli investimenti sul mercato secondario in prodotti a basso rischio e a basso rendimento. Una minore liquidità nel mercato secondario incrementerebbe il costo del capitale per gli emittenti, una caratteristica sgradita alle imprese che operano sul mercato globale. Secondariamente, la presunta correlazione tra il turnover nelle negoziazioni di un investimento e la sua desiderabilità tradisce una preferenza per gli investimenti passivi rispetto a quelli attivi. A nostro giudizio è un errore. L’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è una politica che promuove un approccio di investimento più ciclico. Terzo, dopo la sua introduzione, il gettito derivante dall’imposta sulle transazioni finanziarie ridurrà gli introiti fiscali derivanti da altri ambiti. Nella sua valutazione dell’impatto della nuova imposta, la Commissione Europea riconosce che la tassazione sulle transazioni finanziarie avrebbe “effetti contenuti ma non trascurabili sul Pil e sull’occupazione, con effetti negativi probabilmente più consistenti”. Quarto, nonché l’aspetto più importante, la fonte principale di reddito derivante dalla tassazione saranno in ultima analisi i singoli investitori e chi risparmia in vista della pensione, come avviene per altre imposte analoghe. Sono le stesse persone che vedono ricompensata la propria prudenza con tassi di interesse tenuti bassi artificialmente e rendimenti dei titoli di stato tra bassi e negativi. Per evitare che l’imposta sulle transazioni finanziarie venga aggirata dai singoli stati, la proposta della Commissione Europea introduce un elemento di extraterritorialità che precedentemente apparteneva solo agli Stati Uniti. I paesi al di fuori dell’area di applicazione della tassazione sulle transazioni finanziarie non sono affatto contenti, come il Regno Unito che di recente ha presentato un’istanza legale. Nonostante la complessità della tassazione, o forse proprio per questo motivo, la proposta lascia aperte molte questioni sulle modalità di calcolo, riscossione e ridistribuzione. L’aspetto peggiore è che questa imposta contrasta con uno dei principali insegnamenti della crisi finanziaria, ovvero che dobbiamo dare più trasparenza a mercati, prodotti e strutture. In breve, la tassa proposta è uno strumento troppo debole per poter ottenere gli obiettivi che si prefigge e rischia inoltre di provocare danni collaterali molto gravi all’economia globale. La tassazione deve rientrare in un discorso di riduzione del debito pubblico. Comunque, è importante che chi di noi rappresenta risparmiatori e investitori si opponga alla proposta.

Scritto da Elizabet Corley, CEO di AllianzGI

``