Una riflessione a margine dell`8 Marzo...
Due anni e mezzo fa, mi ritenevo fieramente anti-femminista. L`unico femminismo che conoscevo e vedevo in Italia era quello del girl power e tacchi a spillo, aggressivo e rancoroso, che essenzializza la differenza di genere, snobba il maschio, esaspera la (presunta) femminilità della donna, esalta l`assoluta indipendenza delle donne (`non abbiamo bisogno di loro`) e ti insulta se 1) fai trovare la cena pronta al tuo ragazzo quando torna dal lavoro, perché allora sei oppressa 2) ti vesti coi magliettoni larghi, perché se ti copri sei oppressa (come le oppressissime donne musulmane).
Poi ho scoperto che oh, quanto mi sbagliavo. Esistono anche altri femminismi: la desessualizzazione della donna e dei rapporti di genere, perché sei una persona prima di essere una donna, e così vuoi essere vista - una persona. Basato sull`uguaglianza e l`equalità anziché la differenza e il confronto. Un`alleanza tra donne e uomini per una società più giusta, perché `women`s rights` sono `human rights`. Tantissimi gli studiosi africani maschi (e donne, insieme) che si occupano di gender studies. Tantissimi gli attivisti maschi (e donne, insieme) che lottano per gender equality: per una mascolinità e femminilità più serene. Perché anche la mascolinità, talvolta, è difficile e problematica, e c`è da cambiare pure quella insieme.
E poi ci sono femministe come la mamma della mia amica somala, velatissima e musulmanissima, che negli anni `50 faceva campagna per le quote rosa nel parlamento somalo, quando in Italia le donne votavano a malapena da un decennio. E che per questo poi è stata uccisa.
E la studentessa norvegese che in un saggio dà per scontato che `la gender awareness è fondamentale in ogni democrazia, ed infatti ogni alunno occidentale studia la storia del femminismo a scuola`. Mia cara, se solo sapessi che in Italia `femminismo` in realtà è ancora una parolaccia. C`è tanto lavoro da fare, Italia, a long way to go.
A cura di Sara Marzagora, docente presso la SOAS, University of London