TERZO MANDATO
Trento, 17 febbraio 2024. Di Paolo Rosa, a vvocato.
Fratelli d’Italia e il Partito Democratico sono sulle barricate perché la Lega, ma non solo la Lega, ha presentato un emendamento al decreto legge elettorale per aprire le porte al terzo mandato per i Sindaci di città con più di 15 mila abitanti e per i Governatori.
È un tema che interessa poco al cittadino che vorrebbe invece che la politica si occupasse, funditus, dei temi del salario, della sanità, della scuola, della sicurezza, mentre i bontemponi della politica si avvitano in un corto circuito democratico.
La risposta all’emendamento della Lega l’ha già data la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 60 del 07.03.2023, quando ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 1 e 3 della legge della Regione Sardegna 11.04.2022, n. 9 che elevava il numero massimo di mandati dei sindaci, in difformità rispetto al T.U. enti locali.
La Corte Costituzionale ha così motivato sul punto della proroga dei mandati:
«7.1– Il legislatore statale ha per la prima volta introdotto un limite al numero dei mandati consecutivi dei sindaci (e dei presidenti delle province) con l’art. 2 della legge 25 marzo 1993, n. 81 (Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale).
Dopo avere stabilito, al comma 1, che «[i]l sindaco e il consiglio comunale, il della provincia non è, allo scadere del secondo mandato, immediatamente rieleggibile alle medesime cariche».
Successivamente, l’art. 51 TUEL innalzando a cinque anni la durata del mandato del sindaco, del Consiglio comunale, del presidente della provincia e del Consiglio provinciale (comma 1) – ha ribadito la regola del divieto del terzo mandato consecutivo (comma 2), ammettendolo, tuttavia, «se uno dei due mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie» (comma 3).
L’art 1, comma 138, della legge n. 56 del 2014 ha poi previsto che «[a]i comuni con popolazione fino a 3.000 abitanti non si applicano le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell’articolo 51 del testo unico; ai sindaci dei medesimi comuni è comunque consentito un numero massimo di tre mandati».
Dopo che, negli anni successivi, diversi disegni di legge volti alla modifica dell’art. 51 TUEL non erano stati portati a compimento, nel 2018 (nel corso della XVIII legislatura) veniva presentata alla Camera dei deputati una proposta di legge, avente ad oggetto «Modifiche al testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, e altre disposizioni in materia di status e funzioni degli amministratori locali, di semplificazione dell’attività amministrativa e di finanza locale» (A.C. n. 1356), a cui, in fase di esame, venivano abbinate ulteriori proposte di legge.
Nella versione originaria, questo progetto di legge prevedeva la possibilità di un terzo mandato consecutivo per i sindaci dei comuni con popolazione da cinquemila a quindicimila abitanti, e nessun limite per i sindaci dei comuni al di sotto dei cinquemila.
Nel corso dei lavori parlamentari, tuttavia, una serie di emendamenti modificava alquanto il testo originario del progetto, diminuendone significativamente la portata ampliativa. Così modificato, il testo veniva approvato definitivamente dal Senato della Repubblica il 5 aprile 2022, divenendo legge n. 35 del 2022.
Quest’ultima, per quanto qui rileva, all’art. 3, rubricato «Disposizioni concernenti la limitazione del mandato dei sindaci nei comuni di minori dimensioni», ha modificato il comma 2 dell’art. 51 TUEL (comma 1) e ha abrogato il comma 138 dell’art. 1 della legge n. 56 del 2014 (comma 2).
A seguito di tali modifiche, la nuova formulazione dell’art. 51, comma 2, TUEL prevede, a decorrere dal 14 maggio 2022, il limite di tre mandati consecutivi per i sindaci dei comuni con popolazione inferiore a cinquemila abitanti e il limite di due per gli altri (ferma restando per quest’ultimi, ai sensi del comma 3, la possibilità di un terzo mandato consecutivo se uno dei due mandati precedenti ha avuto durata inferiore a due anni, sei mesi e un giorno, per causa diversa dalle dimissioni volontarie).
Il vigente art. 51, comma 2, TUEL, inoltre, qualifica il pregresso svolgimento dei (due o tre) mandati consecutivi non più come causa di ineleggibilità, ma come causa di “incandidabilità”, con la conseguenza che essa è rilevabile prima dello svolgimento delle elezioni ad opera della commissione elettorale.
7.2. È comunemente riconosciuto che il limite ai mandati consecutivi dei sindaci (e dei presidenti di provincia), introdotto con la legge n. 81 del 1993, è stato pensato quale temperamento “di sistema” rispetto alla contestuale introduzione della loro elezione diretta (Corte di cassazione, sezione prima civile, ordinanza 24 febbraio 2021, n. 5060, nonché sentenze, 4 dicembre 2012, n. 21685, 5 giugno 2007, n. 13181, e 3 agosto 2002, n. 11661). In effetti, la previsione di un tale limite si presenta quale «punto di equilibrio tra il modello dell’elezione diretta dell’esecutivo e la concentrazione del potere in capo a una sola persona che ne deriva»: sistema che può produrre «effetti negativi anche sulla par condicio delle elezioni successive, suscettibili di essere alterate da rendite di posizione» (Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 9 giugno 2008, n. 2765).
Ciò appare vero «soprattutto nei livelli di governo locale, data la prossimità tra l’eletto e la comunità, onde il rischio di una sorta di regime da parte del primo in caso di successione reiterata nelle funzioni di governo nell’ambito di quest’ultima» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 29 marzo 2013, n. 7949; in termini, Consiglio di Stato, sezione prima, parere 1° febbraio 2016, n. 179).
In generale, come afferma la giurisprudenza di legittimità (in relazione al divieto del terzo mandato consecutivo per i comuni con popolazione non inferiore a cinquemila abitanti), il limite in parola ha lo scopo di tutelare «il diritto di voto dei cittadini, che viene in questo modo garantito nella sua libertà, e l’imparzialità dell’amministrazione, impedendo la permanenza per periodi troppo lunghi nell’esercizio del potere di gestione degli enti locali, che possono dar luogo ad anomale espressioni di clientelismo» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 26 marzo 2015, n. 6128; in termini, sezione prima civile, sentenza 6 dicembre 2007, n. 25497); serve a «favorire il ricambio ai vertici dell’amministrazione locale ed evitare la soggettivizzazione dell’uso del potere dell’amministratore locale» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenze 12 febbraio 2008, n. 3383, e 20 maggio 2006, n. 11895), o, ancora, a «evitare fenomeni di sclerotizzazione della situazione politico amministrativa locale» (Corte di cassazione, sezione prima civile, sentenza 9 ottobre 2007, n. 21100).
8. Attraverso l’art. 51, comma 2, TUEL, il legislatore statale ha ritenuto di introdurre una limitazione al diritto di elettorato passivo giustificata dal concorrere di ulteriori interessi, tutti parimenti meritevoli di considerazione.
La previsione del numero massimo dei mandati consecutivi – in stretta connessione con l’elezione diretta dell’organo di vertice dell’ente locale, a cui fa da ponderato contraltare – riflette infatti una scelta normativa idonea a inverare e garantire ulteriori fondamentali diritti e principi costituzionali: l’effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticità degli enti locali.
Tali ulteriori interessi costituzionali sono destinati ad operare in armonia con il principio presidiato dall’art. 51 Cost., in base ad uno specifico punto di equilibrio la cui individuazione deve essere lasciata nelle mani del legislatore statale.
D’altronde, è proprio l’art. 51 Cost. – nel dare compiuta declinazione all’art. 3 Cost., e dunque sancendo il principio di uguaglianza nell’accesso alle cariche elettive – a reclamare una regolamentazione unitaria su tutto il territorio nazionale. Ed è il legislatore statale a trovarsi nelle migliori condizioni per stabilire i contorni di tale regolamentazione, e per apprezzare, sempre unitariamente, eventuali esigenze che suggeriscano di modificare il punto di equilibrio raggiunto, come del resto ha fatto anche di recente, aumentando, per i comuni con popolazione inferiore a cinquemila abitanti, il numero dei mandati consecutivi consentiti.
Per quanto possa risultare ovvio, non si deve inoltre trascurare che la scelta compiuta dal legislatore nazionale nel fissare il numero massimo in questione va apprezzata nella sua complessiva declinazione temporale, attualmente articolata su mandati quinquennali: di talché, il limite temporale di permanenza in carica di un sindaco (o di un presidente di provincia) si ricava dal numero dei mandati consecutivi consentiti, moltiplicato per la durata di ciascun mandato. Questo evidenzia come l’alterazione del punto di equilibrio stabilito a livello statale, pur riguardando il numero dei mandati consecutivi (di per sé solo poco espressivo), in realtà modifica ampiamente il periodo della possibile, ininterrotta, durata in carica del sindaco (o presidente di provincia), ingenerando scostamenti quantitativi di notevole rilievo».
In buona sostanza il limite in parola ha lo scopo di tutelare «il diritto di voto dei cittadini, che viene in questo modo garantito nella sua libertà, e l’imparzialità dell’amministrazione, impedendo la permanenza per periodi troppo lunghi nell’esercizio del potere di gestione degli enti locali, che possono dar luogo ad anomale espressioni di clientelismo».
Anche il Legislatore nazionale non potrà legiferare in violazione di questi principi di democrazia.
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