Tassi e Stimoli: Come Navigare la Tempesta dei Mercati

Tassi e Stimoli: Come Navigare la Tempesta dei Mercati

Milano, 11 marzo 2025. A cura del team di gestione di Pharus.

La settimana appena trascorsa si è caratterizzata da volatilità sui mercati, ed ha offerto un mix di eventi finanziari e macroeconomici con impatti significativi sulle dinamiche di mercato.

In teoria, i mercati dovrebbero muoversi seguendo i fondamentali ovvero crescita economica, utili aziendali, politica monetaria. In pratica, sono giornate in cui la logica viene messa da parte e a dominare la scena è il sentiment degli investitori e la loro emotività, pilotata in particolare dalle dichiarazioni di Trump e del neocancelliere tedesco. 

In questa fase di mercato ciò che guida non è il valore reale di un’azienda, ma le aspettative che gli investitori si creano incorporando in tempo zero le diverse e contrastanti dichiarazioni dei politici nel brevissimo termine. È il mercato dove le analisi fondamentali valgono meno di un post sui social e serve per questo grande razionalità. I mercati azionari globali chiudono così la settimana in calo di circa 1%, con Cina ed Europa che continuano la sovraperformance, ma i veri scossoni arrivano dal mondo obbligazionario governativo in particolare europeo. 

Vediamo nel dettaglio cosa sta succedendo.

La Banca Centrale Europea, perfettamente in linea alle attese, ha deciso di tagliare i tassi di 25 punti base, portando il tasso sui depositi al 2,50%, si tratta della sesta riduzione da giugno scorso. Tuttavia, il comunicato della BCE è stato più cauto del previsto. sottolineando che i tassi ora sono diventati “significativamente meno restrittivi”, pur ribadendo un approccio dipendente dai dati. Inoltre, si è evidenziata una marcata crescita dell’incertezza, suggerendo che le prossime decisioni di politica monetaria saranno strettamente legate all’evoluzione del quadro macroeconomico. 

Se la BCE è stata prudente, la vera svolta è arrivata dalla Germania. Il nuovo cancelliere designato Merz ha annunciato una rivoluzione fiscale senza precedenti, infrangendo il tradizionale rigore di bilancio tedesco e ponendo le basi per un cambio di paradigma nell’Unione Europea, annunciando un piano di stimoli fiscali di proporzioni storiche, in quello che il mercato ha già ribattezzato come un “whatever it takes” o “bazooka fiscale tedesco”.
Il piano prevede 500 miliardi di euro di investimenti in infrastrutture nei prossimi dieci anni (1,2% del PIL annuo) ed un aumento della spesa per la difesa, con un budget di 800 miliardi che verrebbe escluso dai vincoli del freno al debito.
Il tutto insieme ad allentamento dei vincoli fiscali per Stati e comuni per favorire la crescita. Anche la Cina ha annunciato l'intenzione di portare il deficit di bilancio a 4% del GDP per stimolare la sua economia, attesa in crescita anche per quest’anno del 5%.

Tutte politiche fiscali espansive finanziate a debito.

Ancora una volta un esempio di come le narrative cambiano velocemente sui mercati, solo fino a qualche settimana fa ci si aspettava che le politiche fiscali più espansive venissero dagli Stati Uniti che hanno invece, per ora, messo in campo soprattutto politiche di taglio alla spesa e Questo si è riflesso in un andamento divergente dei rendimenti dei titoli di stato (in calo negli USA e in aumento in Europa) esattamente il contrario di quello che il consenso di mercato si attendeva.

Le reazioni dei mercati sono state immediate e violente con gli equity europei che festeggiano quello che dovrebbe essere uno dei piani capex più imponenti mai annunciati, ed invece Il rendimento del Bund decennale schizzato di 30 punti base, una variazione giornaliera che non si vedeva dal 1990, tutto sui timori di creazione di nuovo debito.

Queste dinamiche si sono riversate anche sull’euro che ha guadagnato terreno, arrivando a superare 1,08 sul dollaro, segno che gli investitori vedono in questa mossa una potenziale svolta per la crescita europea.

Dall’altra parte dell’Atlantico, l’incertezza è dominante. Il mercato del lavoro mostra segnali di indebolimento: l’ADP ha registrato un brusco rallentamento delle assunzioni, suggerendo che l’economia americana potrebbe entrare in una fase di raffreddamento. I dati sui Nonfarm Payrolls di febbraio sono stati invece in linea con le aspettative, mentre il tasso di disoccupazione ha registrato un leggero aumento, segnalando un mercato del lavoro in fase di stabilizzazione dopo un periodo di crescita sostenuta. 

Torna anche a parlare Powel, intervenuto con un discorso a New York mantenendo toni rassicuranti e ottimistici, in netto contrasto con il sentiment incerto degli investitori. Tuttavia, non ha fornito indicazioni concrete sulle prossime mosse della Fed, lasciando il mercato in attesa di segnali più chiari sulla futura politica monetaria.

Gli analisti di Wall Street iniziano a considerare uno scenario in cui l’amministrazione Trump potrebbe deliberatamente spingere verso una recessione controllata per favorire il rientro dell’inflazione e ottenere un taglio dei tassi più aggressivo da parte della Fed.

Si parla sempre più di tariffe e dei loro effetti ed il termine tariffe viene utilizzato molte volte durante le conference call delle società con gli analisti nel commento ai risultati trimestrali.

Warren Buffett ha recentemente paragonato le tariffe imposte dagli Stati Uniti a una vera e propria "tassa" sui consumatori americani.

Il punto di Buffett è semplice ma incisivo: quando il governo impone dazi sulle importazioni, il costo non ricade sulle aziende straniere, ma viene trasferito direttamente sui consumatori sotto forma di prezzi più alti.

Questo significa che, anziché colpire le economie estere, le tariffe finiscono per pesare sul portafoglio degli americani, rendendo beni e servizi più costosi, portando inflazione e rallentando consumi e crescita economica. Il Treasury decennale è salito al 4,32%, segnale che il mercato sta prezzando una maggiore incertezza sulla politica monetaria. L’S&P 500 e il Nasdaq hanno vissuto giornate di forte volatilità, con movimenti superiori all’1% per cinque giorni consecutivi ed il nasdaq sotto la media mobile a 200 giorni. 

La buona notizia è che diversi Indicatori di sentiment sono già oggi sui minimi raggiunti precedentemente solo nel bear market del 2022, a fronte di indici azionari in correzione marginale inferiore al 10% dai massimi. 

Un sentiment così negativo statisticamente è accompagnato da risalite o rimbalzi del mercato quindi può essere visto positivamente in ottica contrarian.

D’altronde fino a questo momento la correzione dei mercati è più che salutare. La cosa davvero importante è che il quadro sul ciclo di crescita di utili non cambi. Abbiamo commentato varie volte nelle settimane precedenti come le stime fossero un po' troppo elevate e soprattutto le valutazioni americane al di fuori di ogni media valutativa.

Le cause delle correzioni sono sempre diverse, ma quando le valutazioni sono elevate dobbiamo essere pronti ad un ritracciamento salutare che le riporti a livelli più ragionevoli.

Quando sui mercati si crea questa volatilità è importante sapersi isolare dal rumore di breve periodo e capire le vere dinamiche sottostanti al mercato.

Se la correzione è guidata da un potenziale cambiamento strutturale nel ciclo degli utili allora potrebbe essere l’inizio di un mercato ribassista, e per esperienza tutti i mercati ribassisti nascono in questo modo.

Se invece, come sembra ad oggi, la correzione è più legata ad una sorte di normalizzazione del multiplo e ridimensionamento di elevate aspettative di crescita, i ribassi possono diventare opportunità di acquisto, consapevoli che le valutazioni si trovano ancora intorno alle 21 volte di PE rispetto alla media di 19 degli ultimi 10 anni.