Sogno un altro giornalismo finanziario…
E’ da circa 3 anni che bazzico nel mondo del giornalismo finanziario italiano. Una volta laureato in Economia dei Mercati Finanziari prima e Amministrazione Finanza e Controllo dopo, presso la Bocconi, dopo una breve esperienza come revisore presso la Deloitte mi sono detto “La finanza in presa diretta non fa per me”.
Troppa competizione, troppi volti incazzati, troppi pallosissimi cravattoni che non hanno altro da parlare se non di lavoro. Insomma una noia mortale. E così, rinunciando coscientemente alle tipiche ambizioni monetarie da yuppies (proprie del 90% degli studenti bocconiani, gli stessi che fanno a gara nell’entrare nelle grazie del docente di turno. Forse per questo non ho quasi mai frequentato), che fanno del noiosissimo (per lo meno per me) settore finanziario il più ambìto a livello lavorativo, mi sono ritrovato con molte idee in testa e una laurea che non mi apparteneva fino in fondo. Per fortuna ho avuto un’illuminazione dopo qualche mese: non gettare al vento 5 anni di nozioni faticosamente apprese, è necessario trovare un lavoro “creativo” che però possa valorizzare quanto hai nel bagaglio. E così ho deciso di fare il giornalista finanziario.
Ci sono riuscito e, a 27 anni compiuti da poco, eccomi qui come direttore responsabile di una start up. Qual è il problema? E’ che mi sono sentito ancora un pesce fuor d’acqua. In questi anni di esperienza, malgrado le mie aspettative, ho conosciuto la “rigidità” del giornalismo di settore italiano, un ambiente così poco “libero”, da farmi rimpiangere i tempi della Deloitte. Ho capito che per creare un prodotto di successo che sia apprezzato dal mercato, poco contano articoli ragionati, notizie credibili e interviste con le domande giuste: paga molto di più (in tutti i sensi) una bella foto da copertina (ricordo episodi di uffici stampa che chiamavano per richiedere una modifica della foto dell’intervistato ), l’intervista marketta allo sponsor di turno e della carta patinata con la quale relegare le notizie. Ho capito che l’obiettivo del giornalista finanziario medio consiste nel farsi leggere dai propri colleghi, nel chiamare per nome i vari capetti di turno, rincorrendo approfondimenti spesso inutili , in una gara continua all’insegna di un’onanistica autocelebrazione. Ho capito che per essere apprezzati da questo ambiente conta di più presentarsi bene, piuttosto che avere qualcosa da raccontare. Fa poco figo scrivere su un sito, fa poco figo sbattersi per montare un video, seguire anche la cronaca e riportala per quello che è; molto più comodo limitarsi all’immagine di una informazione patinata, quella da editorialisti de’ noialtri (puntualmente apprezzata dai vari direttori di turno, anche se poi il 95% dei giornalisti finanziari possiede una base accademica che poco ha a che fare con la materia di cui parla), che non si sporcano le mani, che non vogliono parlare come si mangia, ma che si nascondono dietro al paravento di un linguaggio elitario che fa molto radical chic ma che nasconde un tremendo vuoto espressivo. Un modo di operare sicuramente fruttuoso per le casse di chi lo segue: al di là degli introiti pubblicitari, non nego di avere ricevuto valanghe di regali di Natale dalle varie società da me trattate secondo questi schemi. Ma i regali, quest’anno, sono stati molti meno. Solo quelli degli amici veri, non di comodo. Forse perchè, grazie al cielo, è nato Ifanews.
Un limbo dove, un ragazzo come me, può permettersi di scrivere (a torto o ragione, non mi sento di giudicare) un articolo come questo senza paura di ritrovarsi per strada il giorno dopo. Un luogo “virtuale” dove se c’è da fare una battuta, criticare un operato, mettere una foto provocatoria, inserire un commento che va “contro”, lo si può fare. Un luogo dove, e questo mi ha in un certo senso sorpreso, degli “sponsor” istituzionali possono essere felici di apparire per la sola credibilità che il nostro quotidiano trasmette, piuttosto che per la leccata di piedi che ci si può attendere. Un sito dove a scrivere approfondimenti sono solo persone che sanno quel che dicono (la redazione si limita al riportare la cronaca, gli editorialisti sono tutti “tecnici”. La stessa differenza che c’è tra il governo attuale e quelli passati dei politicanti). Un portale dove la redazione si fa “il mazzo” per andare sul campo ad ascoltare le persone comuni (la nostra Finanza in piazza, le Voci dal social network, i sondaggi) e non si tira indietro quando c’è da fare una domanda scomoda a un potenziale inserzionista (la nostra Arena finanziaria, il Megafono del consulente, ecc). Un quotidiano che non ha paura di mostrarsi equidistante nonostante la proprietà sia legata al mondo della consulenza finanziaria (notizie su tutte le categorie professionali che interagiscono con la stessa e la presenza di articoli critici anche alla consulenza finanziaria, così come nessuna censura nei confronti delle diverse associazioni di categoria). Certo, è una battaglia molto dura, sebbene il numeroso parco di lettori ci carichi di fiducia. I mezzi sono “spartani” e l’entusiasmo non sempre basta quando ci si scontra con il muro rigido di tradizione che vuole rimanere tale. Ma noi vogliamo lottare, forse un po’ per pazzia (d’altra parte il nostro motto fin dalla prima newsletter è stato sempre “Stay Hungry, stay foolish”, molto prima che venisse a mancare Jobs e diventasse un motto generazionale, in questo siamo stati tra i precursori della valorizzazione del suo celebre discorso universitario) incoscienti del destino che ci potrà attendere. Ma con la forza di chi, pur nel suo limitato e piccolissimo ambito operativo, prova in tutti i modi a creare un mondo migliore.
PS Se dopo questo pezzo ritroverete una home page priva di sponsor, saprete il perché.
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