Salvare l’Italia per salvare l’Euro

Abbiamo raccolto la testimonianza di Tito Boeri, professore di Economia del lavoro presso l`Università Bocconi e Direttore della Fondazione R. DeBenedetti, sul momento difficile che sta attraversando il nostro Paese per capire quali possono essere i possibili scenari futuri.

Boeri inizia la sua analisi in modo ‘scherzoso’, prendendo come spunto il film ‘Too big to fail’ del 2008, realizzato nell`immediato post-Lehman, e chiedendosi se oggi non sarebbe il caso di girarne un sequel - o un remake - vista la situazione creatasi dalla quale si fatica ad uscire. 
Il professore evidenzia infatti le non poche analogie tra le due crisi, a cominciare dai persistenti squilibri globali, con le economie emergenti in forte crescita, e dalla domanda crescente di asset sicuri sui quali puntare. Il crollo repentino delle certezze e la ‘frenata’ della banche sul credito sono inoltre elementi da non dimenticare. Significativo è anche il fatto che le crisi sono nate al di fuori dei mercati finanziari (a causa dei debiti statali o dei mercati immobiliari) per poi propagarsi all`interno di questi ultimi, terreno nelle quali sono state/dovranno poi essere risolte. Senza contare infine il ruolo cruciale delle aspettative, che ha portato ad un crollo della domanda.
Posta questa dovuta premessa, Boeri ha preso spunto da un’altra ‘storica’ crisi, quella del 1929, per confrontare la risposta politica di allora con quella che si sta dando oggi. Nel primo caso sono state innanzitutto realizzate forti politiche fiscali anticicliche, con interventi volti al salvataggio delle banche, passando da debito privato a debito pubblico. Poi si è passato a politiche monetarie espansive, con grandi iniezioni di liquidità e abbassamento dei tassi di interesse. La situazione attuale al contrario non può prevedere politiche fiscali anticicliche, senza contare i problemi di coordinamento tra i vari Stati che compongono la UE. Bisogna inoltre fare i conti con la paura per il ‘moral hazard’, con la lenta reazione avuta al momento dei primi focolai di crisi e con gli effetti recessivi causati da politiche di ‘aggiustamento fiscale’ eccessive. In pratica le politiche monetarie attuali non fanno i conti con le aspettative dei risparmiatori: sono aumentati sia i tassi di interesse che gli acquisti di Titoli di Stato, ma si continua a predicare l’opposto. La UE dovrebbe invece rassicurare...
In definitiva, si può evitare un nuovo 1933 (anno in cui ci furono si segnali di uscita dalla crisi, ma anno che segnò soprattutto la caduta del dollaro e la fine dei tentativi di collaborazione internazionale) questa volta? Boeri evidenzia come gli squilibri ci siano ancora, così come la domanda globale per asset meno rischiosi – ma in compenso c’è molta meno offerta –, mentre gli strumenti politici per evitare la depressione siano pochi. Il professore sottolinea come un ruolo centrale dovrà giocarlo la Bce, con l’Italia – ormai non più unico ‘problema’ dell’Unione – che dovrà tornare a crescere per ripianare il debito e rassicurare il resto del mondo.
“Il nostro paese ha ‘cincischiato’ per troppo tempo, ritardando così gli aggiustamenti che poi ovviamente sono arrivati sotto forma di ‘mazzata’ tutti assieme. Le politiche fiscali non sono più una soluzione, ma si deve spingere forte sulla crescita”. Boeri – dati alla mano – dimostra, se fosse ancora poco chiaro, come l’Italia cresca meno di altri (c’è addirittura un gap di 20 punti rispetto ai paesi del G4) e abbia un reddito pro-capite rimasto ai livelli del 1999. Tutto questo – unitamente ai bassi livelli di istruzione e tecnologia dovuta agli scarsi investimenti in R&S – porta a una bassa competitività, con conseguente aumento del deficit e ricadute negative sull’export.
Cosa si può fare allora se questa è la situazione? Boeri ritiene fondamentale mettere in atto le riforme a ‘costo zero’. Queste coinvolgono l’immigrazione, con un occhio particolare all’ ‘importazione’ di manodopera qualificata, la facilitazione della transizione dalla scuola al lavoro, salari minimi garantiti e revisione delle contrattazioni collettive, riforme della Pubblica Amministrazione, che non dovrebbe limitarsi a premiare il singolo individuo ma l’Ente intero e infine un `aggiustamento` degli sprechi pubblici, non tanto in riferimento agli stipendi dei parlamentari, quanto alle municipalità e alle province.
 
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