Quando l’innovazione finanziaria sa già di vecchio

Non è mai bello raccontare una delusione, ma, in questo caso, ci siamo sentiti quasi in dovere di farlo. Una esigenza che nasce dal nostro modo di raccontare e raccontarvi la finanza  lontano, per quanto non sempre risulti facile, dal giornalismo economico che sa di carta patinata, giacche stirate e sorrisi da copertina (uno modo di fare informazione che, per lo meno nel nostro paese, rappresenta la stragrande maggioranza degli attori, più interessati a tirare su qualche marketta piuttosto che a raccontare). Ma andiamo con ordine.

Quando l’innovazione finanziaria sa già di vecchio

Venerdì 10 febbraio 2011 è andato in scena alle presso l’Università Bocconi un convegno organizzato congiuntamente dalla Consob e dall’Università Bocconi, attraverso i centri di ricerca Carefin e “Paolo Baffi”, su “ Innovazione finanziaria e dinamiche dei mercati: il ruolo della Securities regulation ”. Un appuntamento al quale siamo stati presenti. L’iniziativa intendeva “contribuire al dibattito sulle potenziali fragilità che la diffusione di nuovi prodotti e le dinamiche dei mercati possono generare sul piano sistemico, anche alla luce delle scelte di portafoglio e del livello difinancial literacy degli investitori”. Senza alcun dubbio “si tratta di temi di rilievo per i securities regulators, i quali in seguito alla recente evoluzione degli assetti istituzionali della vigilanza finanziaria in ambito europeo sono chiamati al monitoraggio dei processi di innovazione finanziaria e al presidio dei rischi sistemici che essa può porre”. Tematiche che, per quanto importanti, sono rimaste impresse probabilmente solo nella memoria dei loro oratori e di qualche slide che di volta in volta li accompagnava.

Già perché le questioni trattate (tra le quali va sottolineata la riprova dell’importanza della consulenza ai fini della limitazione delle asimmetrie informative di mercato tra intermediari e clienti), per quanto approfondite con competenza e impegno da elementi di spicco del panorama professionale e accademico di riferimento (la prima sessione sui mercati secondari ha visto la presenza di Albert J.Menkveld, Ting Wang, Simone Fioravanti e Monica Gentile, la seconda sui rischi sistemici quella di Monica Billio, Mila Getmansky, Adrew Lo, Loriana Pelizzon, Mario Anolli, Elena Beccalli e Philip Molyneux, la terza sulle scelte di portafoglio quella di Fabio Bagliano, Carolina Fugazza, Giovanna Nicodano, Chiara Monticone e Riccardo Calcagno, mentre l’ultima sull’innovazione finanziaria ha avuto come protagonisti Giovanni Calice, Jing Chen, Julian Williams, Antonio Castagna, Fabio Mercurio e Paola Mosconi), sono state esposte senza essere raccontate. Come davanti a una fredda vetrina invernale si poteva osservare una sequenza di cantilene in inglese (perché, dato che lo scopo è diffondere delle conoscenze IN ITALIA, si deve sempre puntare sull’esterofilia? La risposta è semplice, perché parlare in italiano non è alla moda, non è accademico…) alla maniera delle orazioni domenicali di uno stanco parroco di provincia, una schiera di incravattati professori  intenti a celebrarsi a vicenda e scambiarsi strette di mano da “club del golf” e qualche annoiato ragazzo che prendeva appunti più per dovere accademico che per interesse, come quando si è intenti a scarabocchiare un foglio in preda alla noia. Insomma, sembrava di assistere a una di quelle pallosissime conferenze istituzionali che hanno come unico scopo quello di dire “noi esistiamo”. Un modo di porsi che, permetteteci di dire, non rende giustizia né ai temi trattati, né alla professionalità di chi li ha trattati, né tantomeno allo sforzo compiuto nel trattarli in maniera propria (sicuramente lodevolissimo). Uno sforzo che è stato vanificato dall’impossibilità di comunicazione di mondo accademico ancora troppo ancorato ai suoi clichè. Un piccolo mondo antico che vuole rimanere tale, che non vuole comunicare alle persone nulla al di fuori della sua stessa autorità.

Eppure la società, gli studenti in primis ( futuri professionisti, professori, ecc..) dovrebbero conoscere l’importanza della consulenza finanziaria, l’innovazione, se viene chiamata tale, non può essere raccontata attraverso slide bicromatiche e assunti anglofoni. Perché non raccontare tutto a braccio, magari guardando negli occhi la platea piuttosto che il pannello del proiettore? Perché non stimolarla con esempi, domande dirette, piuttosto che attendere passivamente il “question time”? Perché non organizzare il tutto in un open space senza “barriere”, piuttosto che in un’angusta aula con tanto di “piantoni” dell’accoglienza (poveri loro) all’ingresso? Domande senza risposta che, ora come ora, per lo meno in Italia, sono probabilmente destinate a suscitare ai destinatari solo qualche risolino altezzoso. Primum vivere, deinde philosophari. (in primo luogo impariamo a sopravvivere, poi possiamo anche metterci a parlare dei massimi sistemi) sosteneva Aristotele, ma ancora pochi accademici l’hanno capito. Ed è un vero peccato.

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