Quando i Bric fanno paura
Bric è la nuova parola d’ordine di chi parla di economia in questi ultimi anni. Questo acronimo, inventato nel 2001 da Jim O’Neill, economista di Goldman Sachs, raggruppa le quattro più importanti economie emergenti: Brasile, Russia, India e Cina. I quattro Bric dovrebbero superare il Pil dei paesi del G7 (Usa, Giappone, Canada, Germania, Francia, Regno Unito ed Italia) entro il 2035, data emblematica, che simboleggerà per alcuni il passaggio di potere da Occidente ad Oriente. Teoricamente, una partnership fra i quattro potrebbe (dal punto di vista economico) rendere i Bric un sistema (quasi) chiuso, sicuramente più autonomo (questa pare essere la visione di Matthew Hulbert, della European Energy Rebiew). Cina ed India, con la loro enorme popolazione (insieme ad oggi fanno il 34% della popolazione mondiale) sarebbero i consumatori, Russia e Brasile, con le abbondanti risorse naturali che possiedono, sarebbero i produttori del sistema chiuso.
Ma tutto questo, oggi, ancora non esiste.
La Cina, per avvicinarsi alla Russia, dovrebbe sfruttare le immense riserve di idrocarburi della Siberia dell’Est, ma gli sviluppi ultimi l’hanno vista protagonista del tentativo di aumentare la propria influenza nei paesi dell’Asia Centrale, Ex-Urss, scelta di certo non gradita a Mosca. Inoltre Pechino sta mettendo in atto una strategia di rifornimento via-mare che guarda all’Australia e ai paesi del Medio-Oriente. Il Brasile, secondo noti esperti del settore, potrebbe presto entrare a far parte dell’Opec (lasciandosi così influenzare dalle sirene venezuelane), ritenendo utile partecipare all’associazione dei maggiori produttori di petrolio per tutelarsi dal crescente aumento di forza contrattuale da parte dei paesi consumatori. I rapporti fra India e Cina rimangono piuttosto intrigati e non sembrano esserci all’orizzonte accordi di cooperazione reciproca. La Cina sta cercando di aumentare la propria presenza marittima (cercando di sfruttare risorse LNG –gas naturale liquido) nell’Oceano Indiano, particolare che non è certo sfuggito all’India. Nuova Delhi è conscia del fatto che qualsiasi gasdotto od oleodotto presente nel suo territorio dovrebbe attraversare paesi instabili come Pakistan ed Afghanistan, motivo per cui la Cina sta rafforzando la propria presenza marittima nell’Oceano Indiano e non vuole recitare la parte del secondo giocatore, così continua a mantenere un approccio diffidente verso Pechino.
In un mondo dove la vecchia leadership costituita dai paesi del G7 si trova piena di debiti e con pochi slanci di crescita, la vera questione per capire gli scenari di geo-politica dei prossimi anni è cercare di capire se i Bric (ma anche i paesi del G20) saranno in grado di affermarsi come entità compatta. Il futuro dei Bric, sia politico che economico, non può che passare che dal tema energetico. Se la Russia vorrà mantenere un proprio ruolo internazionale, vista la dipendenza della propria economia dagli idrocarburi, dovrà sicuramente guardare alle esportazioni ad Est, a quei 2,4 miliardi di persone che sono la Cindia. Cina ed India, d’altro canto, per mantenere gli attuali standard di crescita, avranno sempre più bisogno di enormi quantitativi di gas e petrolio, che magari potrebbe fornire loro anche il Brasile, in grado di giocare anche la carta delle biomasse.
La Cina è sicuramente il paese guida dei Bric, con i suoi grandi numeri: è la seconda economia mondiale (ed è il secondo consumatore al mondo di energia), ha la più grande popolazione e detiene le più imponenti riserve mondiali di valute, rappresenta inoltre il primo esportatore mondiale. Non c’è poi da dimenticare che la Cina possiede una popolazione di 80 milioni di emigranti in giro per il mondo (è come se avesse una Germania che gli garantisce con le rimesse un flusso constante di valuta pregiata). La Cina ha già fatto molto sul fronte brasiliano, con l’acquisto di una partecipazione di 10 miliardi di dollari in Petrobras, assicurandosi l’interesse di Brasilia nei confronti del Bric. Per gli sviluppi futuri rimane da capire come Pechino utilizzerà i 3.000 miliardi di dollari di riserve accumulati.
Dal punto di vista europeo un rafforzamento del ruolo dei Bric porterebbe non pochi problemi sul versante della politica energetica europea. L’Europa dipende infatti (in larga parte) dal gas naturale russo e certo, un accordo fra Pechino e Mosca la vedrebbe tagliata fuori dalla fornitura russa (o da una consistente parte di essa). Questo scenario obbligherebbe quindi l’Europa a cercare di aumentare la propria influenza in Asia Centrale, Medio-Oriente e Nord-Africa per cercare di corteggiare quei paesi come Algeria, Qatar o Iran che detengono grandi riserve di gas naturale.
A prescindere da quanto i Bric riusciranno ad essere coesi in futuro, per l’Europa si prevede un futuro in salita, almeno per quanto riguarda la sicurezza della fornitura energetica.