PUTROPPO, MAURIZIO BELPIETRO HA RAGIONE. ANZI, PIU' RAGIONI E LE HA ELENCATE TUTTE.
Giannina Puddu, 4 dicembre 2022.
Maurizio Belpietro, dal suo LA VERITA', si è sfilato, con grande dignità, dal coro dei plaudenti acritici, le cui esternazioni, così palesemente ipocrite, possono perfino offendere anzichè galvanizzare l'intelligenza del destinatario che è, certamente, dotato di qualità, a partire dalla piena consapevolezza dell'effetto e delle ragioni delle sue scelte.
A noi è dato di conoscere gli effetti, almeno ad oggi, mentre, circa le ragioni, brancoliamo nel buio totale.
La sola nota che non condivido, assolutamente, è nella chiosa di Belpietro quando scrive:
Il capo dello Stato dev’essere una garanzia, ma se il suo cuore batte a sinistra che garanzia è?
Io non so dove batta il cuore del Presidente Mattarella, ma non mi pare davvero che batta a sinistra.
La SINISTRA, non è questa.
La "sinistra" non è e non può essere identificata in un gruppo politico che agisce e continua ad agire come il PD che si muove in direzione diversa se non opposta a quella che il Popolo italiano auspica, da troppi anni.
Noi siamo l'unico paese, in Europa, in cui il reddito medio pro-capite attuale è inferiore a quello di 30 anni fa.
Nella rilevazione statistica indipendente di Reporter Senza Frontiere, l’Italia figura al 41mo posto nella classifica mondiale della libertà di stampa.
Più libera la stampa in Slovacchia, Slovenia, Burkina Faso, Botswana, Andorra, Repubblica Ceca e su fino a tutti gli altri...
Nel finanziamento pubblico alla Ricerca di base, l’Italia appare in basso, al ventisettesimo posto della classifica mondiale.
Nessuna istituzione italiana compare tra le prime 10 che beneficiano dei finanziamenti del programma europeo Horizon 2020.
Ai dati del 2017, risulta che l’Italia abbia investito nell’istruzione pubblica il 7,9 per cento della sua spesa pubblica totale, risultando come ultima nella graduatoria degli stati membri.
Non abbiamo, da decenni una POLITICA INDUSTRIALE e non è dato sapere quali lavori ci permetteranno di finanziare le nostre vite in futuro.
La sola certezza che abbiamo, grazie a questa sedicente "sinistra" è che continuiamo a perdere aziende e posti di lavoro in un contesto di desolante desertificazione industriale, privi di un qualunque "piano B"!
Secondo una recente rilevazione di Truenumbers, Il tasso di mortalità sul lavoro ci vede, ancora, nella parte sfigata della classifica con un tasso di 3,01, circa il doppio di quello tedesco!
E, che dire del riconoscimento concreto dei meriti, delle competenze e delle capacità degli italiani?
Ovvero, della meritocrazia?
La statistica è cosa magnifica e si è inventata un parametro, fatto apposta, il meritometro.
Ebbene, in quell'ambito che osserva i 7 pilastri fondamentali o condizioni determinanti: libertà, pari opportunità, qualità del sistema educativo, attrattività per i talenti, regole, trasparenza e mobilità sociale, l’Italia è ultima in Europa.
In Italia, poco importa chi tu sia, quali siano le tue competenze, quale sia il tuo talento, quale sia la tua capacità di fare.
Non gliene frega nulla a nessuno in tutti quei luoghi che sarebbero deputati a valorizzarti, offrendoti opportunità, nel tuo interesse e per il bene di tutti.
In Italia, trionfa la mediocrazia se sei figlio o amico di qualcuno, dentro la rete di relazioni tessuta a maglie strette per il presidio di ogni potere.
Meglio emigrare in altri stati, dove è assolutamente più probabile che il tuo valore sia riconosciuto e messo a frutto con beneficio della collettività.
Bilancio drammatico.
Se la sedicente "sinistra" fosse sinistra, verificata, tra l'altro, la sua immensa (e pare unica) capacità di conquistare posizioni di vertice politico, in Italia e in Ue, avremo altri dati e una qualità di vita superiore, con vantaggi distribuiti a tutti e non concentrati nelle solite mani e nelle solite famigliole.
Insomma, che ha fatto di buono per l'Italia questa "sinistra" contemporanea?
I Padri della sinistra italiana, quelli che pur di affermare e difendere le loro idee politiche erano pronti anche alla morte o alla galera, avrebbero molto da criticare e censurare osservando le iniziative del PD e non troverebbero "eredi" tra i suoi membri.
Non avevano certo, tra le loro priorità, le borse griffate, le ville extralusso, le auto blu, le scorte e troppo altro che caratterizza il tenore di vita dei sinistri di oggi.
Esclusa, dunque, la domanda finale di Belpietro, purtroppo, i fatti che elenca sono gli stessi che ho osservato in questi anni, con profondo rammarico ed immensa delusione politica.
Il riepilogo e la lista sintetica, ma chiara, di Belpietro:
Cominciamo con il dire che l’inizio non è stato dei più promettenti.
Con un colpo di mano Matteo Renzi, all’epoca al massimo del suo potere, strappò il patto del Nazareno per imporre Mattarella.
Nei piani dell’allora presidente del Consiglio, l’ex dc di area sinistrorsa doveva essere il pupo perfetto da manovrare durante i giochi di Palazzo.
Come si è visto, sbagliò clamorosamente i suoi conti, perché il neo presidente era sì un uomo di poche e misurate parole, ma da buon democristiano sapeva come fregare anche i presunti amici.
Risultato, quando il leader di Italia viva perse la sfida per rottamare la Costituzione, invece di sciogliere le Camere, Mattarella assecondò il desiderio di Renzi di farsi sostituire da un uomo in grigio come Paolo Gentiloni, lasciandogli credere che quello dell’ex ministro degli Esteri sarebbe stato un esecutivo a termine, per poi tirare diritto.
E questo, diciamo, è stato un bene, perché le nuove elezioni probabilmente avrebbero consegnato la maggioranza del Parlamento proprio al premier dimissionario, con quello che ne sarebbe seguito.
Certo, tenere in piedi Gentiloni, con Renzi che gli tirava i calci (ricordate la mozione di sfiducia del Pd contro il governatore di Bankitalia reo di non aver assecondato i desideri bancari del Bullo?) e il Paese che avrebbe voluto fare altrettanto, non fu facile, ma due ex esponenti della Balena bianca come Gentiloni e Mattarella trovarono il modo.
E qui arriviamo alle elezioni del 2018, che a sorpresa restituirono un Parlamento balcanizzato, con il Pd al minimo storico, i 5 stelle e la Lega al loro massimo.
Nessuno si aspettava un ribaltone del genere, anche perché la legge elettorale, il Rosatellum, era disegnata su misura per facilitare il gioco di Renzi il quale, anche senza maggioranza, contava di governare con il soccorso di Forza Italia, ripristinando il patto del Nazareno.
Nessuno credeva neppure in una convergenza fra pentastellati e leghisti e probabilmente il primo a esserne stupito fu proprio Mattarella.
Il quale si diede da fare per rendere un percorso a ostacoli la nascita del nuovo governo. Ricordate il no ad personam nei confronti di Paolo Savona al ministero dell’Economia e i veti posti sugli altri papabili?
A un certo punto, rispedite al mittente le richieste di Luigi Di Maio e di Matteo Salvini, il Quirinale tirò fuori quello che doveva essere l’asso nella manica, ovvero il governo tecnico affidato a Carlo Cottarelli.
Un passo falso, che appena fu chiara la contrarietà dei partiti a sostenerlo, fece ballare perfino lo spread, al punto che il presidente della Repubblica fu costretto a rimangiarsi in fretta e furia l’incarico, rimettendolo nelle mani di uno sconosciuto Giuseppe Conte.
Con queste premesse, la vita del governo gialloverde è stata sofferta e probabilmente non era ipotizzabile se non così.
Tuttavia, il meglio (o il peggio, decidete voi), il capo dello Stato lo diede nel 2019, ai tempi del ribaltone, quando accettò che Conte potesse continuare a fare il premier di un governo di segno opposto al precedente, con il Pd, cioè il partito bocciato dagli italiani, in maggioranza. Come sia stato possibile assecondare le giravolte è un mistero, ma sta di fatto che, invece di sciogliere le Camere, Mattarella ha sciolto ogni dubbio, accettando le richieste di Conte e compagni. A dire il vero, il capo dello Stato ci ha messo del suo, imponendo alcuni ministri di fiducia, che ricordiamo qui per non dimenticare le sue responsabilità.
Tra gli sponsorizzati, segnaliamo Luciana Lamorgese, che nonostante i fallimenti sul fronte dell’ordine pubblico e della gestione dell’immigrazione ha goduto e gode di una totale protezione del Quirinale.
Insieme a lei, a beneficiare delle grazie del capo dello Stato non si può dimenticare Roberto Speranza, il quale, pur avendo dimostrato il non saperne nulla, continua a occuparsi della nostra salute.
Già questo basta e avanza per evitare di accodarsi al coro di elogi che nelle ultime ore risuona in tv e sui giornali. Tuttavia, se si avesse qualche dubbio, ricordo la disastrosa gestione del caso Palamara e la mancata decisione di sciogliere il Consiglio superiore della magistratura, di cui Mattarella è presidente.
Lo scandalo emerso dalle intercettazioni predisposte sul telefono dell’ex presidente dell’Anm dimostravano che le nomine ai vertici delle Procure erano frutto di un accordo fra le correnti e la politica. Un inquinamento che avrebbe dovuto indurre il capo dello Stato a un repulisti generale.
Invece, le pulizie riguardarono solo pochi soggetti, per giunta i più moderati, ignorando tutti gli altri. Risultato, non avendo sciolto il parlamentino delle toghe, Mattarella lo ha consegnato alla sinistra, sebbene alle elezioni delle toghe avesse vinto la destra. Un regalo ai compagni, che da allora, e anche adesso, hanno potuto ridisegnare il potere dei tribunali. Perché il Colle non abbia voluto spendere due parole per mandare a casa il Csm e imporre nuove regole è inspiegabile: quella era un’occasione unica per raddrizzare la barca della Giustizia, ma incredibilmente Mattarella sel’è lasciata scappare.
In compenso, il capo dello Stato non si è fatto sfuggire l’occasione di piazzare Mario Draghi a Palazzo Chigi. Non si sa se per danneggiarlo o favorirlo. Sta di fatto che, dando l’incarico all’ex governatore, il presidente ha dato il via libera al quinto esecutivo del suo settennato, rispondendo picche ai partiti che chiedevano di ritornare alle urne. Cioè rifiutando, con la scusa dei contagi, di restituire la parola agli italiani.
Da ex giudice della Corte costituzionale, Mattarella non ha neppure sentito il bisogno di richiamare i governi al rispetto delle prerogative parlamentari, cioè alla discussione e al voto dei singoli provvedimenti.
Dai Dpcm di Conte in poi, tutto è diventato legge con il benestare del Quirinale ed esautorando di fatto il Parlamento.
Con Draghi è stato anche peggio, perché mai una manovra finanziaria, oltre a essere approvata a colpi di fiducia, era arrivata negli ultimi giorni dell’anno, senza possibilità alcuna di discussione o di revisione.