Denuncia il fallimento della politica europea e la totale incompetenza dei governi nazionali, tira bordate alla Germania, annuncia il collasso delle democrazie e chiede a Romano Prodi di salvare il Vecchio continente. Dominique Strauss-Kahn torna in grande spolvero sulla scena internazionale a due anni dallo scandalo che lo ha detronizzato dalla guida del Fmi e ha polverizzato le sue ambizioni politiche.
Era il 14 maggio quando l’economista francese veniva prelevato da un aereo diretto a Parigi e arrestato per la presunta aggressione sessuale a una cameriere del Sofitel, l’hotel di New York dove alloggiava. Da allora ha sperimentato il supercarcere di Rikers Island, gli arresti domiciliari (d’orati), un processo penale (archiviato) e uno civile (liquidato), la fine del matrimonio con Anne Sinclair, e il fallimento delle sue mire sull’Eliseo,in una vicenda dalle tinte fosche per alcuni dai contorni complottistici. E’ rimasto nell’ombra, «un po’ appestato», dicevano, anche per il fardello di un film in corso d’opera sulle sue vicende con un Gerard Depardieu diretto da Abel Ferrara. Il colpo di grazia. E invece eccolo tornare alla ribalta a dispetto dei suoi vessatori.
Un velo di abbronzatura, completo grigio brillante, sorridente e impettito irrompe dinanzi a una platea internazionale, «oratore d’eccezione» all’Astana Economic Forum, il simposio euroasiatico kazako giunto alla sua sesta edizione. Sembra in forma? «Sapete che non faccio interviste, - ci dice - però sto bene, non trovate». Il timore di un blitz nel suo recente passato lo tiene sulle difensive prima di salire sul palco della «World Anti-Crisis Conference». Il parterre è d’eccezione, tra gli altri Romano Prodi, «il mio amico», ricorda, quindi il Nobel Christopher Pissarides. «Il dato di fatto è che il problema del debito pubblico è stato totalmente preso sotto gamba dai Paesi europei», esordisce Strauss-Kahn dopo essere stato salutato da un tiepidissimo applauso della sala. Non fa una piega, a testa alta inizia la sua requisitoria: «Ricordo quel G-20 di Londra, era l’aprile del 2009 quando si è iniziato a discutere dei debiti sovrani», afferma l’ex timoniere del Fondo, indicando una data della genesi del disastro europeo.
«Ricordo che da parte di molti politici ci fu una presa di posizione netta, risolvere il problema da soli senza bisogno del Fmi. Una cosa che posso capire dal punto di vista politico, ma il fatto è che le istituzioni europee erano del tutto impreparate a gestire una emergenza di quel tipo. Questo fece si che si persero tra i sei mesi e un anno, durante i quali il problema è andato peggiorando. A questo si è aggiunto il rallentamento economico in particolare in Paesi come Spagna e Italia e quindi il problema è diventato anche più grande». L’Europa fu presuntuosa: «Si pensava che il problema poteva essere risolto con i tradizionali strumenti a disposizione dei singoli Stati e che poi si sarebbe tornati a crescere, soluzioni interne per far fronte a un problema globale, una trovata geniale».
L’applauso questa volta è meno tiepido. «Così più passava il tempo e più per i politici diventava difficile prendere delle decisioni opportune perché questo significava ammettere che si era commesso un errore. Si è persa la bussola, ed ogni forma di coordinamento, specialmente quello fiscale, si è creato il caos». Il fatto è che «la struttura era debole, e Romano quando era capo della Commissione se ne è accorto meglio di chiunque altro». «Il problema oggi è la leadership e il nodo austerity lo conferma», dice caricando la bordata a Berlino: «Forse non ricordiamo quando la Germania aveva difficoltà serie nel rispettare il patto di stabilità. Allora sembrò opportuno non creare sbarramenti. Oggi invece?». L’applauso adesso è fragoroso.
Il buco nero per Strauss Kahn non è il debito, ma la competitività e le riforme strutturali latitanti. Così veste i panni di Cassandra del «cliff» europeo: «La mia previsione è che nessuna decisione concreta sarà presa, ci si avvicinerà al «cliff» (il baratro), ci saranno azioni per guadagnare tempo, e in sei mesi si sarà di nuovo sull’orlo del «cliff». Questo porterà a una serie di conseguenze pericolose, disordini sociali e democrazie a rischio. «Gli europei - conclude - non sono in grado di gestire un processo di risoluzione, e lo stesso Fmi è ai margini». Cosa fare? Ci vuole volontà politica e capacità, per questo chiedo a Romano, “torna a far politica, torna in Europa». Stavolta l’applauso è scrosciante.
Tratto da La Stampa, riportato sul blog di Oscar Bartoli
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