POLIZIOTTI CATTIVI..... E ORDINE PUBBLICO

POLIZIOTTI CATTIVI.....  E ORDINE PUBBLICO

Torino, 4 marzo 2024. Di Chiara Zarcone, avvocato e già cultore della materia Diritto Penale presso l'Università degli Studi di Torino.

La vicenda delle "manganellate" di Pisa è una "buona" occasione per chiarire un punto fondamentale alla base di qualsiasi ordinamento civile: l'importanza della tutela dell' ordine pubblico e la fiducia che tutti i consociati devono riporre nelle forze dell'ordine.

E' doveroso premettere, al fine di prevenire pericolosi equivoci, come quanto detto non significhi affatto giustificare un comportamento illegittimo poiché qualsiasi condotta che sia contra ius - si badi bene - deve essere censurata ma, proprio a tal fine, sufficientemente determinata e circoscritta.

E' sempre bene ricordare come ai sensi dell’art. 27 comma 1 della nostra carta costituzionale, la responsabilità penale è personale.

Ciò vuol dire che non è possibile la sostituzione della persona chiamata a rispondere di un illecito penale. Solo se il reato è effettivamente opera di un determinato agente è possibile muovere a quest’ultimo una censura per il fatto di averlo posto in essere.

Sottesa a tale principio è la convinzione che - salvo casi eccezionali - l’uomo abbia sempre la signoria sulle proprie scelte e sui propri impulsi e che quindi, libero di autodeterminarsi nel bene o nel male, possa decidere in modo autonomo, secondo la propria volontà, quali condotte porre in essere (ex multis si citano le storiche sentenze additive della Corte costituzionale n. 364 e n. 1085 del 1988).

Da ciò deriva che la responsabilità penale personale di un soggetto - qualora accertata - non può e non deve travolgere una intera categoria.

Nulla è lasciato al caso nel nostro codice penale che affida all’art. 51 c.p. la definizione di una particolare scriminante. Rubricato come "Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere" tale disposizione normativa prevede che l’adempimento del dovere esclude la punibilità.

La norma specifica che “Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’Autorità, del reato risponde sempre il pubblico ufficiale che ha dato l’ordine.

Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di obbedire ad un ordine legittimo. Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla legittimità dell’ordine“.

L’ordine dato dall’Autorità, in tal senso, deve avere dei requisiti essenziali di validità senza i quali non può dirsi configurata la scriminante in questione: la competenza del superiore ad emanare l’ordine, la soggezione dell’inferiore ad obbedirvi e, non in ultimo, il rispetto delle forme previste dalla legge.

A completare il quadro normativo sin qui delineato, interviene l’ordinamento militare che individua un limite alla insindacabilità dell’ordine qualora questo sia manifestamente criminoso. L' art. 4 della legge n. 382/1978 specifica come “gli ordini devono, conformemente alle norme in vigore, attenere alla disciplina, riguardare il servizio e non eccedere i compiti dell’istituto.

Il militare al quale viene impartito un ordine manifestamente rivolto contro le istituzioni dello Stato o la cui esecuzione costituisce comunque manifestamente reato, ha il dovere di non eseguire l’ordine e di informare al più presto i superiori".

Non si vuole entrare nel merito del caso di Pisa poiché è sempre nelle aule dei tribunali che deve essere accertata la verità e perché chi scrive non ha una diretta conoscenza degli incartamenti riguardanti i fatti in questione, si vuole invece trattare dell' opportunità e nella necessità di non delegittimare mai l' operato forze dell'ordine ed anzi rafforzare il circolo virtuoso di cooperazione tra cittadini e forza pubblica dal quale sicuramente tutti avrebbero giovamento.

A tal fine occorre primieramente cercare di dare una definizione di tutela dell' ordine pubblico.

Con la legge di pubblica sicurezza del 1865 l’ordine pubblico veniva definito come uno degli interessi pubblici legittimanti gli interventi dell’autorità di pubblica sicurezza (espulsione degli stranieri; cessazione o sospensione degli spettacoli, scioglimento delle riunioni) volti a limitare l’esercizio di un’attività materiale costituente manifestazione di libertà (cfr La nascita dello Stato unitario.

Libri, periodici e stampe della Biblioteca della Camera dei deputati, Centro riproduzioni e stampa della Camera dei deputati, Roma, 2011).

Le leggi di unificazione definirono quindi per la prima volta i compiti della pubblica sicurezza: controllare l’osservanza delle leggi, assicurare il mantenimento dell’ordine pubblico e prevenire i reati, ponendo così le basi delle misure di prevenzione.

Oreste Ranelletti, già allievo di Vittorio Scialoja, sosteneva che, essendo l’ordine pubblico, la sicurezza, il buon costume tutte declinazioni di un ordine pubblico generale, “dovunque è il delitto o la minaccia di questo la polizia deve intervenire [...] indipendentemente da una legge che le accordi espressamente tale facoltà [...] perché la facoltà di intervenire deriva dalla stessa ragione di esistenza della polizia di stato” (O. RANELLETTI, La polizia di sicurezza, in V. E. ORLANDO, Trattato di diritto amministrativo, IV, parte I, Milano, 1904, p. 296).

In altre parole, come sostenuto da Pace ne "Il concetto di ordine pubblico nella Costituzione italiana", nell’ottica di rendere certo e determinato il limite costituito dall’ordine pubblico per le situazioni giuridiche e per i diritti di libertà, si considerava quest’ultimo equivalente al generale ordine giuridico.

Uno storico manuale per la formazione dei Carabinieri degli anni '70, definendo la tutela dell'ordine pubblico evidenzia come questa "...mira a prevenire e reprimere tutte quelle attività che contrastino coi principi etico-sociali, posti alla base del vivere civile, nonché ad eliminare tutte quelle turbative che ledono la vista, l’udito, l’olfatto, il sonno dei cittadini, oltre i limiti della legge e della buona consuetudine sociale." (Scuola di applicazione dei carabinieri, Sinossi di ordine pubblico, Tipografia della scuola, 1971).

Sostanzialmente si richiamavano gli obbiettivi generali della polizia dell’ordine pubblico, “sécurité, la tranquillité, la salubrité publique”, cristallizzati dalla legge di matrice francese del 5 aprile 1884 (sui poteri di polizia del sindaco).

E' dunque chiaro il riferimento a uno Stato cosiddetto "etico" ossia di uno Stato il cui fine ultimo a cui tutti devono tendere - specie le istituzioni - è la realizzazione concreta del bene universale.

Al di là di quanto riportato dai manuali, la polizia era depositaria del potere di impedire azioni che fossero in contrasto con i valori morali e sociali considerati alla base dello Stato. Con l'evoluzione socio-politica dell'Europa si affermò l'idea secondo la quale l’assenza di disordine è sostanzialmente equiparata a una condizione di pace e sicurezza.

In "Concetti tecnico-tattici di impiego delle Unità Organiche a vario livello nei servizi di Op" del 2001 l'ordine pubblico viene definito come "tutto ciò che è indispensabile per garantire l’ordinato svolgimento della vita sociale, e di conseguenza è valido ad assicurare non solo il rispetto dei diritti dell’uomo, ma anche i valori etici, nazionali e culturali".

Il concetto di ordine pubblico ha dunque seguito "in parallelo" l'evoluzione storico-sociale della civiltà occidentale e non presenta delle esigenze definibili in maniera precisa ed immutabile. Il suo contenuto varia in funzione delle circostanze, subendo conseguentemente estensioni e contrazioni nella sua portata, sempre con l’obiettivo di tutelare la pace sociale instaurata da un dato ordine vivente e dinamico.

Questa sua natura circostanziale ci pone innanzi ad un dilemma d'eccezione.

Infatti una declinazione di ordine pubblico basata esclusivamente sui fatti legherebbe tale nozione alla necessità ed all’opportunità e questo non può essere considerato ammesso in uno Stato di diritto, in cui le possibilità di limitare le libertà e i diritti fondamentali devono trovare disciplina, giustificazione, sufficiente determinatezza.

Al contempo è necessario che i limiti alle libertà fondamentali trovino riscontro in espresse previsioni normative e principi superiori - impliciti ed espliciti - . Tali principi sono ormai consolidati negli ordinamenti odierni: basti pensare a quanto sancito già nel 1789 nella Déclaration de Droits de l’Homme che, all’art. 2 cristallizzava la necessità della “conservation des droits” ed alla sua più recente evoluzione nel moderno principio della realizzazione dei diritti così come è stato recepito dalle costituzioni vigenti.

E' importante evidenziare come con l' intervento dei Padri Costituenti - e quindi con la Costituzione - venne riconosciuta la possibilità del conflitto fra Stato e individuo.

Era riconosciuto che la formazione democratica della volontà politica garantiva l' uniformità di quest' ultima ai fini istituzionalmente perseguiti, ma questo non comportava più la scomparsa della possibilità del contrasto fra Stato ed individuo.

Occorre guardare alle relazioni presentate alla Commissione per la Costituzione da alcuni deputati e che furono oggetto di dibattito assembleare gettando le basi per le successive discussioni in merito all’opportunità o meno dell’introduzione in costituzione del lemma “ordine pubblico”.

Nella nostra Costituzione non troviamo l’espressione “ordine pubblico”.

Ciò è sintomatico di una certa diffidenza da parte dell’Assemblea costituente verso questa nozione.

Da ciò molti hanno - ad opinione di chi scrive, forzatamente - fatto derivare una sorta di "detrimento" che caratterizzerebbe il nostro sistema costituzionale nei confronti delle limitazioni alle libertà per motivi di ordine.

Ad ogni modo il concetto di ordine pubblico è richiamato implicitamente in diverse disposizioni (ad esempio l' art. 13 nel quale si parla di “pubblica sicurezza”).

Dal quadro normativo delineato emerge una declinazione materiale dell’ordine pubblico, che si rispecchia nelle sole tre componenti espressamente previste: sanità, sicurezza e incolumità pubblica.

Nell' eterna lotta tra libertà - intesa in tutte le sue molteplici declinazioni - e tutela dell’ordine pubblico, bisogna sempre tener presente che le eventuali limitazioni alla libera manifestazione del pensiero non possono non trovare la loro ragione d'essere nella tutela dei valori costituzionalmente garantiti e che sono il fondamento della vita democratica, baluardi invalicabili posti a garanzia della persona, della sua dignità e del suo sviluppo.

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