PER UNA NUOVA CONTRO-CULTURA
Milano, 17 dicembre 2021. Di Luca Cerchiari (Università IULM di Milano)
Dialogando con una studentessa e cantautrice iscritta al Master 2022 in ‘Editoria e produzione musicale’ dell ’Università IULM di Milano, Alessandro Carrera, docente nell ’Università di Houston, saggista multidisciplinare e massimo esperto internazionale di Bob Dylan, le ha detto (lei si chiama Sara de Santis, e ha da poco iniziato a collaborare a IfaNews.it): "Oggi la controcultura si fa qui", indicando l'aula universitaria dove erano entrambi, in quel momento, e nella quale si svolgeva un Convegno Internazionale sulla critica musicale.
Carrera ha poi ulteriormente precisato il suo punto di vista, solo apparentemente provocatorio, come segue: ”Ovviamente stavo enunciando un paradosso, ma mi riferivo al fatto che la popular culture oggi ha invaso tutti gli spazi pubblici, e che curiosamente l'unico luogo dove si può discutere di forme artistiche che non sono necessariamente di massa, di film che non sono necessariamente di cassetta, di libri che non sono necessariamente bestseller, di artisti che non sono necessariamente celebrità, è proprio l'Università.
Una volta la controcultura si faceva fuori dalla scuola ed era in opposizione alla scuola, e la popular culture non godeva di credito presso gli intellettuali.
Ma oggi tutti fanno popular culture in un modo o nell'altro - anche l'Università, certamente, ma l'università, ripeto, è rimasto l'unico posto - o quasi - dove si può parlare anche di qualcosa che non fa subito audience”.
La riflessione del collega Carrera tocca un punto molto rilevante: la palingenesi dell’Università e dei suoi contenuti cui abbiamo assistito negli ultimi anni (chi scrive ne è stato testimone diretto, avendo esordito come docente universitario nel 1996).
Una trasformazione, del resto, in tutto allineata al mutamento di valori della società, che da qualitativi sono divenuti quasi solo quantitativi.
Nelle borse come nelle aule universitarie sembrano contare quasi solo i numeri (meglio, ovviamente, se in crescita): quanti studenti vi sono in aula?quanti iscritti hai nel tuo corso?quanti studenti hai esaminato in questa sessione?
Il cambiamento è divenuto più sensibile a partire dalla metà degli anni Novanta, e ad esso si è peraltro accompagnata una progressiva flessione del livello di preparazione culturale di base degli studenti stessi, una loro incapacità di formulare giudizi critici motivati e non superficiali, una diffusa e preoccupante assenza di memoria storica.
La crescente tendenza degli Atenei ad attivare una didattica e promozione della popular culture, intesa estensivamente, non fa che confermare e rafforzare questo trend.
La musica è solo uno degli aspetti di tale scenario:una volta la musica classica, o eurocolta, era l’unico verbo conosciuto e ammesso agli onori dell’Accademia, oggi tutti fanno a gara per attivare corsi di popular music, non sempre eccelsi quanto a docenti e metodi, con la conseguenza che gli Atenei appaiono a volta indistinguibili rispetto all’offerta del mercato discografico, dei media radiotelevisivi o delle rete (la stessa cosa accade da anni nei Conservatori: un tempo ospitavano solo la musica classica, ma questa adesso è in minoranza, e dominano il pop e il jazz, quantomeno come seguito di studenti).
Come uscire dall’impasse, che rischia solo di accentuare il processo di omologazione agli interessi di oligopoli produttivi e finanziari operativi al di fuori del nostro Paese?
Il dibattito, come si diceva una volta, è aperto, ma si può cominciare applicando i suggerimenti di Carrera, e avviando una fase nuova e opposta: che alla quantità opponga la qualità, e allo show business la riflessione, l’approfondimento, la non-paura della complessità; e il ritorno alla più salutare e autentica fatica.