Per la trasparenza una MiFID `rigorosa` è meglio dei tecnicismi

Pubblichiamo la risposta all’articolo “Gli scenari probabilistici - Qual` è la probabilità di capire dove investiamo i soldi” autori la Prof.ssa Rita Laura D’Ecclesia ed il Prof. Ugo Patroni Griffi, pubblicato il 25 febbraio scorso, a firma di Massimo Scolari.

Per la trasparenza una MiFID `rigorosa` è meglio dei tecnicismi

Egregi Professori Rita Laura D’Ecclesia e Ugo Patroni Griffi,

ho letto con molto interesse il Vostro articolo pubblicato su Ifanews.it il 25 febbraio scorso sul tema degli scenari probabilistici nella valutazione del rischio degli strumenti finanziari e desidero ringraziarVi per aver nuovamente posto al centro dell’attenzione il tema della trasparenza e della protezione degli investitori.
Le considerazioni contenute in questa risposta sono personali e non impegnano l’Associazione di cui faccio parte, Ascosim, che riunisce le Sim di pura consulenza.
Il Vostro contributo solleva numerose questioni ed interrogativi; tuttavia, anche per rispondere alle Vostre sollecitazioni, mi permetto di iniziare dal fondo.
Se non ho compreso male la Vostre opinioni, sostenete che vi sia una  possibile contrapposizione tra l’obbligo di trasparenza nei prospetti informativi dei prodotti finanziari, che dovrebbero includere - a Vostro avviso - una valutazione fondata sulla metodologia degli scenari probabilistici,  e la procedura di valutazione di adeguatezza delle raccomandazioni di investimento prevista dalla normativa in vigore, in applicazione della Direttiva Mifid.
Su questo punto mi permetto di esprimere il mio dissenso: credo infatti che la valutazione di adeguatezza, alla quale sono obbligati gli intermediari che offrono il servizio di consulenza, non sia in alcun modo in contraddizione con la necessaria trasparenza dell’offerta dei prodotti finanziari.
Anzi, se la procedura viene svolta in modo rigoroso, appare alquanto difficile, se non impossibile, valutare come adeguata una raccomandazione di investimento in uno strumento finanziario opaco o di difficile valutazione.
Non credo che si possa creare una gerarchia di rigore – come sembra apparire dal vostro articolo – tra scenari probabilistici (“che fanno vedere le cose come sono”) e la valutazione di adeguatezza “a maglie larghe” e piuttosto discrezionale. Se infatti un intermediario o un consulente impostasse la propria procedura di valutazione di adeguatezza su criteri poco rigorosi e “a maglie larghe”, sbaglierebbe, indipendentemente dall’esistenza o meno degli scenari probabilistici.
Credo, e su questo molti miei colleghi concordano, che l’impianto della Direttiva Mifid abbia fornito l’opportunità di un salto qualitativo nella prestazione dei servizi finanziari ai risparmiatori, in particolare elevando la consulenza al rango di servizio di investimento e sottoponendola all’obbligo della valutazione di adeguatezza.
Non sta a me naturalmente giudicare l’operato delle nostre Autorità di Vigilanza; tuttavia rilevo che anche a seguito dell’interpretazione data dalla Consob – da Voi giudicata “estensiva” – le banche italiane hanno sottoposto al servizio di consulenza ben 640 miliardi di euro (al 30 giugno 2012), cioè più della metà dei depositi amministrati della clientela.
Ciò significa che, per la maggioranza dei clienti, il collocamento dei prodotti finanziari – essendo abbinato ad un servizio di consulenza - viene sottoposto alla valutazione di adeguatezza da parte degli intermediari.
Credo che, se si ha a cuore l’interesse e la protezione degli investitori, tale risultato sia da giudicare in modo estremamente positivo, indipendentemente dalle giuste osservazioni critiche che possono essere avanzate sulla qualità del servizio di consulenza offerto dalle banche, dalle Sim o dagli altri intermediari.
Tornando a ritroso al Vostro contributo, ed in particolare al punto 7, sono invece assolutamente d’accordo con la Vostra asserzione: “Ha senso misurare, e individuare la propensione al rischio degli investitori solo dopo aver misurato la rischiosità del prodotto”.
Tralasciando il prima ed il dopo, ritengo che l’impostazione di una corretta procedura di valutazione di adeguatezza non possa limitarsi all’ individuare – per quanto possibile – la tolleranza e la propensione al rischio dell’investitore, ma debba anche saper classificare gli strumenti ed i prodotti finanziari in termini di rischiosità, tenuto conto del complesso dei rischi di mercato, valutari, di credito, di liquidità, di tasso, di controparte ecc.
Inoltre credo che una procedura di valutazione di adeguatezza applicata alla singola transazione sia inefficace, ed in qualche caso pericolosa, se non tiene in debito conto dell’impatto sul portafoglio di attività finanziarie e sul complesso delle attività del cliente.
Quando si sostiene la necessità di valutare l’impatto di un singolo strumento all’interno di un portafoglio non si intende tuttavia sottovalutare il dovere da parte di ogni consulente di evitare raccomandazioni di investimenti, anche se di ridotta entità, che non siano conformi agli interessi e alla tolleranza al rischio del cliente.
In questo senso chi svolge attività di consulenza deve utilizzare tutti gli strumenti di valutazione del rischio forniti dal prospetto informativo, dai Key Investor Information dei Fondi comuni di investimento, e da altre informazioni raccolte da piattaforme e fonti informative pubbliche. Quanto è maggiore la trasparenza dei prodotti, tanto maggiore sarà la capacità del consulente di assistere il cliente nella valutazione.
Questo è ancora più importante quando si prendono in considerazione strumenti derivati o strutturati sottoscritti da risparmiatori.
Ben vengano quindi metodologie quantitative che consentano una oggettiva valutazione dei rischi e della distribuzione dei probabili rendimenti attesi. A condizione che, come giustamente si reclama la massima trasparenza dei prodotti, le metodologie di calcolo siano corredate e  supportate  dai medesimi standard di trasparenza.
In tal senso, per concludere, suggerirei di fornire una maggiore disclosure della metodologia adottata nel calcolo degli scenari probabilistici ed un approccio più divulgativo rispetto al linguaggio rigoroso e scientifico del Quaderno di finanza della Consob n. 63.
Credo infatti che una maggiore comprensione delle ipotesi sottostanti e delle metodologie di calcolo da parte degli operatori del mercato favorirebbe una discussione più costruttiva su un tema di così grande importanza.

Ringrazio per l’attenzione.

Massimo Scolari

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