ORO: LA NUOVA VALUTA (di riserva) MONDIALE
Milano, 12 novembre 2024. A cura di Bert Flossbach, co-fondatore di Flossbach von Storch.
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Raramente i cronisti sono stati così sprovveduti e poco convincenti come oggi nel cercare le ragioni dell'irritante aumento del prezzo dell'oro.
Le solite spiegazioni sono: calo dei tassi di interesse, paura dell'inflazione e conflitti geopolitici.
Ma ha senso?
Quest'anno i tassi d'interesse sono scesi molto meno di quanto ci si aspettasse all'inizio dell'anno, una vera delusione per gli investitori in oro.
L'inflazione è in ritirata e le previsioni di inflazione per il 2024 sono ora inferiori a quelle di inizio anno.
Nessuno di questi argomenti offre quindi una spiegazione soddisfacente.
Restano i rischi geopolitici: la situazione in Medio Oriente è effettivamente peggiorata, mentre la situazione nelle altre aree critiche è rimasta sostanzialmente invariata.
Tuttavia, nel corso di questi conflitti, alcuni paesi sono probabilmente diventati sempre più propensi a investire le loro riserve valutarie in oro piuttosto che in titoli di Stato americani, la cui disponibilità può essere limitata dal governo statunitense in qualsiasi momento.
Non sorprende quindi che le banche centrali di molti paesi preferiscano da tempo l'oro senza interessi come valuta di riserva rispetto ai Treasury statunitensi e che anche quest'anno abbiano aumentato in modo significativo le loro riserve auree.
Per contro, la domanda d'oro per puro investimento, che si evince dalle posizioni in ETF sull'oro a livello mondiale, è calata bruscamente fino a maggio (vendite nette pari a 157 tonnellate). Tuttavia, in quel periodo l'oro veniva già scambiato al di sopra dei 2.400 dollari.
Da allora gli investitori hanno acquistato di nuovo circa 90 tonnellate d'oro su base netta, ma questo implica ancora un saldo negativo di circa 70 tonnellate per l'anno in corso.
Devono quindi esserci altri acquirenti sul mercato per provocare un tale aumento del prezzo dell'oro. In primo luogo, è probabile che si tratti di acquisti di lingotti fisici non registrati nelle statistiche delle banche centrali. Ad esempio, è possibile che le istituzioni governative vogliano ridurre la loro dipendenza dagli Stati Uniti, o anche che le famiglie abbiano effettuato acquisti di oro.
L'oro non conosce rischi egemonici o di controparte.
Nessuno al di fuori degli Stati Uniti deve temere che il governo americano confischi le proprie disponibilità auree (a condizione che non siano custodite negli USA).
Il livello elevato e in rapida crescita del debito pubblico negli Stati Uniti e in molti altri paesi sarà probabilmente un'importante ragione che spingerà i grandi investitori a concentrare maggiormente le proprie riserve auree.
Sebbene il rischio di default sovrano sia solo teorico nella maggior parte dei paesi, una politica del debito insostenibile mina il valore a lungo termine delle valute in cui il debito è servito.
In effetti, sembra esistere una correlazione di lungo periodo tra l'andamento del debito pubblico e il prezzo dell'oro, come dimostra un confronto degli ultimi 20 anni.
Dalla metà degli anni Novanta fino alla crisi finanziaria del 2008, il debito pubblico degli Stati Uniti è rimasto relativamente costante, intorno al 60% del PIL.
Durante questo periodo, il prezzo dell'oro è più che raddoppiato, passando da circa 400 dollari a circa 1.000 dollari.
Questo aumento di quasi il 7% annuo è dipeso principalmente dalla forte domanda dei due più importanti “consumatori d'oro”, India e Cina, le cui economie in quella fase erano in piena espansione.
A causa della forte domanda di questi paesi nel 2004 abbiamo descritto le prospettive dell'oro come segue: “Se tutto va bene, il prezzo salirà a 1.000 dollari, altrimenti sarà significativamente più alto”.
E le cose non sono andate bene. Dopo la crisi finanziaria, il debito degli Stati Uniti è aumentato in modo significativo, raggiungendo nel 2012 la soglia del 100% per la prima volta dagli anni Quaranta.
Il prezzo dell'oro è raddoppiato fino a superare i 1.900 dollari nel 2011, anche a causa della crisi dell'euro e dell'esplosione del debito nazionale nell'eurozona.
In seguito, la situazione si è calmata per un po'. Il rapporto debito pubblico/PIL degli Stati Uniti si è stabilizzato a ben il 100% e il prezzo dell'oro è sceso (anche a causa della marcata forza del dollaro) fino a un minimo di poco più di 1.050 dollari, prima di riprendersi lentamente fino a raggiungere i 1.500 dollari.
Poi è arrivato il Covid.
Giganteschi pacchetti di salvataggio e un crollo dell'economia hanno fatto esplodere il debito pubblico degli Stati Uniti fino a raggiungere il massimo storico di oltre il 130% del PIL in un lasso di tempo molto limitato.
Allo stesso tempo, il prezzo dell'oro è esploso da 1.500 a 2.060 dollari. La calma è tornata di nuovo. Il debito pubblico è sceso nuovamente al 120% grazie agli alti tassi di inflazione e a un buon sviluppo economico, per poi risalire leggermente al livello attuale del 125%.
In quel periodo il prezzo dell'oro ha oscillato intorno ai 1.800 dollari fino a superare per la prima volta, alla fine del 2023, il livello record raggiunto durante la pandemia di Covid19.
Il 26 settembre ha raggiunto il suo precedente record di 2.672 dollari, che può essere interpretato anche come l'anticipazione di un ulteriore aumento del debito pubblico.
La sola spesa per interessi del governo statunitense salirà quest'anno a oltre il 3% del PIL.
È possibile che il forte aumento dei prezzi degli ultimi mesi sia seguito da un'altra pausa fino alla prossima spinta al rialzo del debito pubblico. A prescindere da ciò, l'oro rimane un'importante ancora di valore in un mondo sempre più fragile (per il debito).