OGGI, ARAMCO, LASCIA SUI TAVOLI FINANZIARI IL 19%

OGGI, ARAMCO, LASCIA SUI TAVOLI FINANZIARI IL 19%

Redazione, 9 maggio 2023.

ARAMCO, compagnia nazionale saudita di idrocarburi, tra le maggiori compagnie petrolifere al mondo con più di 10 milioni di barili estratti al giorno, nel 2022 era diventata la più grande per capitalizzazione demolendo il primato di Apple.

Oggi, il suo inciampo con perdita pari al 19%.

Il calo dei prezzi del petrolio ha portato l'utile netto a 31,9 miliardi di dollari in calo rispetto ai 39,5 miliardi di dollari dell’anno scorso.

Tuttavia, il dato è superiore alle attese espresse dagli analisti ascoltati da Reuters che si aspettavano un dato inferiore e pari a 30,5 miliardi di dollari.

Questo pessimismo si fonda sui dati relativi all'inflazione, sull'aumento dei tassi di interesse che frenano la domanda globale, sui timori sempre più diffusi di un'incombente recessione.

Amin Nasser, CEO di ARAMCO, è convinto di essre sul percorso corretto, anche in virtù dei grandi investimenti che ha introdotto per finanziare operazioni petrolchimiche alternative.

Ha dichiarato: “Stiamo sfruttando tecnologie all’avanguardia per aumentare la capacità di trasformazione dei liquidi in sostanze chimiche e soddisfare la domanda prevista di prodotti petrolchimici... riteniamo che petrolio e gas rimarranno componenti fondamentali del mix energetico globale per il prossimo futuro.... le prospettive [aziendali] a lungo termine rimangono invariate”.

La Basic Industries Corporation (SABIC) dell’Arabia Saudita, posseduta al 70% da ARAMCO, ha registrato il crollo del suo utile netto pari al 90%.

Gli aumenti del prezzo del Brent del 2022 stanno cedendo il passo alla riduzione nel 2023, pari ad oltre il 17% su base annua.

Tutto rimanda alla politica monetaria adottata dalla FED e dalla BCE che hanno occhi solo per l'inflazione mentre comprimono la domanda di energia ed ogni processo economico.

Ed Morse, amministratore delegato e responsabile globale della ricerca sulle materie prime presso Citigroup, conferma asserendo che “La pressione dell’azione antinflazionistica intrapresa sia dalla Fed statunitense che dalla BCE, ha portato a una crescita della domanda debole per la maggior parte dell’OCSE, con rischi di recessione in vista".