Nel groviglio Iran, l`Italia potrebbe giocare un ruolo da protagonista

L’Iran si trova in una profonda crisi diplomatica con Stati Uniti, Europa ed Israele, che accusano Theran di essere in possesso del materiale necessario per costruire un ordigno nucleare. Tutto iniziò nel 2005, con un rapporto del National Intelligence Estimate - l’agenzia federale Usa che si occupa di intelligence -, che sosteneva che l’Iran può, entro il 2015, costruire la bomba atomica.

Sempre nel 2009, la stessa agenzia americana sosteneva che le intenzioni iraniane sono sconosciute e che il paese sarebbe stato in grado di costruire un ordigno nucleare, anche se comunque non prima del 2013. Dello stesso parere sembra essere l’intelligence europeo, mentre da parte russa c’è una posizione molto più cauta sull’argomento. Per Putin non ci sono evidenze di un programma nucleare in atto da parte di Theran, mentre il nuovo premier russo Medvedev ha puntualizzato che l’Iran è vicino al momento in cui potrebbe costruire armi nucleari. Il Consiglio delle Nazioni Unite (dove ricordiamo ci sono i seggi permanenti con diritto di veto di Usa, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina) dopo la votazione (non all’unanimità) dell’IAEA (l’agenzia internazionale dell’energia nucleare), che si è pronunciata affinché il paese interrompa l’arricchimento dell’uranio , decide il 31 luglio 2006 per la risoluzione 1696, che prevede che l’Iran sospenda il proprio programma di arricchimento dell’uranio. Il 23 dicembre dello stesso anno il Consiglio di Sicurezza dell’Onu decide per le sanzioni economiche verso il paese, peraltro inasprite il 24 marzo del 2007. 

Da parte iraniana c’è sempre stata la condanna delle sanzioni economiche e del giudizio dell’IAEA, sostenendo che il paese ha diritto ad utilizzare l’energia nucleare a scopo civile. Secondo l’egiziano El Baradei, direttore dell’IAEA dal 1997 al 2009, non ci sarebbero evidenze del fatto che l’Iran stia costruendo la bomba atomica. Questa posizione è stata aspramente criticata da Shaul Mofaz (allora nelle veci di vice Primo Ministro israeliano), che nel novembre del 2007 ha attaccato duramente El Baradei, accusandolo di minare la pace mondiale con la sua posizione. E’ curioso notare che Israele -l’unico stato della regione che dispone di armi nucleari-, non ha mai firmato il Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, a differenza dell’Iran che ha sottoscritto l’accordo. E’ curioso anche notare che Europa e Stati Uniti hanno incoraggiato l’Iran ad adottare l’energia nucleare (a scopi pacifici) quando a governare il paese c’era ancora il monarca Pahlavi, ma dopo la Rivoluzione Khomeinista del 1979 quello che un tempo era l’Antica Persia non è più un alleato americano.

Nel febbraio del 2010 gli ispettori dell’IAEA (che periodicamente fanno controlli in Iran), hanno riportato che l’Iran è riuscito a giungere ad un livello di arricchimento dell’uranio pari al 19,8%. Un livello di arricchimento dell’uranio intorno al 20% è considerato  “basso livello di arricchimento” (per costruire la bomba atomica occorre un livello di arricchimento dell’uranio pari al 90%), adatto a scopi civili e medici, anche se comunque già (teoricamente) utilizzabile per un qualche esplosivo, seppur “sporco”. D’altro canto, l’Iran deve scontrarsi con le paure di Israele che teme di non esser più l’unica potenza nucleare della regione.  
Siamo alle prese con una guerra, seppur diplomatica, a colpi di attentati fra l’una e l’altra parte. L’11 gennaio scorso Mostafa Ahmadi-Roshan, giovane scienziato iraniano che partecipava al programma nucleare iraniano, è stato ucciso in un attentato. Probabile che dietro a questo ci sia il Mossad (i potentissimi servizi segreti israeliani), la Cia e forse i servizi segreti sauditi. Quest’ultimo è il nono di una lunga serie di attentati indirizzati a scienziati che partecipano al programma nucleare e a militari iraniani. Per contro, l’Iran non è stato a guardare ed ha sempre risposto agli attentati ai propri scienziati, come il l’attentato di una settimana fa alla sede dell’ambasciata israeliana di Nuova Delhi o a Tbilisi contro un veicolo dell’ambasciata israeliana (con un’autobomba fissata ad un magnete, stessa modalità dell’attentato allo scienziato iraniano Mostafa Ahmadi-Roshan), anche se quest’ultimo è stato poi sventato.

I servizi segreti occidentali ed israeliani temono che l’Iran possa trasferire a breve la quantità di uranio arricchito al 20% nel sito sotterraneo di Fordo, vicino a Qom, per poter velocizzare il processo di arricchimento di uranio al 90% e giungere così in tempi brevi ad avere l’ordigno nucleare. Ieri sera il capo dell’AIEA ha espresso la propria delusione per il rifiuto da parte di Theran ad una nuova visita degli ispettori nel sito di Parchin, dove il paese (secondo le intelligence occidentali) sta conducendo test con esplosivi nucleari. La posizione del premier israeliano Netanyahu è fortemente interventista, infatti il primo ministro israeliano spinge per l’intervento militare preventivo. Dalla Casa Bianca Jay Carney ha sostenuto ieri notte che Stati Uniti ed Israele hanno lo stesso obiettivo, che è quello di evitare che l’Iran giunga ad avere armi nucleari, ma che c’è ancora tempo per giocare la carta diplomatica.
L’Iran, che ricordiamo ha le quarte riserve mondiali di petrolio al mondo e seconde riserve mondiali di gas naturale (vedi articolo del 5 dicembre 2011), sta spostando sempre più il proprio baricentro economico e diplomatico verso Oriente. Già ora, il primo importatore del petrolio iraniano è la Cina (con 426 milioni di barili al giorno nel 2010), seguita da Giappone (362 milioni di barili al giorno) ed India (ma al quarto posto c’è l’Italia), ma questi quantitativi sono destinati ad aumentare nei prossimi mesi a scapito della quota europea. Alla luce del recente blocco iraniano delle esportazioni di petrolio nei confronti di Francia e Regno Unito -in risposta all’embargo petrolifero stabilito per il prossimo luglio e con la minaccia di bloccare tutte le esportazioni verso l’Europa (danneggiando soprattutto Italia e Spagna)-, è chiaro a tutti che il petrolio iraniano prenderà la via di Pechino e Nuova Delhi, i due voraci giganti asiatici in crescita.

La crescente tensione sul fronte iraniano avrà delle ripercussioni negative per l’Italia (così come successe con la Guerra alla Libia): nel 2010 il 13% circa del petrolio consumato dal nostro paese proveniva dall’Iran (dati EIA), una percentuale certamente non trascurabile, che dovremo cercare di andare a coprire da altri fornitori. Ma non dimentichiamoci anche che il nostro paese è il secondo partner commerciale dell’Iran. L’Italia, sulla questione è rimasta un po’ troppo in disparte lasciando prevalere la linea della Nato (appoggiando quindi in toto tutte le sanzioni economiche e mostrandosi fortemente critica verso il governo di Ahmadinejad); forse è giunto il momento di far pesare il proprio rapporto privilegiato con quella che un tempo era l’”Antica Persia” e cercare una soluzione firmata Italia, considerando che l’aumento delle tensioni e l’embargo all’Iran diminuiranno comunque la nostra influenza sull’Iran (e saranno un colpo anche per il commercio estero delle nostre imprese con quelle di Theran). I tempi per risolvere la questione iraniana in via diplomatica sono sempre più stretti, è quindi auspicabile una presa di posizione dell’Italia per salvaguardare i propri interessi (senza venire ridimensionati come con la Libia) ed impedire che una delle due parti accenda la miccia della guerra.

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