MUSICA E SPETTACOLO: CRONACA DI UN DISASTRO (PIU` VOLTE) ANNUNCIATO.
Milano, 3 novembre 2021. Di Giacomo Campi, Producer - Sound Engineer L’11 Ottobre, attraverso un Decreto Legge della Presidenza del Consiglio dei Ministri, è stato dato il via libera alla riapertura
dei luoghi di cultura (teatri, discoteche, concerti, ecc) a patto che si rispettino le ormai arcinote norme di sicurezza che regolamentano il tanto bramato ritorno a una vita tutto sommato definibile “normale” dopo più di un anno e mezzo di pandemia globale.
In intesi smette di essere proibito il pubblico esercizio della cultura nei vari luoghi di aggregazione non virtuale in cui essa si trasmette e quindi torna tutto come prima, siamo salvi.
Vorrei poter chiudere questo articolo così, con una bella notizia, la fine delle sofferenze e finalmente chi appartiene a quel settore professionale che, dati INPS del 2019, contribuiva al 3,4% del PIL italiano, producendo un valore aggiunto di circa 60 miliardi di Euro, può voltare pagina.
E invece la situazione è ben diversa.
Innanzitutto è bene individuare quali sono le fonti di denaro dell’industria dello spettacolo, più nello specifico mi riferirò all’industria musicale, in quanto è il settore in cui ho maggior esperienza.
Il motore dell’economia musicale è senza ombra di dubbio il live: gli eventi dal vivo creano i presupposti per la riscossione delle royalties, cioè i compensi che vengono erogati in Italia dalla SIAE in base al diritto d’autore, attirano gli spettatori che, pagando il biglietto, fanno entrare denaro ai locali e alle varie agenzie che si occupano dell’organizzazione degli spettacoli, a loro volta queste potranno richiedere le prestazioni di professionalità varie (tecnici del suono e delle luci, promoter, influencer, ecc) e pagare il cachè agli artisti.
Gli artisti, quindi, pagheranno gli studi di registrazione, gli strumentisti e i produttori per incidere nuova musica e quindi la moneta gira.
Il governo in questo senso si è lavato le mani: la scarsa conoscenza (volendo pensare che gli errori commessi fossero in buona fede) di questo settore ha fatto pensare che bastassero gli aiuti alle partite IVA (i cosiddetti ristori) e le casse integrazione per venire incontro alle esigenze di tutti;
peccato che la stragrande maggioranza di chi opera nello spettacolo lo fa tramite cooperative o venendo pagato, per l’appunto, dalla SIAE, non attraverso una libera professione o un contratto da dipendente.
Per farla breve, il 90% di chi opera in uno dei principali settori artistici e culturali non riesce a campare da Febbraio 2020 e a nulla sono serviti gli appelli di importanti personalità del music business (Elisa e Fedez su tutti) che hanno cercato di sensibilizzare l’opinione pubblica e politica su questa problematica, nemmeno le proteste di movimenti come “Bauli in Piazza” hanno sortito alcun effetto.
La “riapertura”, se così può essere definita, dell’11 Ottobre quindi è arrivata diversi mesi in ritardo rispetto al resto del mondo, dove l’intervento di chi governa è stato più puntuale e senz’altro più consapevole e rispettoso di tutte quelle professionalità che da quando il termine “assembramento” è divenuto per antonomasia qualcosa di proibito hanno purtroppo smesso di lavorare.
Le professionalità dello spettacolo sono persone, spesso laureate o comunque con alle spalle lunghi e tortuosi cammini di studio, tra Conservatori, Accademie ed istituti di alta cultura, ma in Italia sembra sempre che si parli di un gruppo di ragazzi con la chitarra in spalla, forse poco consapevoli di quanto ciò che fanno sia superfluo, l’ultima ruota del carro.
Non è quindi per nulla sorprendente la vergognosa gestione degli ultimi due governi verso coloro che, forse ispirati da qualche personaggio di Cervantes, combattono quotidianamente battaglie per portare avanti la cultura in un paese in totale deriva intellettuale, e che ora, al netto dei caduti ignorati dalle istituzioni, si ritrovano a provare a riaprire una bottega, disillusi, oggi forse consapevoli che la cultura in tempo di pandemia s’è fermata a Boccaccio.