MERCATI: IL PESO DELLE PAROLE DEGLI ESPERTI
Milano, 20 gennaio 2025. A cura di Enguerrand Artaz, Fund Manager di La Financière de l’Échiquier
Maggior calo del decennale statunitense dopo lo stress di inizio agosto 2024, maggior flessione del decennale tedesco da metà giugno, impennata del 3,7% dei Magnifici 7, uno dei maggiori rialzi giornalieri degli ultimi due anni...
Sarebbe legittimo, osservando le reazioni del mercato dopo la pubblicazione dei dati sull'inflazione statunitense di dicembre, aspettarci un'ottima sorpresa sul fronte dei dati, in grado di modificare radicalmente la narrazione riferita all'inflazione.
Eppure, benché la piacevole sorpresa ci sia effettivamente stata, si è rivelata molto marginale.
L'inflazione totale è uscita al 2,9%, rigorosamente in linea con le aspettative del consenso.
L'inflazione di fondo, invece, si è attestata al 3,2%, rispetto al 3,3% previsto - in realtà il 3,248%, arrotondato quindi al 3,3%.
Perché dunque i mercati avranno reagito in modo così impulsivo di fronte a una sorpresa tanto lieve?
Si tratta, in sostanza, di una sensibilità estrema dimostrata dagli investitori, in obbligazioni soprattutto, che si è andata sviluppando gradualmente a partire dall'autunno in concomitanza con un forte rialzo dei tassi di interesse.
Innescato dalla prospettiva di una vittoria di Donald Trump e dell'attuazione di un programma ritenuto inflazionistico, amplificato dal suo grande successo alle elezioni presidenziali e rilanciato poi dal tono restrittivo della Federal Reserve (Fed) al termine della riunione di metà dicembre, questo movimento è culminato con la pubblicazione, a inizio gennaio, di un rapporto molto solido sull'occupazione statunitense.
Nel frattempo, gli investitori hanno rivisto da 6 a meno di 2 i tagli attesi dei tassi da parte della Fed nel 2025. E il decennale statunitense è passato dal 3,6% di metà settembre al 4,8% di metà gennaio. Un rialzo spettacolare che pone nuovamente la questione dell’inflazione al centro delle preoccupazioni.
Osservando però con freddezza i dati sull'inflazione, è difficile cogliere il motivo di tanta tensione.
Certo, entrando nella fase finale il ritmo della disinflazione è rallentato, con aumenti dei prezzi leggermente superiori tra agosto e novembre.
Eppure, le tendenze di fondo, che non sono praticamente cambiate, rimangono favorevoli.
L'inflazione legata agli alloggi, la componente maggiore dell'inflazione residua che tarda molto a essere presa in considerazione, continua a scendere.
Lo stesso dicasi per il principale punto di attenzione della Fed negli ultimi mesi, i servizi tranne gli alloggi, dove l'aumento dei prezzi continua a rallentare.
Quanto al leggero aumento dell'inflazione negli ultimi mesi, è stato per lo più alimentato sia da componenti strutturalmente volatili (biglietti aerei, abbigliamento), sia da rimbalzi puntali, in particolare dei prezzi delle auto usate, dopo una lunga fase di ribassi.
A questo proposito, i dati sull'inflazione di dicembre, percepiti come estremamente positivi dai mercati, non modificano queste osservazioni. In breve, la disinflazione continua sicuramente negli Stati Uniti, anche se un po' più lentamente.
Nel merito, questa sequenza riflette soprattutto il peso della psicologia degli investitori sulla percezione dei dati economici e, ancor più certamente, il peso dei discorsi sulla psicologia degli investitori.
È questo il caso del discorso di Donald Trump che ha posto l'accento sull'aumento dei dazi, l’espulsione in massa dei lavoratori immigrati e un ulteriore taglio dell'imposta sulle società, tutte misure chiave ritenute in grado di rilanciare l'inflazione.
Ed è stato anche il caso del discorso di Jerome Powell al termine della riunione della Fed di dicembre, che faceva trasparire una minor fiducia nel proseguimento della disinflazione da parte di una banca centrale preoccupata dagli effetti delle politiche del nuovo Presidente.
Talmente preoccupata da inserirle nelle sue previsioni economiche, anche se non è ancora chiaro quali misure adotterà la nuova amministrazione.
Non va poi dimenticato il recente discorso di Christopher Waller, membro del Consiglio dei Governatori della Fed.
Schierato solitamente dalla parte dei “falchi”, l'ex vicepresidente della Fed di St Louis è stato particolarmente accomodante, ritenendo che la Federal Reserve possa tagliare i tassi fino a 4 volte nel 2025, senza escludere un taglio in occasione della riunione di marzo.
Così facendo si è amplificato il movimento di allentamento sui mercati obbligazionari innescato dalla sorpresa positiva sull'inflazione.
Pochi giorni prima si era dimostrato fiducioso circa il proseguimento della disinflazione e riteneva che la politica dei dazi doganali dell'amministrazione Trump avrebbe avuto un effetto limitato sull'inflazione.
Data l'influenza di Christopher Waller all'interno della Fed, non possiamo escludere che si tratti di una forma di “servizio post-vendita” da parte della banca centrale, preoccupata del livello raggiunto e del percorso intrapreso dai tassi a lungo termine per riportare i mercati a una qualche forma di razionalità.
Per gli investitori, questa sequenza serve da promemoria.
I discorsi di personalità influenti - leader politici, banchieri centrali, ecc. - e i cambiamenti nella psicologia dei mercati creano volatilità a breve termine, di cui si può cercare di approfittare. Nel lungo periodo, tuttavia, la realtà economica - in questo caso, il proseguimento della disinflazione - finisce generalmente per ricordarci di correggere gli eccessi. Il tutto per aiutarci a mantenere la rotta di fronte alle reazioni puntualmente esuberanti dei mercati.