MANESKIN O UGHI?
Milano, 23 gennaio 2023. Di Luca Cerchiari, Musicologo e Critico Musicale.
“Mi dimetto dalla Commissione ancor prima che si costituisca”.
Il ricordo di questa singolare uscita del collega Gigi Livio, nel mio primo anno di insegnamento universitario, Torino 1997, è indelebile.
Lo guardavamo come si fa con un matto, ma forse lui, grande esperto di teatro, era il più saggio di tutti.
Tuonava anche contro il presente, fonte di ogni male, e per questo si attirava strali ed ironie del Preside, tale Roberto Alonge, altro teatrante, che lo sfotteva anche alludendo al fatto che privilegiasse le sessantenni alle ventenni, in quanto ragazze di un tempo.
Povero Livio.
Certo, a guardare i Maneskin (nome danese, ispirato dalla famiglia della bassista Victoria de Angelis) c’è da chiedersi cosa del presente loro, ultimo CD appena uscito incluso, possa salvarsi.
A sparare a zero contro I Maneskin, dopo l’isolato sottoscritto, è però appena arrivato il più celebre violinista Uto Ughi, uno da sempre poco tenero con tutti.
Sul gruppo pariolino ha sputato una sentenza inappellabile, ma assolutamente corretta, sostenendo (a Siena, giorni fa, durante una conferenza stampa) che l’unica cosa che sanno fare è il fracasso.
Sottoscrivo, con una riflessione.
Mentre i Maneskin si apprestano come Volodymyr Zelensky a partecipare al circo di Sanremo 2023, Ughi va in tournée per poche centinaia di spettatori.
Forse sarebbe meglio occuparsi di lui che non del fracasso verbo-visivo dei Maneskin nella manifestazione sanremese.
In sintesi, piuttosto che parlare di cose di scarso livello criticandole anche aspramente, forse è meglio parlare di cose interessanti mettendole nella giusta luce.
Il violinista merita riconoscimenti, come del resto molti altri, mentre Damiano e Victoria sinora ne hanno avuti più che a sufficienza, e farebbero bene a mettersi a studiare musica seriamente.
I loro spettacoli privilegiano il visivo al sonoro, e dove c’è sonoro c’è, sostanzialmente, fracasso.