L’utopia del giovane consulente finanziario

Pubblichiamo un interessante contributo ricevuto da un nostro giovane lettore che pone l’accento su una problematica “pratica” relativa al mondo della consulenza finanziara.

L’utopia del giovane consulente finanziario

Gentile redazione,
mi chiamo Valerio e sono un giovane laureando (entro giugno dovrei farcela) in Economia presso l’Università Bocconi di Milano. Lavorando sulla mia tesi sui derivati ho avuto modo di imbattermi sul vostro sito e avuto modo di apprezzare il vostro modo di fare informazione, semplice ma competente allo stesso tempo. Ebbene, ho da poco concluso uno stage obbligatorio formativo presso una nota banca nostrana ed è da questa esperienza che è nato in me il desiderio di diventare un consulente finanziario, forse anche perché ho avuto modo di vedere l’esperienza in tal senso svolta da mio padre, ex promotore finanziario. Il fatto però di aver lavorato, se pur per poco tempo in banca e di avere inoltre più volte sentito le lamentele di mio padre sulle pressioni che il suo istituto faceva in termini di collocamento prodotti, mi ha portato a pensare di volere diventare un consulente finanziario sì, ma per conto mio.

Mi sono quindi messo a cercare in internet papabili opportunità di lavoro che presentassero la prospettiva che mi ero messo in testa e di fronte a me si sono palesate solo una sequenza ininterrotta di annunci di banche che cercavano giovani neolaureati da inserire e basta. Non ho trovato nessun annuncio da parte di realtà indipendenti che cercassero giovani come me da indirizzare. Mi sembra che ci siano tante piccolissime realtà che campano da sole, ragion per cui per entrare in questo mercato bisogna farsi il proprio studio con già un bel po’ di clienti sulle spalle, ipotesi che un giovane non può di certo prendere in considerazione. In sostanza, da quello che ho capito e che ha avuto modo di ribadirmi mio padre, un giovane non troverà mai spazio (e intendo anche di che vivere economicamente parlando) in uno studio di consulenza indipendente ma è quasi “obbligato” dal mercato a fare la sua esperienza come promotore presso una banca, anche perché finchè non si ha un adeguato parco clienti (e in questo una banca può servire), non può sperare di mettersi in proprio. Io vorrei chiedere alla vostra redazione, in quanto quotidiano dei consulenti indipendenti, se questa mia supposizione corrisponda o meno al vero, anche perché il mio entusiasmo è andato calando dopo tutta questa ricerca inutile. Vi prego di rispondere in piena sincerità e vi ringrazio per l’attenzione.

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