Luci e ombre del Summit europeo

di Mario Lettieri, Sottosegretario dell`Economia nel governo Prodi e Paolo Raimondi, Economista. L’idea di ripresa economica esce sconfitta dal Summit europeo di Bruxelles. Ancora una volta i capi di stato e di governo europei, fortemente condizionati dagli accordi privilegiati tra Merkel e Sarkozy, non hanno saputo coniugare l’esigenza del rigore con quella della crescita.   Secondo i leader dell’eurozona, prima devono venire i tagli di bilancio, le misure di austerità per abbattere il debito pubblico e i cambiamenti dei trattati, poi si penserà alla ripresa economica! Sembra sia ideologicamente impossibile far marciare insieme il treno del rigore e quello della ripresa.

Luci e ombre del Summit europeo

Eppure tutti sanno, come del resto ha ricordato anche la Banca d’Italia, che nell’intervallo tra il nuovo patto di bilancio e le future misure di rilancio ancora da definire, ci sarà una recessione economica con una riduzione del Pil, soprattutto nei paesi più deboli. Di fatto ciò andrà ad aggravare il tanto temuto rapporto debito/Pil e ad esacerbare le crescenti e giustificate tensioni sociali. Come già sta accadendo in Italia.

Oltre agli ormai arcinoti dettagli sulla stabilità fiscale e sugli automatismi correttivi dei disavanzi di bilancio, la Dichiarazione di Bruxelles rivela però che per la coppia franco-tedesca non è stato tutto rose e fiori. Infatti se la si legge alla luce della lettera che Merkel e Sarkozy hanno mandato solo pochi giorni prima al presidente del Consiglio Europeo Herman van Ronpuy si deduce che il progetto di imporre il loro asse dominante non è passato.

Per creare una governance europea rafforzata e per assicurare la disciplina di bilancio, la lettera chiedeva di definire un’architettura istituzionale basata su summit regolari dei capi di stato e di governo due volte all’anno in tempi normali ed una volta al mese durante le crisi, come quella attuale, con un presidente permanente. Proponeva inoltre la creazione di un eurogruppo a livello ministeriale ed una struttura preparatoria per mettere in atto le decisioni dei summit. A questo processo si sarebbero dovuto poi “associare” la Commissione europea e i parlamenti di Strasburgo e nazionali.

Anche se può sembrare il nuovo auspicato decisionismo dei governi europei, in realtà esso è un tentativo della Germania, sostenuta per convenienza dalla Francia, di impossessarsi delle leve di comando economico dell’Europa.  Se ciò accadesse, a nostro avviso si verrebbe meno ai mandati e ai principi costitutivi dell’Unione europea, con l’esautorazione di fatto della Commissione che evidentemente è ritenuta troppo lenta e troppo influenzabile dai governi.

La Dichiarazione del 9 dicembre per fortuna ha relegato la richiesta franco-tedesca al punto 10 dove si dice che “sarà rafforzata la governance della zona euro, come concordato in occasione del vertice europeo del 26 ottobre. In particolare si svolgeranno vertici europei almeno due volte l’anno”.

Ancora una volta risulta chiara la volontà della Merkel di voler far perdere del tempo prezioso. Invece di prendere delle decisioni coraggiose come quella degli eurbond, la cancelliera sembra preferire tergiversare intorno alla costruzione di architetture, di condizionamenti e di nuovi accordi che stravolgerebbero l’interno processo di unificazione europea.
L’altra grande novità del summit è stata la decisione della Gran Bretagna di non firmare l’accordo e di accelerare l’annunciata rottura con l’Ue. Il premier David Cameron ha detto di voler difendere la sovranità e l’indipendenza inglesi. In realtà il motivo vero della rottura ruota intorno al ruolo della City in quanto vero centro mondiale della finanza, dei derivati, degli hedge fund e del “sistema bancario ombra”. Londra ha voluto proteggere la City dalla tassa sulle transazioni finanziarie e dalle altre regole che l’Europa finalmente vorrebbe introdurre.

Il fatto che la City rappresenti oltre il 10% del Pil britannico solleva ulteriori dubbi sulla effettiva solvibilità di Londra. Tale decisione getta luce sul ruolo della finanza nell’attuale crisi sistemica e sulle sue responsabilità negli effetti di contagio.

Fintanto che gli inglesi restano al servizio della City non potranno che svolgere il compito loro assegnato, cioè il sabotaggio della riforma globale del sistema finanziario.

L’abbandono di Londra potrebbe trasformarsi in una accelerazione verso la costruzione politica dell’Europa, sempre che ci si liberi della “dottrina Thatcher” che Londra invece vorrebbe lasciarci in eredità.

Comunque, indipendentemente dalla decisione di Cameron, la situazione in Europa continua ad essere preoccupante e gli speculatori continuano ad essere ancora in sella.

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