Lo strano caso di Banca Network, dove nessuno si accorge di nulla

Ci sono delle storie di risparmio tradito che ti colpiscono particolarmente. E che ti fanno riflettere. Quella del caso di Banca Network è una di queste.

Lo strano caso di Banca Network, dove nessuno si accorge di nulla

Una banca dalla vita travagliata che nelle scorse settimane sembra essere arrivata al capolinea con i conti dei correntisti (Bancomat compreso) bloccati (entro fine agosto si spera nello sblocco), richiesta di accesso al  Fondo interbancario di tutela dei depositi per “ristorare” fino a 100.000 euro i correntisti e 69 dipendenti del gruppo in seria apprensione per le loro sorti mentre per i quasi 300 promotori finanziari e la loro clientela la Consultinvest sim ha organizzato un approdo.

Un fulmine a ciel sereno? Non proprio. Da tempo questa banca era in amministrazione straordinaria (qui puoi consultare l’elenco delle altre dove vi è una situazione di crisi dichiarata) e si sapeva che fra i soci “eccellenti” di questo istituto (Sopaf, il gruppo assicurativo Aviva, il Banco Popolare e la famiglia De Agostini) non c’era unità d’intenti e nessuno voleva “cacciare il grano”. Si cercava di trovare un nuovo azionista o una soluzione per uscire dalle secche ma nessuno voleva mettere mezzi freschi dentro la società.

E uno si domanda: un risparmiatore minimamente consapevole dei propri risparmi e sicuramente un promotore finanziario che lavorava per questa banca è possibile che non aveva fiutato il pericolo?

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Lo slogan di Banca Network...Sigh!

Come si può restare fedeli a una banca se questa non solo è “chiacchierata” ma dalle voci si passa ai fatti ed è dal novembre 2011 in amministrazione straordinaria ovvero un provvedimento che viene preso per accertare la situazione aziendale e avviare soluzioni nell’interesse dei depositanti e che viene disposta con con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, emanato su proposta della Banca d’Italia, cui spetta la nomina degli organi straordinari. Insomma non un provvedimento che si prende proprio a cuor leggero.

Secondo il notissimo aforisma di Luigi Einaudi, il risparmiatore ha memoria di elefante (si ricorda per lunghissimo tempo delle promesse infrante) gambe di lepre (fugge velocissimo non appena sente odor di pericolo) e cuor di coniglio (ha una posizione di assoluta prudenza rispetto ai grandi rischi).

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Qualcosa deve essere cambiato dai tempi di quel galantuomo di Einaudi poiché le “gambe di lepre” questa volta (e non è la prima volta) non hanno funzionato. E verrebbe proprio da dire che i risparmiatori oramai sembrano “cloroformizzati”  come sull’argomento osserva un osservatore di lungo corso come Marco Liera sulle colonne de “Il Sole 24 Ore” in un articolo da titolo significativo: “Le banche tagliano, i clienti rischiano l’abbandono”.

Dentro la “rete” di Banca Network ci sono, infatti, finiti quasi 28.000 risparmiatori secondo i dati pubblicati in queste settimane, quasi 300 promotori finanziari ancora attivi e masse gestite per quasi 2 miliardi di euro. E da un giorno all’altro i clienti di questa banca si sono trovati i conti bloccati e l’impossibilità di accedere ai propri risparmi o prelevare dal bancomat.

Naturalmente non un preavviso o una comunicazione ai propri clienti: solo un comunicato in cui si spiega che la misura si è resa necessaria per «fronteggiare la situazione di difficoltà». Ora i depositanti per la parte di liquidità detenuta attendono nei prossimi mesi lo sblocco dei conti e il parziale intervento se le cose si mettessero male (fino a 100.000 euro) del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (e ricordiamo che questo “fondo” non è un pozzo di San Patrizio come ha spiegato più volte Roberta Rossi, titolare del sito MoneyExpert.it, editore associato di MoneyReport.it e consulente finanziario indipendente, che se le cose si mettono veramente male ci sarà sempre a cui attingere) mentre per i dossier titoli detenuti fortunatamente in questo caso non c’è stato nessun blocco e i clienti possono trasferire i propri titoli (azioni, fondi, sicav) presso un altro istituto.

Ma la domanda resta. Perché sovente i risparmiatori restano incastrati in banche traballanti o in prodotti finanziari scadenti?

Una riflessione che mi viene spontanea seguendo da qualche settimana una bellissima rubrica (questo è un contributo recente)  a cura di un anonimo quanto brillante esperto di risparmio gestito (che si firma con lo pseudonomo di Zombie Terminator) che analizza ogni settimana sul sito Ifanews.it (un crescente punto di riferimento per consulenti finanziari indipendenti e risparmiatori evoluti) i peggiori fondi in circolazione, facendone una disanima attenta fra obiettivi dichiarati (sempre fantastici) e risultati ottenuti (spesso miserrimi e ben lontani anche dai benckmark), svelandone trucchi, errori e furbizie dei gestori.

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La rubrica Zombie Terminator

E la cosa che lascia sempre sgomenti è vedere fondi che magari da 3 anni consecutivi perdono pesantemente anche a colpi di -10-15% ciònonostante hanno ancora oggi masse gestite di decine e addirittura di centinaia di milioni di euro affidate. Come è possibile?

I risparmiatori allora veramente sono afflitti come ho scritto negli anni passati in diversi articoli e un libro (“Bella la Borsa, peccato quando scende”) dalla sindrome di Stoccolma e si innamorano dei loro carnefici? Più questi li seviziano, più ne restano attaccati…

Mi sembra un argomento con cui discuterne con Francesco Priore, già docente di marketing finanziario all’Universita’ degli Studi di Ferrara ma soprattutto una “memoria storica” del mondo delle reti di promotori finanziari in Italia avendo nella sua lunga e brillante carriera lavorato come consulente per l’organizzazione  di reti di vendita (oggi collabora con Azimut), direttore marketing e comunicazione, area manager a all’inizio come promotore per molte realtà importanti.

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Francesco Priore

Da Banca Fideuram a Fineco, passando anche per Area Banca molti anni fa (quando ci siamo conosciuti in occasione di un’intervista ed erano i ruggenti anni ’90 e di cui a quell’epoca prima della fase discendente ne era il direttore comunicazione e marketing), proprio la banca dalle cui costole è nata Banca Network dopo la fusione con Banca Bipielle Network (l’ex braccio online della Banca Popolare di Lodi al tempo di Fiorani).

L’intervista a Francesco Priore. “Un errore per molte società di gestione aver puntato così tanto sull’architettura aperta e così i promotori sono fra due fuochi. O studiano i mercati o vendono e seguono la clientela”.

Come si può spiegare questa “sindrome di Stoccolma”? Che idea si è fatto in questi anni sul motivo per cui molti risparmiatori nonostante prendano “sberle” continuano a restare fedeli al loro promotore o alla propria banca?

 

“Vi è una relazione molto forte fra risparmiatori e il promotore che propone un servizio finanziario. E’ una persona che entra in casa, magari una persona che diventa anche amica. E si è costruito e si costruisce un forte rapporto fiduciario e di empatia. E’ questo  fa  passare tutto il resto in secondo piano. Anche rispetto all’andamento dei prodotti sottoscritti. Lo stesso fenomeno avviene anche nei rapporti con le banche. Magari il cliente si lamenta per il servizio, il costo elevato rispetto alla concorrenza ma difficilmente la cambia. E qui entro in gioco un altro fattore importante: la resistenza al cambiamento. Per molte persone cambiare è una scelta molto difficile. Soprattutto quando le cose non vanno bene. Si spera in un  miglioramento. Magari in un ritorno al prezzo di carico se si è fatto un investimento che è  in forte perdita. Cambiare significherebbe ammettere di aver sbagliato. E molti risparmiatori questo non vogliono ammetterlo come insegnano anche gli studi di finanza comportamentale”.

Nel caso di Banca Network mi ha colpito che in una banca dove i soci da tempo non erano d’accordo niente e soprattutto non volevano tirare fuori i soldi per finanziare la società; con un’amministrazione straordinaria in corso da molti mesi ci fossero ancora tanti clienti e promotori che non avevano “fiutato” il pericolo. Passi al limite per un cliente che magari non legge “Il Sole 24 Ore”, la stampa e i siti specializzati e si fa un’idea di dove sono i propri  soldi ma è possibile che tutti questi promotori non avessero subdorato il pericolo?

“Non conosco nello specifico il caso Banca Network ma vivendo nel settore ho conosciuto diversi promotori di questa rete. E credo che una spiegazione sia data anche dal fattoche   promotori finanziari e clienti erano di fatto tutti vincolati a Banca Network, perché negli anni passati per sostenere la rete dei promotori finanziari erano stati collocati dei prodotti (tipo certificati) con ricarichi molto elevati e durate lunghissime. Prodotti che non sono poi andati particolarmente bene. E da questi prodotti i clienti non potevano uscire facilmente in anticipo, senza pagare uno scotto disastroso.  Un promotore finanziario quando la sua clientela è “impelagata” in simili situazioni non è può cambiare rete e convincere la propria clientela a trasferirsi  in altre realtà. Ma queste cose succedono anche nelle banche più generaliste. Riguardo al caso di Banca Network dai dati che ho visto i promotori che lavoravano ancora  per questa rete avevano comunque un portafoglio medio-basso: quelli con masse più consistenti avevano lasciato la banca verso altri lidi. E molti clienti che sono rimasti dentro Banca Network probabilmente avranno avuto altre posizioni importanti  presso altri intermediari e per questo  non si sono preoccupati molto di quello che accadeva in questa banca”.

Ma al cliente può ancora oggi capitare di non capire come va la sua posizione e capire che perde di brutto e la cosa non è proprio una cosa temporanea e legata solo all’andamento dei mercati ma qualcosa di più strutturale..?

“A parte il risparmio gestito dove il cliente può vedere in modo trasparente la propria posizione a volte in effetti il cliente non può avere la situazione chiara perché magari non tutti i prodotti che ha sottoscritto sono di facile valutazione e si è dispone di resoconti espliciti.

C’è poi da parte di molti risparmiatori soprattutto la speranza di recuperare nel tempo quanto perduto. Il cliente si “affeziona” ai propri titoli e vi è una tendenza naturale a pensare che tutto si potrà risolvere positivamente. Una speranza certo alimentata anche da alcuni promotori che hanno tutto l’interesse a non perdere la clientela e le retrocessioni sulla massa investita”.

In questi anni il turnover nelle reti di vendita dei promotori finanziari è stato molto elevato o è un’impressione? Promotori che come si diceva una volta cambiavano casacca, passando da una banca o sim all’altra portandosi dietro la propria clientela…

“Ho fatto tempo fa una ricerca su questo fenomeno e i numeri dicono che questo fenomeno esiste ma non nelle dimensioni che si crede. In realtà, e il caso di Banca Network lo dimostra, sono spesso anche le stesse società di gestione e reti che cambiano brand e struttura. Area Banca, poi con Bpl Network che diventa Banca Network; Dival che poi diventa  Ras Bank e poi Allianz Bank. E si potrebbero fare decine di questi casi dove a cambiare rete non sono solo i promotori ma anche le stesse reti per fusioni e incorporazioni. Oggi comunque non sono più elevati questi passaggi di casacca. Oramai siamo intorno a circa il 5% di promotori finanziari all’anno che cambiano rete. Su 22.000 promotori finanziari attivi in Italia sono circa un migliaio i passaggi all’anno”.

I promotori finanziari sono diventati più fedeli o ci sono altre ragioni? Tanti anni fa mi raccontava che nei mercati che scendono i promotori si vendevano i portafogli per far cassa… Non accade più questo fenomeno?

“Chi cambia rete lo può fare per varie ragioni e anche per il bene della propria clientela e non necessariamente perché ottiene un “ingaggio” migliore. Se un giornalista passa dal lavorare da una testata provinciale a una nazionale questo passaggio è una sua promozione e quindi anche per i promotori può valere lo stesso discorso. Oggi comunque vi è da dire che quasi tutte le reti mettono a disposizione gli stessi prodotti e fondi visto che siamo in un sistema fondato sull’”architettura aperta”. In pratica tutti vendono quasi le stesse cose e i fondi Pimco , Schroder o Carmignac  da proporre alla propria clientela ce li hanno nel catalogo quasi tutte le società. E questo certo limita la voglia di spostarsi. Una volta il mondo non funzionava così e ciascuna banca promuoveva soprattutto i fondi della casa e puntava sulla propria società di gestione”.

Ma come funziona il cambio di casacca? Come è regolato ed è un affare per chi?

“Oggi le regole dicono che il promotore ha diritto di cambiare società mandante ma deve dare un preavviso di massimo 6 mesi. Nel caso che il promotore non abbia clausole particolari (tipo quei casi dove per esempio un bancario è passato a lavorare per una rete in cambio di uno stipendio fisso più incentivi ma si è impegnato a lavorare per quella società per un numero minimo di anni)  che ha sottoscritto e voglia andarsene via prima deve pagare alla propria rete un’indennità sostitutiva di preavviso che è pari a un massimo di 6 mensilità rispetto alla media degli ultimi 12 mesi. Tutto questo naturalmente se non vi è una giusta causa (come potrebbe essere quella che un promotore di Banca Network potrebbe probabilmente invocare) per cui il promotore ha tutto il diritto di lasciare la rete per cui lavorava per passare a una nuova”.

Quanto guadagna oggi mediamente un promotore?

“Parliamo di guadagni lordi e le statistiche parlano per la professione del promotore finanziario di entrate medie di 30/40 mila euro all’anno su portafogli medi di circa 11 milioni di euro di cui circa la metà in risparmio gestito. Un margine medio di 0,3% che resta ogni anno al promotore finanziario che è l’ultimo anello della catena è bene ricordare”.

Sul tema dell’”architettura aperta” e che tutte le rete di promotori hanno di fatto oramai quasi lo stesso identico catalogo di prodotti da proporre al cliente ovvero migliaia di fondi di quasi tutte le società di gestione non mi sembra entusiasta più di tanto. Cosa non la convince?

“Io credo che lo sposare questa filosofia nasconda anche da parte delle società di distribuzione una grave mancanza. Quella di non aver puntato a impegnarsi ad avere dei bravi gestori e a sviluppare un vero valore aggiunto in questo settore. Nel passato se una società di distribuzione aveva dei fondi della casa  che andavano male c’era il rischio che i clienti passassero a un’altra società che proponeva fondi migliori: ora con questo sistema il problema si è in buona parte risolto. Ma a mio parere è  una concessione di comodo. Hanno di fatto scaricato sui promotori finanziari i compiti dei gestori: sono loro che devono scegliere quali sono i migliori da proporre alla clientela. Ma un promotore non ha tempo per studiare e fare bene questo lavoro se deve seguire la propria clientela. O segui il cliente o studi”.

Che cosa ne pensa della consulenza finanziaria indipendente? Il risparmiatore che paga solo la parcella separata e non “nascosta” come di fatto succederà in Gran Bretagna dal 1° gennaio 2013 con la “morte” di chi svolge l’attività di promotore finanziario all’italiana e che viene pagato in misura elevata tramite retrocessioni?

“In Inghilterra è da anni che battono su questo tasto con campagne informative sui risparmiatori su questi temi e vi è un terreno più fertile per una simile iniziativa. Il risparmiatore è stato maggiormente educato e preparato in questo senso. In Italia in confronto siamo ancora all’anno zero. Vi è poi da dire che in questi ultimi 25 anni in Inghilterra hanno diverse volte cambiato modello e non sempre con successo. Per realizzare questo modello di consulenza “fee only” peraltro molti consulenti dovrebbero associarsi perché sono stati richiesti dei requisiti minimi molto alti, soprattutto in termini di assicurazioni per rischi professionali”.

Un promotore finanziario che fino a oggi ha mediamente ottenuto le sue fonti di entrata dalle retrocessioni quanto può puntare sulla consulenza? Alcune reti e promotori finanziari stanno già proponendo la sola consulenza finanziaria indipendente ai propri clienti, facendosi pagare parcella separata. Ma non mi sembra che questo sia il piatto forte…

“Di fatto il promotore finanziario fornisce al cliente sempre  una consulenza strumentale alla vendita dei prodotti. E il cliente considera già questa una consulenza. Peraltro svolta a titolo gratuito. Un cliente di un promotore difficilmente quindi sarà disposto ad aprire il portafoglio per pagare qualcosa che fino ad adesso pensava di non pagare. Oggi mi risulta, infatti, che l’incidenza nei ricavi di un promotore dell’attività di pura consulenza sia nell’ordine di pochissimi punti percentuali, si valuta che i contratti di consulenza non superino il 2% dei clienti, cioè 50/70.000 su 3.600.000 clienti, ed alcuni li stanno già disdettando. Chi svolge l’attività di vera consulenza finanziaria indipendente deve invece essere in grado di dimostrare in modo tangibile il proprio valore aggiunto se vuole ogni anno mantenere la propria clientela. Discorso diverso sarebbe credo se il promotore finanziario proponesse alla propria clientela qualcosa di nuovo come per esempio una consulenza più allargata. Non solo finanziaria ma patrimoniale a tutto campo. Come accade anche negli Stati Uniti dove l’advisor (o financial planner) fornisce una guida sulla gestione dell’intero patrimonio: non solo sulle finanze ma anche sulle attività immobiliari, sulla pensione, sul finanziamento della scuola dei figli, sulla gestione strategica e operativa della ricchezza. Qualcosa  dove certo non ci si improvvisa. Ma che potrebbe avere magari un mercato anche in Italia oggi poco o per nulla coperto”.

Articolo tratto da MoneyReport