Lo spread e i nodi rimasti al pettine

Lo spread è stato forse il vero protagonista delle vicende finanziarie europee degli ultimi due anni. In Italia poi, per via delle spread, sono volate via teste e si sono ribaltate poltrone. Dello spread la gente ne parla spesso senza capirne alcunchè, per lo spread ci si immola e si immola (la fiducia, le tasche e la pazienza degli italiani). Forse, sul finire di questo 2012, è il caso di fare il punto su quello che rimane sul piatto.

Questo ingrato compito lo svolge Asca in uan interessante analisi.Alla fine del 2011, l`Italia per vendere titoli di Stato decennali era costretta a corrispondere interessi annui del 7%. La Germania raggiungeva lo stesso obiettivo pagando meno del 2%. In numeri, il famigerato spread Btp-Bund, la differenza tra i tassi di interesse sul debito pubblico italiano e quello tedesco, viaggiava sopra il 5% (500 punti base). Era il segnale di una persistente sfiducia verso i debiti sovrani dei paesi periferici dell`Eurozona che, in rapida successione, aveva gia` messo al tappeto Grecia, Irlanda e Portogallo, tutti e tre costretti a ricorrere ai prestiti del fondo salva stati europei. Il contagio si stava estendo all`Italia e alla Spagna, rispettivamente la terza e la quarta potenza economica dell`Eurozona.

LA GRANDE FUGA DEI CAPITALI ESTERI. Il caos era maturato nell`ambito di un architettura europea incompleta ed impreparata a gestire crisi sistemiche. Nella prima parte del 2012, i ``bug`` nel software ``Eurozona``avevano assunto una rilevanza predominante. Ne` il primo intervento sui conti pubblici del governo Monti, chiamato con spirito templare ``Salva Italia``, ne` la controversa riforma del mercato del lavoro, avevano scalfito la diffidenza dei mercati verso il debito pubblico tricolore. A febbraio, la temporanea discesa dello spread sotto 300 punti era stata favorita dai 500 miliardi di euro forniti dalla Bce alle banche europee. Soldi prestati all`1% e utilizzati, soprattutto dagli istituti di credito dei paesi sottotiro, per comprare titoli di stato e tamponare il vuoto di domanda causato dalla fuga dei capitali esteri. Se a giugno 2011, ultimo anno di grazia per Btp, Bot & Co, i non residenti avevano in portafoglio 813 miliardi di debito italiano, nel giugno 2012 si erano alleggeriti di circa 150 miliardi. E lo spread, appena tre mesi dopo la mossa della Bce, era risalito oltre 500 punti.

PROVE DI SINERGIE BCE-CONSIGLIO EUROPEO. La svolta a luglio. Il cambio di spartito arriva dal presidente della Bce, Mario Draghi, quando ribadisce ``l`irreversibilita`` della moneta unica``e, per difenderla, promette ``interventi di misura adeguata`` contro gli eccessi speculativi. Per la prima volta, nella breve storia della Bce, il numero uno parla con la ``moral suasion`` interventista di un vero banchiere centrale non ossessionato dalla stabilita` dei prezzi ma interessato anche alla stabilita` finanziaria complessiva dell`unione monetaria. Le parole di Draghi mettevano anche il cappello sul Consiglio europeo di fine giugno che, timidamente, aveva aperto all`idea dello ``scudo anti-spread`` ed all`uso piu` estensivo del fondo salva stati europeo. Poi il discorso si e` affinato, lo scudo ha preso il nome di Outright Monetary Transcactions, un meccanismo che autorizza la Bce a comprare i titoli di stato dei paesi che dovessero chiedere aiuto al fondo salva stati europeo. Buone nuove anche a dicembre. La Grecia ha chiuso con successo la seconda ristrutturazione di parte del suo debito pubblico, mentre dal Consiglio europeo e` arrivato il via libera al progetto di unione bancaria dell`Eurozona. Il primo tassello sara` la vigilanza bancaria europea in capo alla Bce: l`iter procedurale parte il prossimo anno, l`operativita` nel 2014. Un passo necessario per aprire la strada alla ricapitalizzazione diretta delle banche da parte del fondo salva stati evitando di caricarne l`onere sui conti degli stati nazionali.

CRESCE IL DEBITO E CALANO I TASSI. Le decisioni prese in Europa nella seconda parte del 2012 hanno contribuito a stabilizzare i mercati, ma la lotta al debito, nonostante le politiche di austerita`, ha prodotto risultati paradossali. A dicembre il debito pubblico tricolore ha segnato il nuovo massimo storico di 2.014 miliardi di euro, si avvia a raggiungere il 126% del Pil, anche questo un record negativo. Pero` gli interessi pagati dal Tesoro sono sensibilmente piu` bassi: quelli a dieci anni sono calati dal 7% al 4,50%, quelli sui Bot dal 6% al 1%. Lo spread e` ridisceso in area 300 punti. Lo stesso film va in onda in Spagna, Portogallo, Irlanda Grecia: aumento del debito e calo dei tassi di interesse, quelli sui titoli pubblici ellenici decennali sono precipitati dal 30% al 12%. Mercati irrazionali? Non proprio se si guarda a qualche numero del passato. Alla vigilia dello scoppio della crisi finanziaria ed economica del 2008, Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia non avevano in comune il problema del debito. La Spagna era uno dei pochi paesi in regola con tutti i parametri di finanza pubblica dei trattati europei, perfino Berlino (debito/pil oltre il 60%) stava peggio della Spagna (debito/pil sotto il 40%), l`Irlanda addirittura al 30%. In comune, i cinque PIIGS (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna) avevano invece cospicui disavanzi nelle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Cosi` il deficit negli scambi di merci e servizi con l`estero veniva finanziato contraendo debiti con il resto del mondo ed aumentando la dipendenza dai capitali stranieri. Con la recessione, non appena il denaro ha cambiato direzione verso lidi con migliori prospettive, i PIIGS sono finiti sott`acqua, con Stato, imprese, banche e famiglie in difficolta` a trovare prestiti sui mercati dei capitali e del credito.

LA SVALUTAZIONE INTERNA. Se ci fossero state lira, dracma, peseta, per riequilibrare i conti con l`estero sarebbe stato sufficiente deprezzare la moneta nazionale. Nell`Eurozona, dove i paesi aderiscono di fatto a un sistema di cambi fissi regolato da patti di stabilita` sui conti pubblici (fiscal compact), gli aggiustamenti degli squilibri non avvengono deprezzando il tasso di cambio ma attraverso lunghi e dolorosi processi di ``svalutazione interna``: aumenta la pressione fiscale, scende il reddito disponibile, cala la domanda,cresce la disoccupazione, si riducono le importazioni. Ma la ripresa economica, non potendo piu` essere sostenuta dalla svalutazione della moneta, dipende sempre piu` dall` innovazione e dalla produttivita` del sistema economico nazionale. L `Italia sembra a meta` del guado. Il paese ha certamente ridotto gli squilibri con l`estero, in 12 mesi il disavanzo delle partite correnti e` sceso da -55 a -18 miliardi, ma la crescita economica resta al palo.

IL REBUS DELLA CRESCITA. Dall`economia reale arrivano ancora segnali poco incoraggianti. Gli indicatori di fiducia di imprese e consumatori viaggiano sui minimi storici, la produzione industriale si trova venti punti percentuali sotto i livelli pre crisi, la disoccupazione all`11%. Il Pil si avvia al secondo anno consecutivo in rosso, dopo un 2012 a -2,4%, per il 2013 le previsioni degli economisti convergono verso una contrazione piu` contenuta (-1%), ma sempre doppia di quella prevista per l`intera Eurozona (-0,5%). Il rilancio economico resta una priorita` assoluta. Senza un aumento del Pil, anche l`avanzo primario del bilancio pubblico (entrate meno spese al netto degli interessi sul debito) che serve per stabilizzare il debito, ed eventualmente ridurlo, rischia di essere una pallottola spuntata. Le manovre di austerita` puntano a raggiungere, nel 2017, un avanzo a ridosso del 5% del Pil, ma l`Italia e` un esempio lampante delle incerte virtu` dell`avanzo primario in assenza di crescita economica. Per anni, dopo l`ingresso nell`euro, e grazie al poderoso aumento della pressione fiscale, molti esercizi si sono chiusi con avanzi primari nel bilancio pubblico. Ma, come ha segnalato il Fondo Monetario Internazionale, il rapporto debito/pil continua a deteriorarsi perche` ``i tassi reali sul debito pubblico restano superiori al tasso reale di crescita del Pil``.Se il sentiero dell`austerita` non dovesse essere sostenuto da una robusta ripresa del ciclo, ai governi sara` piuttosto difficile chiedere nuovi sforzi, mentre quelli gia` fatti rischierebbero di apparire come inutili.

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