L`Europa si dirige verso la fine della moneta unica
L’attenzione si è improvvisamente concentrata sul ritiro dei depositi e il rischio di fughe dalle banche dell’Eurozona.
Il ritiro dei depositi è una risposta del tutto razionale all’aumentata percezione di rischio per una disintegrazione della moneta unica, dal momento che un nuovo marco tedesco si apprezzerebbe immediatamente rispetto a una nuova dracma greca o a una nuova peseta. L’uscita dai depositi bancari dimostra anche la poca efficacia dei rigidi controlli sui capitali che dovrebbero essere implementati immediatamente prima dell’incrinarsi della moneta. Tali controlli prevenirebbero il ritiro dei propri risparmi dai conti correnti da parte dei singoli investitori o la conversione degli stessi risparmi in un’altra valuta; in passato sono stati messe in atto in Paesi come la Malesia nel 1997 subito dopo la crisi finanziaria asiatica, e anche in Argentina a seguito del default del Paese nel 2001.
Non è una notizia che sorprende il fatto che il numero dei prelievi massicci dai conti di deposito sia di recente accelerato. L’Eurozona ha vissuto un lento moto di fuga dalle banche fin dal momento in cui la Grecia ha iniziato a essere nei guai all’inizio del 2010, con un fenomeno di spostamento dei depositi dalle banche dei Paesi dell’Europa periferica verso i Paesi core dell’Europa. Come team eravamo coscienti di questo fenomeno, che negli ultimi anni ci ha portato a evitare i titoli sovrani dei Paesi periferici dell’Eurozona e le relative emissioni dei finanziari.
L’accelerazione del fenomeno della fuga dai depositi è senza dubbio molto preoccupante, dal momento che, in assenza di garanzie, una uscita massiccia di liquidità dalle banche può rapidamente trasformarsi in un collasso bancario o di uno Stato. Il problema che i Paesi dell’Eurozona hanno di fronte è l’assenza di una rete di protezione. La BCE potrebbe inserirsci in questo processo, tuttavia è molto preoccupata che qualsiasi garanzia sia sui titoli di stato dei periferici sia delle emissioni delle banche di questi Paesi crei un dilagante rischio morale. I Paesi periferici risponderebbero rifiutando l’applicazione di riforme dolorose sicuri che sarebbero poi “salvati” non appena si trovassero nei guai. La BCE è anche limitata in ciò che può fare dato che è costituia dalle banche centrali dei singoli Paesi, che in ultimo appartengono ai contribuenti di quei Paesi. E i contribuenti tedeschi che avrebbero maggiore responsabilità per i salvataggi futuri, non vorrebbero finanziare i Paesi del sud Europa senza avere in cambio delle riforme.
La medicina servita finora ha fallito di alleviare il problema. Le barriere di sicurezza che sono state costruite senza troppa determinazione sono da lungo tempo crollate; l’EFSF e l’ESM non hanno potuto evitare neanche la richiesta di salvataggio delle relativamente piccole economie di Iralnda e Portogallo. E non ha avuto successo in questo senso neanche il programma SMP della BCE, e anche la massiccia iniezione di liquidità della BCE ha fallito in qualsiasi cosa andasse oltre il breve termine perché il problema non è la mancanza di liquidità ma l’insolvenza.
Affinché l’Eurozona rimanga integra nel lungo termine, è richiesta un’unità fiscale totale, e in effetti l’abolizione della sovranità individuale. Ma al momento,sembra che l’Europa si stia muovendo nella direzione opposta. Al nocciolo del problema dell’Eurozona, come noi sosteniamo da tempo insieme a molti altri, ci sono le grandi differenze di bilancio attuali e le disparità competitive tra gli Stati membri dell’Eurozona. Questi squilibri devono essere eliminati. Finora, il piano è stato di ridurre le disparità di bilancio attraverso l’austerità, che riduce le importazioni e ripristina la bilancia commerciale, ma gli effetti collaterali sono dolorosi: crollo della domanda interna, recessione, e, quindi, potrebbe risultare in più alti livelli di debito pubblico. Il piano sta chiaramente fallendo.
Un altro modo in cui gli squilibri competitivi potrebbero essere eliminati è attraverso un’inflazione più alta nei Paesi del nord Europa che in quelli del sud. Il target di inflazione della BCE per l’Eurozona nel suo insieme è del 2%, e per fare in modo che i problemi di competitività siano eliminati, l’inflazione in Germania o in Olanda avrebbe bisogno di essere almeno del 5 o 6%, mentre nell’Europa periferica sarebbero dello 0 o 1%. La Germania pare opporsi totalmente a questo.
L’unica alternativa per evitare una disintegrazione dell’Eurozona sembrerebbe essere francamente un default all’interno dell’euro. Finora i Paesi che si sono indebitati troppo sono stati puniti, ma perché non sono stati puniti anche quelli che hanno prestato troppo? Ancora una volta, l’Europa del nord è stata sorpredentemente sorda a questa opzione, visto che si trova tra quelli che hanno eccessivamente prestato. Se dobbiamo pensare in loro difesa, tuttavia, un default non porterebbe probabilmente a delle riforme, e mentre la riduzione dell’ammontare di debito dei Paesi dell’Europa del sud aiuterebbe, è molto probabile che l’attuale crisi del debito si ripeterebbe in un futuro non troppo lontano.
Quindi, la disintegrazione dell’Euro mi sembra la conseguenza più probabile. Questo sarebbe molto costoso e disturbante nel breve termine. Alcuni ne stimano un costo di oltre mille miliardi di euro, ma in realtà è del tutto impossibile dirlo e dipenderebbe dal tipo di crollo dell’euro, se fosse disordinato, molto disordinato o disordinato a livelli impensabili. In ultimo, se le autorità stanno discutendo i rischi di un crollo disordinato, questo crollo dovrebbe – per definizione – diventare più ordinato.
Possiamo ottenere un rimando temporaneo dal panico se la Grecia riuscisse a formare un governo, ma questo si proverà sicuramente temporaneo, in quanto ulteriore austerità porta a prolungata recessione, malcontento civile maggiore supporto ai partiti politici estremisti (supporto già preoccupante visto che un cittadino greco su 14 ha votato proprio per un partita neonazista). La BCE molto probabilmente ha più assi nella manica, che potrebbero essere LTRO 3 o forse una qualche forma di QE, come acquistare titoli di Stati membri per una data porzione di PIL. Ma queste misure saranno ancora fallimentari nell’indirizzarsi agli squilibri sottostanti al nocciolo dell’Eurozona.
È difficile dire come la crisi del debito dell’Eurozona non peggiori prima di iniziare a migliorare. Smantellare l’unione monetaria, che sembra essere la migliore soluzione nel lungo termine, sarà certamente molto molto più complicato rispetto a molti precdenti storici di tassi di cambio fissi smantellati. Ma la buona notizia è che i Paesi tipicamente vedono un’importante ripresa economica dopo che i tassi di cambio fissi sono abbandonati – basta guardare all’Asia nel decennio scorso.
di Michael Riddell, M&G