LE VISITE DI ANNA. Racconto di ALEX RUKASZ - Prima parte.

LE VISITE DI ANNA. Racconto di ALEX RUKASZ - Prima parte.

Milano, 20 dicembre 2021.  Racconto di Alex Rukasz - Prima parte.

Anna spostò la borsa dalla spalla destra a quella sinistra, chiuse la porta d’ingresso a chiave, la mise con attenzione nella borsa e prese il bambino per mano.

Guardò la porta dell’appartamento di fronte sperando di evitare la vicina di casa. Frau Berenz, così si chiamava la vicina, le avrebbe fatto perdere tempo e avrebbe fatto a Klaus mille domande con il suo modo di parlare pieno di vezzi e diminutivi, che Anna detestava.

Frau Berenz d'altra parte si mostrava gentile, specialmente con Klaus, a cui regalava giochi e caramelle; e ad Anna non rimaneva che sopportare pazientemente l'invadente vicina.

Alle domande di Frau Berenz il piccolo Klaus rispondeva con la gioiosa innocenza di un bambino di quattro anni, amato e protetto.

Anna non aveva amici nelle vicinanze e solo raramente andava con il bambino a trovare il fratello che abitava a Berlino. Scesero le scale del condominio a due piani e uscirono in strada. Anna aggiustò lo zainetto che Klaus portava sulle spalle.

Dentro si trovavano alcune matite, il libriccino da colorare e un volume di storie da leggere sul treno. Prima di prendere il treno i due viaggiarono sull’autobus, la stessa linea che portava il bambino a Kindergarten.

Erano più di due anni che Anna e suo figlio andavano a trovare il padre. Il tragitto in treno durava quaranta minuti; di solito Klaus si sedeva vicino al finestrino e sistemava il blocchetto da disegno sul tavolino alzabile.

Si metteva a disegnare ma dopo alcuni minuti la sua curiosità prevaleva e allora avvicinava il nasino al vetro per osservare le case, gli alberi e i campi che scorrevano davanti a lui.

Anna, guardandolo, ritrovava nei suoi ricordi sé stessa quando viaggiava in treno con il padre e guardava il paesaggio dal finestrino: dopo il tramonto tutto pian piano scompariva nell’oscurità e si potevano scorgere solo le finestre illuminate delle case; le piaceva immaginare che all’interno di quelle case ci fossero altri bambini come lei, con i loro papà e le mamme, e allora si chiedeva che cosa stessero facendo.

Adesso era di nuovo il mese di maggio, come tre anni prima, quando si erano dovuti staccare da Lorenzo.

Anna si domandò per quanto tempo ancora lei e suo figlio avvrebbero preso quel treno. L’ultima volta che erano andati a trovare Lorenzo, il bambino le aveva domandato perché il papà non poteva lavorare vicino a loro.

Anna cercava sempre di avere la risposta pronta per lui.

«Il tuo asilo non è proprio vicino casa, vero?

Quante fermate dobbiamo fare per arrivare all'asilo?» gli aveva chiesto, per fargli capire.

Normalmente a Klaus parlava in tedesco o in polacco, ma quando andavano a trovare Lorenzo cercava di usare sempre l'italiano, per facilitargli il rapporto con il padre. Del resto per l'anagrafe Klaus si chiamava Claudio.

«Fünf» aveva risposto quella volta il bambino, mostrando le cinque dita della mano aperta.

«Sai che c’è un altro Kindergarten vicino a noi, ma lì non c’era posto, così ho dovuto mandarti a quello più lontano. Ecco, anche il lavoro del papà è lontano» gli aveva spiegato. «Ma quando si libererà un posto vicino, allora potrà venire a stare con noi.»

Questa volta Klaus aveva risposto in italiano.

«E quando si libererà, il posto?»

«Quando andrai a scuola» era stata la risposta.

Anche questa volta ci furono domande.

«Ma perché il papà non viene mai a casa?»

«Qualche volta è passato mentre dormivi. Ma non ti voleva svegliare» mentì. Il bambino istintivamente abbracciò la madre, cercando il conforto del suo seno su cui appoggiare la testa.

«Anche il mio amico Franz vede poco il suo papà» disse. «Ma poi arriva e gli porta dei regali.»

Anche il padre di Klaus aveva sempre un regalino per lui. In qualche modo, riusciva immancabilmente a procurarsi qualcosa.

Il bambino passava l’intero tempo della visita a giocare con il nuovo giocattolo, che più tardi portava a casa e metteva nella cesta con le altre “macchinine di papà”.

Klaus era un bambino molto sveglio e socievole e chiacchierava sempre con tutti. Adesso tirò fuori dallo zainetto il libro con le storie illustrate, mise via le matite e il blocchetto, aprì il libriccino e, scorrendo il testo con il ditino, si mise a leggere.

I due passeggeri seduti accanto, un uomo ed una donna, lo guardarono con stupore.

Anna sapeva che suo figlio conosceva a memoria il libro, e faceva finta di saper leggere perché gli piaceva molto l’attenzione che mostravano le persone che incontrava.

Durante il tragitto per andare a trovare Lorenzo Anna si sentiva sempre un po’ tesa, perché temeva che il bambino si mettesse a raccontare agli altri cose che potevano suscitare curiosità negli sconosciuti.

In certo senso, si sentiva responsabile di quello che poteva dire Klaus quando gli chiedevano dove lavorava il padre.

«Il papà lavora con la polizia!» esclamava allegro il bambino.

Era la spiegazione che gli aveva dato lei una volta, quando era rimasto impressionato dalle divise che gli uomini indossavano nel posto dove andavano a trovare suo padre.

Mentre il treno si avvicinava alla loro fermata, Anna sentì su di sé gli sguardi della gente. Si sentì a disagio.

La memoria la riportò a una domenica di maggio di tre anni prima.

Era in casa da sola e aveva appena messo il bambino nel lettino per il suo riposino pomeridiano, quando qualcuno aveva suonato alla porta.

Sulla soglia c’erano due poliziotti con il mandato di perquisizione. Le comunicarono che Lorenzo era stato coinvolto in una sparatoria e che era stato arrestato per aver ferito tre persone nel parco della città.

Anna trovò la forza di chiedere se stava bene, e gli agenti furono abbastanza comprensivi da risponderle di sì. Lei si lasciò cadere sul divano mentre i due si dirigevano verso la camera da letto.

Il marito di Anna aveva confessato di essere in possesso di altre due pistole, oltre a quella con cui aveva sparato, indicando il luogo dove teneva nascoste le armi. Gli agenti le trovarono e le portarono via.

In séguito Anna era stata interrogata dalla polizia e l'intera facenda era stata seguita da tutti i giornali della città. Il fatto era stato riportato come un esempio di comportamento mafioso in territorio tedesco, in quanto anche le persone ferite erano di origine italiana.

Anna allora si era chiusa in casa.

Solo dopo cinque giorni di volontaria reclusione era riuscita a scendere in strada per la prima volta.

Le sembrava di avere addosso gli occhi della gente nelle strade e nei negozi, ed era convinta che tutti parlassero di lei e del suo marito “mafioso”.

Si sentiva bruciare dalla vergogna, le sembrava di diventare pazza.

Dovette compiere uno sforzo per convincersi che la gente continuava a vivere la propria vita, che nessuno badava a lei e comunque anche se qualcuno avesse saputo dell’intera faccenda, questo non le avrebbe minimamente cambiato la vita.

Adesso si scrollò di dosso il ricordo e decise di alzare lo sguardo sui pochi passeggeri che scendevano alla stessa fermata.

Alcuni di loro li aveva già visti, forse anche più di una volta, ma non parlavano mai tra di loro. Erano una quindicina di persone, non di più.

Gli altri camminavano più svelti e presto lei e Klaus rimasero indietro.

Ci volevano venti minuti per raggiungere il carcere e il bambino si stancò di camminare. Fino ad un anno prima Anna era in grado di portarlo in braccio per un bel pezzo di strada, ma ormai Klaus si era fatto troppo pesante e lei si fermò per qualche istante, aprì la borsa e gli diede il dolcetto che aveva preparato per quella occasione.

Il resto della strada il bambino lo percorse senza fermarsi e chiacchierando tutto il tempo.

Dopo aver superato il pesante cancello, Anna e Klaus furono sottoposti ad un controllo con il detector.

Dall’inizio delle loro visite Anna avveva spiegato al suo figlio che i guardiani volevano sapere se per caso un topolino non si fosse nascosto nelle tasche della sua giacchetta, e il bambino si sentiva del tutto a proprio agio mentre venivano perquisiti tutti e due.

Nella sala visite si sedettero a un tavolo dove in breve li raggiunse Lorenzo. Abbracciò il figlio che in capo a pochi secondi si mise a giocare sotto il tavolo con il nuovo gioco.

Anna chiese al marito se c’era qualche novità… ma lui non voleva mai parlare della prigione, di come si sentiva dietro le sbarre o di quello che gli era successo, e anche ora rispose solo che andava tutto bene.