LE VISITE DI ANNA. di ALEX RUKASZ. SECONDA PARTE

LE VISITE DI ANNA. di ALEX   RUKASZ. SECONDA PARTE

Milano, 26 dicembre 2021. Di Alex Rukasz. Seconda parte

Quel suo modo di fare finì per irritarla.

«Non si può passare tutta la vita a dover tirare a indovinare che cosa pensa l’altro», pensò esasperata.

Anche se come sempre aveva atteso questo incontro ripassando nella mente tutte le cose che doveva dire al marito, adesso indugiò, guardandosi in giro.

Qualche volta lei e il marito parlavano del processo e dei fatti accaduti con un certo distacco, come se l’intera facenda riguardasse altre persone.

Fin da quando si erano conosciuti, Anna aveva sempre pensato che Lorenzo fosse un italiano atipico.

Prima di trasferirsi in Germania Anna aveva vissuto per alcuni mesi in Italia: fra tutti gli italiani che aveva incontrato e con cui aveva fatto amicizia, Lorenzo era il più riservato e taciturno.

Nei primi tempi però era allegro e mostrava un senso dell’umorismo che a lei piaceva.

Anna compensava invece i suoi silenzi con la sua allegria e la mania di commentare tutto. Da quando lui si trovava in prigione, i silenzi tra loro erano sempre più eloquenti.

Lorenzo disse: «Hai la faccia stanca».

Questa frase la irritò ancora di più.

Si passò la mano sulla guancia.

Negli ultimi tempi non le piaceva guardarsi allo specchio.

Vicino agli occhi e intorno alla bocca vedeva le sottilissime rughe causate dalle preoccupazioni e dalla tensione.

Osservò il marito.

Sembrava tranquillo come sempre e Anna pensò che lui non avrebbe mai capito la sua fatica per affrontare le difficoltà fin dal primo giorno che era rimasta sola.

«Ha chiamato tuo fratello dalla Calabria» gli disse.

«Ha detto che in questo momento non si riesce a vendere la casa per la somma che pensavi di ottenere. Se aspettiamo ancora un po', alla fine ci porteranno via l’appartamento.»

Questo pensiero la tormentava di notte, mentre insonne cercava di trovare soluzioni impossibili.

Il peggio era arrivato quando Anna aveva perso il suo primo lavoro nell'ufficio di un commercialista.

Erano i momenti in cui odiava il marito perché lo riteneva responsabile del disastro che le aveva sconvolto la vita. Si era ritrovata sola, con il bambino di diciotto mesi e in più senza lavoro.

Certo, le era appunto rimasto il figlio, per cui valeva la pena di lottare. Aveva mandato il bambino a un Kindergarten e si era cercata un altro lavoro.

Prese un avvocato per assistere suo marito e frequentò il suo studio per mesi in attesa del processo, cercando soluzioni e discutendo le possibili strategie. Lottò per non perdere la casa, di cui le apparteneva la metà.

Dopo la sentenza si sentì sfinita, ma insieme più libera, anche se sapeva di dover aspettare anni prima che il marito tornasse.

Durante i tre anni di una nuova vita dove poteva contare solo su sé stessa, era diventata un’altra donna.

Più forte, più sicura di sé.

Qualche volta le veniva in mente lo strano pensiero che avrebbe potuto benissimo vivere anche da sola; si era abituata a stare senza il marito.

Ma sentiva che non era giusto per suo figlio e che Klaus aveva bisogno di suo padre esattamente come aveva bisogno di lei.

Lo guardò con tenerezza.

Klaus ora scompariva sotto il tavolo da una parte ora ricompariva dall’altra, sempre con la sua macchinina in mano che tracciava le traiettorie di un aereo.

Improvvisamente il bambino si fermò guardando un uomo seduto al tavolo accanto, assorbito nella conversazione con una giovane donna. Poi puntò il dito verso un’altro uomo, nell’angolo della sala visite.

«Mamma, perché questi due signori hanno i capelli uguali?»

«Saranno andati dallo stesso parrucchiere» sorrise Anna.

Effettivamente i due uomini si assomigliavano, in quanto avevano una corporatura simile e gli stessi capelli rasati quasi a zero.

«Guarda! Anche loro vestiti sono uguali!»

«Magari li hanno comprati nello stesso negozio.»

Ma il bambino non mollava: «Indossano le scarpe uguali, vedi!»

«Non si indicano le persone con il dito, Klaus» disse la madre.

Il figlio rimase qualche istante a pensare e poi, con la voce di chi ha fatto una grande scoperta, esclamò: «Lo so! Loro sono gemelli!».

Le persone accanto si misero a ridere e tutta la tensione di Anna svanì. Anche il marito di Anna rideva e ora le sembrava di rivedere in lui l’uomo che l’aveva conquistata sei anni prima.

«Klaus è molto bravo all’asilo» disse. «Ha tanti amici e amichette e vuole giocare a calcio nei pulcini.»

«Ma se è ancora un nano!» disse il padre.

«Non sono un nano!» protestò il bambino. «Non vivo nel bosco!»

«Il papà voleva dire che sei ancora piccolo per giocare a calcio» spiegò Anna. «Ma forse tra un anno o due potrai cominciare».

Poi si rivolse al marito. «Ho parlato con l’avvocato. Forse ci lascerà diluire le rate del debito, così non restiamo con l’acqua alla gola».

I soldi da restituire erano tanti.

I danni che il marito di Anna era costretto a pagare come risarcimento alle tre persone che aveva ferito ammontavano a qualche decina di migliaia di euro, e in più c’erano le spese dell'avvocato.

Anna era riuscita a vendere tutto quello che si poteva: la macchina, il furgoncino dei gelati e alcuni terreni di proprietà di Lorenzo in Italia. Aveva anche chiesto un prestito al fratello di Lorenzo.

Ma erano stati costretti a mettere in vendita la casa in Calabria, ereditata dopo la morte dello zio, alla quale avevano diritto Lorenzo e altri due fratelli. Con la vendita della casa forse sarebbero riusciti a salvare l’appartamento dove viveva lei con il figlio, e dove Lorenzo, un giorno, sarebbe tornato.

Il marito le accarezzò la mano e Anna provò un sentimento di imbarazzo, il solito leggero senso di disagio. Lui la guardò negli occhi e disse: «Saresti contenta se fossi libero prima della fine della pena?»

«Cosa stai dicendo?» rispose sorpresa.

«C’è la possibilità che mi facciano uscire prima per buona condotta. Pare che io sia stato un detenuto modello, in questi tre anni.» Lorenzo scrutava l’espressione del volto di lei. «Non sembri molto contenta», aggiunse.

«Certo che lo sono! Solo che la notizia mi ha colta di sorpresa! Ma perché non me l'avevi detto prima?»

«Non volevo darti false speranze. Non ero sicuro».

Anna si sentiva un po’ sconvolta dalla notizia, che avvicinava il momento del confronto tra lei e il marito in una situazione completamente nuova.

Era una situazione che certamente si era rappresentata più di una volta, qualcosa di previsto, ma fino a quel momento era sembrata lontana, nessun bisogno per lei di analizzarla nei dettagli e farsene un'idea chiara, al di là dei timori e delle speranze.

Non era più sicura di amare Lorenzo, con tutto quello che era successo. Più di una volta si era chiesta se la loro unione potesse ancora funzionare, indipendentemente dalla volontà di restare insieme per il bene di Klaus.

Gli anni di separazione forzata e le nuove abitudini di Anna l'avevano fatta riflettere sulla loro vita insieme prima dell’arresto di Lorenzo. Non c’era stato molto dialogo tra i due coniugi.

Lorenzo non mancava di soddisfare i bisogni della famiglia, ma conduceva la sua vita come aveva sempre fatto prima del matrimonio e come facevano gli uomini nel suo paese, passando le serate fuori casa nei bar della città.

Non capiva le esigenze della moglie e lei qualche volta si sentiva trascurata. In quei tempi i soldi non mancavano.

Lorenzo lavorava in un vivaio e guadagnava bene. Tornava a casa di buonumore; dopo la nascita di Klaus, del quale era stato molto contento, passava più tempo in famiglia e insieme facevano progetti per comprare un appartamento più grande.

Con l’inizio della primavera Lorenzo aveva cominciato a vendere gelati, solo di domenica, da ambulante. Nel mese di agosto, come ogni anno, sarebbero andati a far visita alla famiglia di Lorenzo in Calabria.

Durante il mese che aveva preceduto la sparatoria, Anna aveva notato un cambiamento in lui. Tornava a casa cupo e pieno di pensieri e quando lei gliene chiedeva il motivo, tagliava corto parlando di problemi sul lavoro.

Adesso di sera usciva di rado, e quando rientrava sembrava preoccupato. Insieme non uscivano praticamente più, anche se Anna si era ritagliata qualche spazio per vedere le sue amiche. Ma c'era comunque Klaus a tenerla occupata.

La domenica della sparatoria Anna ebbe un presentimento quando vide il marito mettersi in tasca una pistola che non gli aveva mai visto.

Cercò di fermarlo, ma lui non l’ascoltava proprio. Fu presa dal panico. Avrebbe dovuto rivolgersi alla polizia, però non voleva compromettere il marito. Dopo che fu uscito, sperò che non si mettesse nei guai. Un'ora più tardi scese con il figlio in passeggino e si diresse verso il parco della città.

Da lontano si vedevano le transenne della polizia, con dietro gli uomini in divisa e alcune macchine. Anna entrò nell’area chiusa, noncurante del divieto– contava sul passeggino per ispirare simpatia ed evitare di essere scacciata – e si rivolse al primo uomo in divisa che incontrò: «È successo qualcosa?»

«Sì, c’è stata una sparatoria» rispose il poliziotto.

«È stato arrestato qualcuno?» volle sapere Anna.

«Sì, signora. L’abbiamo preso». Anna girò il passeggino e tornò a casa.

Quel giorno non accese la televisione e inconsciamente respinse l’idea che Lorenzo potesse essere coinvolto nella sparatoria, ma continuò a girare con la mente intorno a quello straccio di speranza fino al momento in cui la polizia suonò alla porta.

Durante gli interrogatori Lorenzo disse di aver agito come in un sogno.

Le persone che aveva ferito erano criminali che da tempo minacciavano lui e la sua famiglia chiedendogli un pizzo: erano italiani e lasciavano capire di avere alle spalle un'organizzazione. Solo dopo qualche settimana, raccontò Lorenzo, si era procurato un'arma, perché voleva potersi difendere.

Il guaio era che non esistevano prove del tentativo di estorsione, e i tre che Lorenzo aveva ferito nel momento della sparatoria non erano armati.

Nessuno degli italiani coinvolti risultava appartenere a un'organizzazione criminale, ma i media riportarono il fatto come un regolamento di conti tra mafiosi.

Il processo fu esemplare: l’unico indagato, e sicuramente colpevole, era il marito di Anna, che venne condannato a sei anni di reclusione.

Nei primi mesi Lorenzo si trovava nella prigione della città, ma qualche mese dopo era stato trasferito in un carcere più distante, dove Anna e Klaus andavano a trovarlo da quasi tre anni.

La visita stava per terminare.

Per il tempo rimanente Anna rimase più assente e concentrò la sua attenzione sul bambino, che pareva stanco. Dovevano prendere il treno di ritorno.

Il padre abbracciò il figlio e gli passò la mano fra i capelli. Il bambino rise.

«Fai il bravo. Presto giocheremo a calcio insieme» disse Lorenzo. Diede un bacio sulla guancia alla moglie: «Ti chiamerò, Anna».