LE PREVISIONI DI MEDIO E LUNGO PERIODO DELLA SPESA PENSIONISTICA IN RAPPORTO AL PIL

LE PREVISIONI DI MEDIO E LUNGO PERIODO DELLA SPESA PENSIONISTICA IN RAPPORTO AL PIL
Figura A

Trento, 26 giugno 2024. Di Paolo Rosa, avvocato.

In questi giorni la Ragioneria Generale dello Stato ha pubblicato la XXV edizione del Rapporto dedicato alla presentazione dei risultati delle previsioni di medio e lungo periodo della spesa pubblica in rapporto al PIL per pensioni, sanità e assistenza alle persone non autosufficienti.

Estrapolo da un tomo di più di 500 pagine la parte che riguarda la spesa per pensioni.

«L’evoluzione del rapporto fra spesa pensionistica e PIL nell’ipotesi dello scenario nazionale base è illustrata nella figura A.

Dopo la crescita nel triennio 2008-2010, imputabile esclusivamente alla fase acuta della recessione, il rapporto fra spesa pensionistica e PIL risente negativamente dell’ulteriore fase di contrazione degli anni successivi con effetti che si propagano per tutto il quadriennio 2012-2015.

A seguito della doppia recessione, la spesa pensionistica/PIL si attesta negli anni 2013-2014 su un valore più elevato di circa 2,5 punti percentuali rispetto al livello pre-crisi del 2007, passando dal 13,3 per cento al 15,8 per cento.

A partire dal 2015, in presenza di una crescita economica che torna ad essere leggermente positiva, la spesa pensionistica in rapporto al PIL flette gradualmente portandosi al 15,4 per cento nel 2016.

Tale tendenza, che sconta anche l’aumento dei requisiti di pensionamento, prosegue fino a raggiungere un minimo relativo del 15,2 per cento nel biennio 2017-2018.

A partire dal 2019 e fino al 2022, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL torna ad aumentare con un picco pari al 16,9 per cento del PIL nel 2020, per poi ripiegare su un livello pari al 15,1 per cento nel 2022.

La spesa in rapporto al PIL cresce significativamente a causa della forte contrazione dei livelli di prodotto dovuti agli effetti della fase iniziale e più acuta dell’emergenza sanitaria (2020), recuperati nel biennio 2021-2022¹³.

L’andamento è condizionato, inoltre, dall’applicazione delle misure in ambito previdenziale contenute nel D.L 4/2019 convertito dalla L. 26/2019 (e successive proroghe), le quali, favorendo il pensionamento anticipato, determinano un sostanziale incremento del numero di pensioni in rapporto al numero di occupati.

Nel biennio 2023-2024, tenuto anche conto dell’elevato livello dell’indicizzazione (imputabile al significativo incremento del tasso di inflazione registrato a partire dalla fine del 2021 fino al 2023), la spesa in rapporto al PIL aumenta portandosi, alla fine del biennio, al 15,6 per cento, livello che viene sostanzialmente mantenuto fino al 2028.

Di seguito, il rapporto spesa/PIL aumenta velocemente fino a raggiungere il picco relativo del 17 per cento nel 2040.

Nella parte centrale del periodo di previsione, si assiste all’incremento del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati indotto dalla transizione demografica, solo in parte compensato dall’innalzamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento.

Tale incremento sopravanza l’effetto di contenimento degli importi pensionistici esercitato dalla graduale applicazione del sistema di calcolo contributivo sull’intera vita lavorativa.

Dopo un triennio di sostanziale stabilità, a partire dal 2044 il rapporto tra spesa pensionistica e PIL diminuisce prima gradualmente e poi rapidamente portandosi al 16,0 per cento nel 2050 e al 13,9 per cento nel 2070.

La rapida riduzione del rapporto fra spesa pensionistica e PIL è determinata dall’applicazione generalizzata del calcolo contributivo che si accompagna alla stabilizzazione, e successiva inversione di tendenza, del rapporto fra numero di pensioni e numero di occupati.

Tale andamento si spiega, da un lato, con la progressiva uscita delle generazioni del baby boom e, dall’altro, con l’entrata a pieno regime del sistema contributivo e con l’operare dei meccanismi di stabilizzazione previsti dal sistema pensionistico italiano, espressamente disegnati per garantire la sostenibilità finanziaria del sistema e l’adeguatezza delle prestazioni, i quali prevedono l’adeguamento automatico dei requisiti minimi di pensionamento e dei coefficienti di trasformazione in funzione della speranza di vita.

A questo riguardo, il box 2.1 del Rapporto offre una descrizione dettagliata degli effetti finanziari del complessivo ciclo di riforme pensionistiche adottate in Italia nell’ultimo ventennio mostrando come l’insieme degli interventi di riforma approvati a partire dal 2004 abbiano generato una riduzione dell’incidenza della spesa pensionistica in rapporto al PIL pari a oltre 60 punti percentuali cumulati al 2060.

Di questi, circa un terzo è dovuto agli interventi previsti con la riforma del 2011 (la cosiddetta Riforma Fornero, contenuta nell’art. 24 del D.L. 201/2011, convertito in L. 214/2011).

La figura A confronta la previsione dello scenario nazionale base riportata nel DEF 2024 con quella sottostante alla Nota di aggiornamento DEF 2023 (curva sottile).

La differenza è dovuta essenzialmente al cambiamento del quadro macroeconomico di breve periodo intervenuto nel DEF 2024, e in particolare al recepimento del più alto livello di PIL nominale registrato in Contabilità Nazionale per gli anni 2022 e 2023.

Ulteriori aspetti che attengono alle procedure di aggiornamento sono l’incorporazione delle previsioni demografiche Istat con base 2022 pubblicate il 28 settembre 2023, il recepimento delle modifiche normative intercorse e gli effetti indotti dalle ordinarie procedure di aggiornamento dei dati di base del modello di simulazione.

La nuova curva, pur partendo da un livello del rapporto tra spesa e PIL più basso (dovuto alla consistente variazione del denominatore a inizio simulazione), torna gradualmente ai livelli precedenti. Nella prima fase, la differenza tra le due curve è dovuta essenzialmente, come detto, al livello del PIL nominale.

Nel lungo periodo, invece, il tasso di crescita del PIL nel quadro macroeconomico sottostante al DEF 2024 assume una dinamica più contenuta rispetto a quanto previsto nella NADEF 2023, in particolare negli anni più interessati dalla transizione demografica (la decade degli anni ’30).

La moderazione della dinamica del PIL ha, quindi, un effetto corrispondente sulla spesa pensionistica, con un ritardo evidente a partire dal 2055, quando le due curve cominciano a divergere fino a registrare uno scostamento massimo di 0,2 punti percentuali nel 2060, anno dopo il quale tale scostamento tende a ridursi sino a riportare il livello di spesa su PIL su valori quasi coincidenti.

La valutazione della sostenibilità finanziaria viene affiancata dall’analisi degli effetti distributivi per fondo, sesso e coorte di pensionati.

L’applicazione del metodo di calcolo contributivo determina in generale, nel lungo periodo, una riduzione degli importi di pensione; per i lavoratori autonomi, concorre alla riduzione la più bassa aliquota contributiva.

D’altra parte, poiché il metodo contributivo considera i profili di carriera con riferimento all’intera vita lavorativa, sono soprattutto le pensioni medie dei lavoratori con posizioni migliori a ridursi nel tempo, e, per quanto riguarda le dinamiche di genere, degli uomini.

Contestualmente, si evidenzia una significativa ricomposizione delle risorse per genere, con un incremento della quota di spesa pensionistica complessivamente destinata alle donne.

Ciò si deve prevalentemente all’aumento delle pensioni dirette femminili che scaturiscono dai più elevati tassi di occupazione previsti nella prima parte del periodo di previsione.

L’analisi degli effetti distributivi tra differenti generazioni viene in primo luogo effettuata con riferimento ai fattori normativi.

Il meccanismo di indicizzazione delle pensioni comporta, a parità di regime di calcolo, una riduzione progressiva dell’importo espresso in termini reali delle pensioni di “vecchia” decorrenza rispetto a quelle di “nuova” decorrenza.

D’altra parte, l’introduzione graduale del sistema di calcolo contributivo produce effetti che vanno in direzione opposta, in quanto tendono ad avvantaggiare le pensioni di vecchia decorrenza, per effetto della gradualità del regime transitorio e della revisione periodica dei coefficienti di trasformazione; l’impatto di questi fattori è però contrastato dall’adeguamento automatico dei requisiti anagrafici di accesso al pensionamento alle variazioni della speranza di vita nonché dalle regole di calcolo della prestazione di prima liquidazione.

L’analisi distributiva per coorte viene infine sintetizzata dal confronto tra gli importi medi dello stock di pensioni dirette (al netto di pensioni e assegni sociali) in percentuale del PIL pro capite per fasce decennali di età e per decennio di previsione.

Si osserva che, mentre in passato, per le fasce di età interessate dal pensionamento anticipato, l’importo medio di pensione risultava nettamente più alto di quello rilevato nelle fasce di età più alte, tale vantaggio si riduce gradualmente con l’introduzione del sistema contributivo.

La valutazione dell’adeguatezza delle prestazioni si completa, nel capitolo 6, con l’analisi dei tassi di sostituzione teorici che esprimono il rapporto fra la prima rata di pensione e l’ultima retribuzione.

I calcoli sono effettuati per l’intero periodo di previsione, in coerenza con le ipotesi demografiche e macroeconomiche degli scenari adottati.

In linea con quanto ipotizzato per le previsioni di spesa, la derivazione dei tassi di sostituzione recepisce l’aggiornamento biennale dei coefficienti di trasformazione con decorrenza dal 2023.

Inoltre, ai fini della definizione delle carriere lavorative, si è tenuto conto del corrispondente adeguamento dei requisiti minimi per la maturazione del diritto alla pensione. I tassi di sostituzione, sia al lordo sia al netto del prelievo contributivo e fiscale, sono stati computati facendo uso delle ipotesi dello scenario nazionale base (Tab. C del Rapporto).

L’ipotesi di lavoro si basa sull’assunto che l’età di pensionamento sia uguale al requisito minimo di vecchiaia, adeguato nel tempo con le variazioni della speranza di vita, fatta eccezione per i lavoratori dipendenti assoggettati al sistema contributivo (Appendice 1.C.6 del Rapporto).

Per tali lavoratori, l’età di pensionamento è stata equiparata al requisito minimo previsto per il pensionamento anticipato con età ridotta di tre anni rispetto al requisito di vecchiaia e un posticipo di tre mesi della decorrenza del trattamento, come previsto dalla normativa vigente.

L’analisi dei tassi di sostituzione lordi (Tab. C.1 del Rapporto) evidenzia il contributo che l’elevamento dell’età media al pensionamento produce sugli importi di pensione nell’ambito del sistema di calcolo contributivo concorrendo, in tal modo, a migliorare l’adeguatezza delle prestazioni.

Tale aspetto, già evidente nell’ipotesi base che assume un livello costante dell’anzianità contributiva, risulta ancor più marcato nell’ipotesi di anzianità contributiva parametrata al requisito minimo di età previsto per il pensionamento di vecchiaia.

I risultati ottenuti mostrano come gli effetti di contenimento dei benefici pensionistici derivanti dall’introduzione del calcolo contributivo vengano significativamente controbilanciati dall’elevamento dei requisiti minimi di accesso al pensionamento in funzione della speranza di vita.

L’effetto sui tassi di sostituzione dell’adeguamento biennale dei coefficienti di trasformazione congiuntamente all’effetto dell’aggiornamento dei requisiti di accesso al pensionamento in funzione delle variazioni nell’aspettativa di vita viene presentato con maggior dettaglio nel box 6.1 del Rapporto.

L’analisi dei tassi di sostituzione netti (Tab. C.2 del Rapporto) consente di valutare le variazioni del reddito disponibile del lavoratore nel passaggio dalla fase attiva a quella di quiescenza. La partecipazione a strumenti di previdenza complementare contribuisce significativamente a modificare l’andamento futuro dei tassi di sostituzione lordi.

Rispetto all’ipotesi base, per un lavoratore dipendente del settore privato il tasso di sostituzione lordo del 2070 passa dal 58,8 per cento al 66,5 per cento, mentre per i lavoratori autonomi incrementa dal 47 per cento al 55,5 per cento.

Ne risulta che il contributo della previdenza integrativa permette di mitigare ulteriormente il contenimento dei benefici pensionistici derivante dall’introduzione del calcolo contributivo.

Difatti, nel caso in cui i trattamenti pensionistici siano integrati dalla previdenza complementare, i tassi di sostituzione lordi si ridurrebbero, tra il 2010 e il 2070, di 7,1 punti percentuali, per i dipendenti privati, e di 16,6 punti percentuali, per gli autonomi.

Con la sola previdenza obbligatoria, le riduzioni sarebbero state, rispettivamente, di 14,8 e 25,1 punti percentuali.

Un effetto analogo si produce sui tassi di sostituzione netti. In tale ipotesi, nel 2070, i dipendenti privati raggiungono un valore pari al 76,5 per cento, rispetto al 66,3 per cento della sola previdenza obbligatoria. Per i lavoratori autonomi, i valori corrispondenti sono 85 per cento e 67,7 per cento.

L’analisi sui risultati netti evidenzia come il ruolo della previdenza complementare sia particolarmente significativo per i lavoratori autonomi.

¹³ La riduzione dell’incidenza della spesa in rapporto al PIL nell’anno 2022 beneficia anche del significativo incremento della componente nominale del PIL, mentre gli effetti dell’aumento dei prezzi sull’indicizzazione delle pensioni si riflettono negli anni successivi.