L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA DOPO IL MASSICCIO EFFETTO DEMOLITORIO OPERATO DALLA CORTE COSTITUZIONALE
Trento, 12 febbraio 2025. Di Paolo Rosa, avvocato.
Se fossi a Sanremo, canterei come il poeta Battiato “Sul ponte sventola la bandiera bianca”.
Allo stato attuale, dell’autonomia differenziata resta solo un contenuto minimo.
Sulla legge Calderoli, 26 giugno 2024, n. 86, si è infatti abbattuta la Corte Costituzionale con le sentenze 192/2024 e 10/2025.
L’impianto originario della legge Calderoli è stato profondamente modificato dalla Corte Costituzionale con interventi di tipo caducatorio, sostitutivo e additivo, nonché con decisioni interpretative di rigetto.
La sentenza n. 192/2024, infatti, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di molteplici disposizioni della legge Calderoli; ha dichiarato l’illegittimità costituzionale conseguenziale di altre disposizioni della medesima e di altra legge (legge n. 197/2022) e ha fornito l’interpretazione costituzionalmente orientata di ulteriori disposizioni.
Il fondamento della decisione della Corte Costituzionale risiede, soprattutto, nell’interpretazione sistematica dell’art. 116, terzo comma, Cost., letto alla luce del principio di sussidiarietà.
In particolare la Corte Costituzionale ha stabilito che l’art. 116, terzo comma, Cost., richiede che il trasferimento riguardi specifiche funzioni, di natura legislativa e/o amministrativa, e sia basato su una ragionevole giustificazione, espressione di un’idonea istruttoria, alla stregua del principio di sussidiarietà.
La sentenza 192/2024 ha poi dichiarato l’illegittimità costituzionale di gran parte dell’art. 3 della legge Calderoli, che disciplina l’individuazione dei LEP, censurando sia la delega legislativa per la determinazione dei LEP sulla base di nuovi criteri non specificati, sia i criteri vigenti alla data di entrata in vigore della stessa legge, ossia quelli previsti dalla precedente legge n. 197 del 2022.
Per effetto di tale duplice dichiarazione d’illegittimità costituzionale non c’è modo, attualmente, di individuare i LEP di cui alla legge Calderoli: i nuovi criteri non ci sono e quelli vigenti non hanno più efficacia.
Residuano le materie “no LEP” che afferiscono però a funzioni il cui trasferimento è, n linea di massima, difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà.
E qui vale la pena di legge, compiutamente, il passaggio n. 4.4 della Corte Costituzionale:
«4.4.– Questa Corte non può esimersi dal rilevare che vi sono delle materie, cui pure si riferisce l’art. 116, terzo comma, Cost., alle quali afferiscono funzioni il cui trasferimento è, in linea di massima, difficilmente giustificabile secondo il principio di sussidiarietà.
Vi sono, infatti, motivi di ordine sia giuridico che tecnico o economico, che ne precludono il trasferimento.
Con riguardo a tali funzioni, l’onere di giustificare la devoluzione alla luce del principio di sussidiarietà diventa, perciò, particolarmente gravoso e complesso.
Pertanto, le leggi di differenziazione che contemplassero funzioni concernenti le suddette materie potranno essere sottoposte ad uno scrutinio stretto di legittimità costituzionale.
Inoltre, il fatto che l’art. 116, terzo comma, Cost. contempli, tra l’altro, le funzioni concernenti dette materie non implica che in esse vengano meno gli stringenti vincoli derivanti dalle altre materie trasversali o dall’ordinamento unionale o dai vincoli internazionali, che si sono rafforzati a seguito dei cambiamenti che hanno investito settori rilevantissimi della vita politica, economica e sociale: dalle due rivoluzioni tecnologiche “gemelle”, la digitale e l’energetica, che hanno determinato trasformazioni dirompenti nell’economia, nella società e di conseguenza anche nel sistema giuridico, alle tensioni che hanno investito l’ordine mondiale innescando la sua modificazione, con conseguenze imponenti di ordine strutturale che coinvolgono direttamente alcune delle materie considerate (dal commercio estero all’energia).
Quanto detto non preclude, a priori, anche in queste materie la possibilità del trasferimento di alcune funzioni, ma questo deve trovare una più stringente giustificazione in relazione al contesto, alle esigenze di differenziazione, alla possibilità da parte delle regioni di dare attuazione al diritto unionale.
Tra le funzioni in questione vi sono quelle che riguardano il «commercio con l’estero». L’art. 3, paragrafo 1, lettera e) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) riserva alla competenza esclusiva dell’Unione europea la «politica commerciale comune», che è poi regolata dall’art. 207 TFUE.
In attuazione di tale politica commerciale, l’Unione adotta regolamenti e conclude accordi con Paesi terzi e organizzazioni internazionali.
Pertanto, con riguardo al commercio con Paesi terzi, gli spazi lasciati agli Stati membri sono residuali.
Deve aggiungersi che le trasformazioni intervenute sul piano geopolitico e geoeconomico hanno avuto forti ripercussioni sulle politiche commerciali, che sempre più si intrecciano ora con le esigenze di sicurezza delle catene globali del valore, ora con gli aspetti riguardanti le relazioni di potere tra gli Stati, attraendole pertanto nella sfera della politica estera, che spetta alla competenza esclusiva dello Stato.
Per quanto riguarda, invece, il commercio con gli altri Stati membri dell’Unione, le relative regole sono quelle del mercato interno, fondato sulle quattro libertà di circolazione (delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone), in cui abbonda la normativa eurounitaria, con la conseguenza di rendere esigui gli ambiti di intervento legislativo degli Stati membri e delle loro istituzioni territoriali.
Analogamente, per quanto riguarda la «tutela dell’ambiente», si tratta di una materia in cui predominano le regolamentazioni dell’Unione europea e le previsioni dei trattati internazionali, dalle quali scaturiscono obblighi per lo Stato membro che, in linea di principio, mal si prestano ad adempimenti frammentati sul territorio, anche perché le politiche e gli interventi legislativi in questa materia hanno normalmente effetti di spill-over sui territori contigui, rendendo, in linea di massima, inadeguata la ripartizione su base territoriale delle relative funzioni.
La pervasività della disciplina eurounitaria nella suddetta materia trova il suo fondamento nell’art. 11 TFUE, secondo cui le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile.
Inoltre, l’ambiente è attribuito alla competenza concorrente dell’Unione (art. 4, comma 2, TFUE), e pertanto lo Stato può intervenire solamente fino a quando l’Unione non abbia esercitato la sua competenza normativa.
Competenza che, in questo ambito, è stata esercitata in modo assai ampio.
Ancora più marcati sono gli ostacoli al trasferimento di funzioni, in particolare di quelle legislative, concernenti la materia «produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia».
Si tratta, infatti, di una materia disciplinata dal diritto eurounionale in funzione della realizzazione del mercato interno dell’energia, della tutela del consumatore e della sicurezza energetica.
A tal fine la disciplina eurounitaria si occupa dettagliatamente della generazione di energia, delle reti di trasmissione, delle reti di distribuzione e della vendita al consumatore, in modo da realizzare un mercato effettivamente aperto, in cui deve impedirsi che un operatore verticalmente integrato possa discriminare l’accesso alla rete da parte di operatori concorrenti o sfruttare informazioni commercialmente sensibili.
Inoltre, il diritto dell’Unione ha previsto in ogni Stato membro l’istituzione di un’Autorità indipendente, titolare di rilevanti competenze, tra cui quella di determinare o di approvare, secondo criteri trasparenti, le tariffe di trasmissione e di distribuzione.
A tale Autorità deve essere garantita la piena indipendenza dal potere politico (Corte di giustizia dell’Unione europea, quarta sezione, sentenza 2 settembre 2021, Commissione europea, in causa C-718/18, punti da 103 al 114).
Il sistema elettrico deve assicurare l’interoperabilità delle reti a livello europeo, assicurando gli scambi transfrontalieri, col duplice obiettivo di realizzare il mercato europeo dell’energia e di assicurare, in ciascuno Stato membro, la sicurezza energetica, soprattutto in caso di “sbilanciamento” del sistema nazionale.
Pertanto, esiste un principio di solidarietà tra gli Stati membri in campo energetico (CGUE, grande camera, sentenza 15 luglio 2020, Repubblica federale di Germania, in causa C-848/19, punti da 37 a 53), cui devono uniformarsi le regole nazionali e la conformazione delle reti, senza ostacoli su base territoriale.
A conclusioni simili si perviene per le funzioni concernenti le materie «porti e aeroporti civili» e «grandi reti di trasporto e di navigazione».
Anche in questo caso, le reti di trasporto e le infrastrutture che ne sono i nodi fondamentali – come i porti e gli aeroporti – sono parti di un sistema euronazionale.
Vi è, infatti, una disciplina eurounionale delle reti e dei trasporti, dei piani europei di sviluppo di alcuni grandi direttrici di trasporto (sia ferroviario che su strada), dei progetti di investimento cofinanziati dall’Unione.
Ma anche a livello nazionale le grandi reti di trasporto e i loro nodi infrastrutturali sono parti di un sistema nazionale, costituente una piattaforma essenziale dell’economia e del mercato nazionale, che richiede, nel rispetto della normativa eurounionale, il mantenimento di fondamentali funzioni, in primo luogo, di normazione, a livello statale.
Sussistono consistenti ostacoli anche al trasferimento delle funzioni relative alla materia «professioni».
Infatti, secondo il diritto dell’Unione europea, come interpretato dalla Corte di giustizia, un soggetto che esercita una libera professione che implica, in quanto attività principale, la prestazione di più servizi distinti dietro corrispettivo, esercita un’attività economica (sentenze 18 gennaio 2024, Lietuvos notaru rūmai e altri, in causa C-128/21, punti 56 e 57, e 19 febbraio 2002, Wouters e altri, in causa C-309/99, punto 47).
Peraltro, la natura complessa e tecnica dei servizi forniti e la circostanza che l’esercizio della professione sia regolamentato non possono mettere in discussione tale conclusione (sentenze del 28 febbraio 2013, Ordem dos Técnicos Oficiais de Contas, in causa C-1/12, punto 38, e ancora Lietuvos notaru rūmai e altri, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).
Trattandosi di attività economica, anche le attività professionali, da un lato, sono sottoposte alle regole della concorrenza poste dallo Stato nell’esercizio della relativa competenza diretta a tutelarla e, dall’altro, rientrano nell’ambito della tutela del consumatore, che forma oggetto di regolamentazione analitica da parte del diritto eurounionale.
Ciò vale soprattutto per le professioni ordinistiche, che – quanto alle regole di accesso e quindi al relativo mercato – cadono nella materia «tutela della concorrenza»; anche se non si può escludere la possibilità di una differenziazione in riferimento a quelle professioni non ordinistiche che presentano nessi con la realtà locale.
Anche il trasferimento delle ulteriori funzioni, in particolare di quelle legislative, concernenti la materia «ordinamento della comunicazione» incontra ostacoli di ordine giuridico e tecnico, che rendono eccezionali e residuali le funzioni che possono essere devolute.
In tale materia confluiscono il diritto delle comunicazioni elettroniche e il diritto di internet, che trovano la loro disciplina in un complesso assai esteso di atti normativi dell’Unione europea, che hanno il precipuo scopo di realizzare un mercato unico digitale che sia inclusivo, competitivo e rispettoso dei diritti fondamentali.
Proprio perché si tratta di creare e garantire il mercato unico europeo, in cui le comunicazioni elettroniche e internet svolgono un ruolo fondamentale, gli atti legislativi europei sono, di regola, di massima armonizzazione, lasciando poco spazio agli Stati membri e precludendo, in linea di massima, regolamentazioni territorialmente frammentate che potrebbero fungere da ostacolo al funzionamento di tale mercato.
Gran parte delle funzioni riguardanti la materia hanno finalità pro-concorrenziali e di tutela del consumatore e, perciò, afferiscono alla materia «tutela della concorrenza» di competenza esclusiva dello Stato, potendo difficilmente essere separate da altre funzioni limitate esclusivamente alla comunicazione.
Sulla infrastruttura di rete, nei sistemi di comunicazione e su internet circolano, poi, ingenti masse di dati personali, rispetto ai quali si pone l’esigenza di garanzia del diritto fondamentale alla tutela dei dati personali, che, in talune circostanze, va contemperato con l’interesse pubblico alla tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e con quello all’accertamento e alla repressione dei reati.
Queste esigenze hanno portato ad una vasta regolazione di matrice eurounitaria, che, in linea di massima, lascia spazi assai esigui all’intervento regolatorio degli Stati membri e mal si concilia con differenziazioni regionali.
Con riferimento alle «norme generali sull’istruzione», questa Corte ha da tempo individuato l’elemento caratterizzante di tale materia nella «valenza necessariamente generale ed unitaria» (sentenza n. 200 del 2009; più di recente, sentenze n. 168 del 2024 e n. 223 del 2023) dei contenuti che le sono propri; tali norme generali, stabilite dal legislatore statale, «delineano le basi del sistema nazionale di istruzione», essendo funzionali ad assicurare «la previsione di una offerta formativa sostanzialmente uniforme sull’intero territorio nazionale, l’identità culturale del Paese, nel rispetto della libertà di insegnamento di cui all’art. 33, primo comma, Cost.» (sentenza n. 200 del 2009).
Non sarebbe quindi giustificabile una differenziazione che riguardi la configurazione generale dei cicli di istruzione e i programmi di base, stante l’intima connessione di questi aspetti con il mantenimento dell’identità nazionale». (Fonte: Corte Cost 192/2024)
Pertanto, come ha scritto la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 10/2025, l’intervento demolitore ha comportato:
a) Il trasversale ridimensionamento dell’oggetto di qualsiasi possibile trasferimento (solo specifiche funzioni e non già materie);
b) la paralisi – fino ad un futuro intervento del legislatore – dell’individuazione dei LEP di cui alla suddetta legge n. 86/2024;
c) la conseguente impossibilità di trasferire specifiche funzioni relative a materie LEP nonché – per la stessa ragione – relative a materie non LEP là dove esse indicono su diritti civili e sociali;
d) l’individuazione di un catalogo di materie nelle quali il trasferimento di funzioni è difficile da giustificare, tra cui due materie no LEP (commercio con l’estero e professioni).
Rimane unicamente la possibilità di trasferire specifiche funzioni concernenti alcune materie no LEP a condizione che esse non incidono su un diritto civile o sociale e che l’iniziativa regionale sia giustificata alla luce del principio di sussidiarietà.
Alla luce di questo intervento demolitorio credo che al Legislatore convenga prima di tutto riprendere in mano la materia del Federalismo fiscale.
«Federalismo fiscale Come evidenziato nell'ultima Relazione della Commissione Parlamentare per l'attuazione del Federalismo fiscale, approvata il 15 dicembre 2021, l'attuazione della legge delega n.42 del 2009 sul federalismo fiscale è avvenuta solo in parte, in quanto il processo volto alla compiuta affermazione dei principi del federalismo fiscale è stato caratterizzato da ritardi, incertezze, soluzioni parziali e reiterati differimenti.
In particolare, la fiscalizzazione dei trasferimenti, diretta a superare il meccanismo della finanza derivata, è stata concretamente realizzata solo per il comparto comunale; la perequazione delle risorse basata sui fabbisogni e sulle capacità fiscali è stata avviata esclusivamente per i comuni delle regioni a statuto ordinario;
la perequazione infrastrutturale e il percorso di convergenza ai livelli essenziali delle prestazioni (LEP) fanno registrare perduranti inadempienze.
Passi avanti significativi nella definizione dei LEP in ambito sociale, tuttavia, sono stati compiuti con le due ultime leggi di bilancio, che hanno stanziato specifiche risorse, nell'ambito del Fondo di solidarietà comunale, finalizzate al raggiungimento di obiettivi di servizio nei settori degli asili nido e dei servizi sociali.
Infine, il PNRR prevede la riforma del quadro fiscale subnazionale, che consiste nel completamento del federalismo fiscale previsto dalla legge n. 42 del 2009, con l'obiettivo di migliorare la trasparenza delle relazioni fiscali tra i diversi livelli di governo, assegnare le risorse alle amministrazioni subnazionali sulla base di criteri oggettivi e incentivare un uso efficiente delle risorse.
La riforma, da completare entro il primo trimestre del 2026, dovrà definire, in particolare, i parametri applicabili e attuare il federalismo fiscale per le regioni a statuto ordinario e per le province e le città metropolitane». (Fonte: Federalismo fiscale, 5 giugno 2024, Camera dei deputati, Servizio Studi, XIX Legislatura)