LA RIFORMA DI CASSA FORENSE INSIDERS E OUTSIDERS
Trento, 16 giugno 2024. Di Paolo Rosa, avvocato.
La riforma della previdenza forense, che andrà nuovamente al vaglio dei Ministeri Vigilanti, interviene su una situazione reddituale degli iscritti “disperata” come risulta dalla tabella dei Numeri dell’avvocatura, predisposti dall’attuario interno di Cassa Forense, e che qui riproduco a corredo di questo pezzo al fine di dare una visione plastica della situazione: REDDITO PROFESSIONALE DEGLI ISCRITTI ALLA CASSA - ANNO 2022
La riforma tenta di rendere compatibile la sostenibilità economica e la sostenibilità sociale del modello, attraverso una rimodulazione delle regole, rimanendo nel sistema di finanziamento a ripartizione, ma transitando al sistema di calcolo contributivo della pensione, che introduce una sorta di capitalizzazione virtuale.
Ma l’aliquota contributiva soggettiva, pur se in aumento, rimane uguale per tutti e non progressiva, secondo scaglioni di reddito.
In tal caso la base imponibile è suddivisa in intervalli (scaglioni) e sulla parte di reddito che ricade in ogni intervallo si applica una aliquota costante all’interno dello scaglione e crescente nel passaggio allo scaglione successivo.
La conseguenza del mancato uso della progressività per scaglioni, è che l’eventuale sostenibilità economica del sistema, comporta la progressiva precarizzazione della sostenibilità sociale del modello, rendendo del tutto incerto il rispetto dei precetti costituzionali e, in particolare, quello dell’adeguatezza delle prestazioni di cui al comma 2 dell’art. 38 Costituzione che, nella sostanza, viene rimessa alla discrezionalità del legislatore, sulla quale i Vigilanti accenderanno un focus attento.
Il mutamento del quadro demografico e della reddittività della professione legale, ormai concentrata in un 10% degli attivi, sta generando una frattura, a mio giudizio insanabile, tra il passato, caratterizzato da una generosità diffusa, e un futuro a incertissima garanzia, stante la numerosità, la precarietà e l’intermittenza del lavoro.
Il sistema previdenziale forense è datato nel tempo ed è nato quando i numeri erano completamente diversi e la professione forense era elitaria e redditizia mentre oggi si è progressivamente proletarizzata, dopo aumenti con progressione geometrica.
Esempio: io mi sono iscritto all’Albo il 30.10.1974 e la mia tessera reca il numero 62 mentre oggi gli iscritti al COA di Trento sono 752 e quindi con un aumento del 1.213%
Nel 1974 il Trentino (che comprende però anche il COA di Rovereto) aveva 435.370 abitanti mentre nel 2023 sono 545.183 con un aumento del 125%!
Il sistema previdenziale forense era universalistico nei fatti , quando la platea era contenuta e i redditi pro capite erano elevati.
Oggi non è più così e cercare di adattare un modello, nato in un contesto completamente diverso, ai numeri attuali, a mio giudizio, è impresa “ciclopica”.
Occorre essere seri e ammettere che la vulnerabilità è un tratto stabile e costitutivo, tanto della nostra epoca, quanto della nostra natura, per cui le soluzioni devono passare da nuovi modelli di costruzione sociale.
Personalmente, avverto l’esigenza di una riconfigurazione del sistema previdenziale e assistenziale forense su basi nuove, per fare in modo che esso possa acquisire una fisionomia più consona alle nuove realtà, tanto sociali, quanto economiche della avvocatura italiana.
La transizione dal 01.01.2025 al sistema di calcolo contributivo significa, per i nuovi iscritti a quella data, dover finanziare le pensioni degli anziani, scontandone generosità e durata, e in più finanziare la propria, il che apre il dibattito sull’equità generazionale.
La riforma, non solo non immagina alcun intervento sul pregresso a titolo di solidarietà, ma addirittura – con il ripristino dei supplementi di pensione (sia pure sul 50% del versato) – distoglie ulteriori risorse all’equità intergenerazionale.
La nostra Costituzione non prevede “la pensione di cittadinanza” (le assicurazioni sociali, anche se non si richiede un record contributivo, sono sempre selettive, dato che il trasferimento è condizionato al verificarsi degli eventi che le definiscono, quali la vecchiaia o l’invalidità) però bisogna sforzarsi di introdurre dei criteri tali da renderla inclusiva e non esclusiva, come si appalesa la proposta riformatrice.
La strada da percorrere, a mio giudizio, è quella di rendere la contribuzione soggettiva, progressiva, secondo scaglioni di reddito, da determinarsi sulla base di accurate proiezioni tecnico – attuariali.
Poiché il legislatore previdenziale, nel nostro caso il Comitato dei Delegati, non ha il potere di redistribuire il PIL dell’avvocatura tra tutti gli iscritti ,in modo da garantire l’equità generazionale, si dovrà intervenire sulle regole del sistema previdenziale forense.
Certamente il contributo soggettivo, per dottrina e giurisprudenza dominanti, non può assimilarsi a un’imposta però, se modulato opportunamente, per ragioni di sostenibilità economica e sociale nell’ambito dell’autonomia normativa, può raggiungere lo stesso risultato al fine di evitare che chi ha meno, paghi di più, rovesciando gli addendi.
Con la riforma proposta, a mio giudizio, si creerà una gravissima spaccatura, anche previdenziale, nell’avvocatura italiana con una deriva molto pericolosa e soprattutto necessiterà, a breve, di altri e più profondi interventi.
In una recentissima sentenza, pubblicata sul sito dell’Adepp, in una controversia contro l’Enpam, la Terza Sezione Lavoro del Tribunale di Roma, sentenza n. 6501/2024, ha affermato che il nuovo meccanismo contributivo (4% a carico degli specialisti esterni) è funzionale a garantire l’equilibrio finanziario di lungo termine della gestione previdenziale e che “i contributi previdenziali alimentano la posizione contributiva dell’iscritto e che la prestazione pensionistica viene calcolata sulla base dell’entità dei contributi versati. Di conseguenza, a maggiori contributi corrisponde una pensione di maggior importo, e dunque un vantaggio per l’iscritto”.
Forse è il caso di fermarsi, creare un gruppo di lavoro di livello, dialogare apertamente con gli iscritti, numeri alla mano, e valutare il da farsi con il coraggio delle idee, senza arroccamenti ma con lungimiranza.
A mio giudizio, gli stessi Ministeri Vigilanti avrebbero interesse ad accompagnare la transizione verso un nuovo modello!
Uscire dalla “confort zone” e guardare agli altri, impegnativo sì ma non impossibile!
Il principio di eguaglianza e il principio di universalità del Ssn costituiscono presupposto indefettibile per assicurare la coesione sociale del Paese e per contrastare le conseguenze sulla salute frutto delle disuguaglianze sociali, derivanti dalle diverse condizioni socio-economiche dei singoli territori.
Io credo si debba ragionare negli stessi termini anche per la previdenza di primo pilastro.
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