LA REGIONE SARDEGNA NEGA LA PAROLA AI SARDI SU PALE EOLICHE E PANNELLI FOTOVOLTAICI. IL PARERE "A CALDO" DELL'AVV. MICHELE PALA
Giannina Puddu, 31 dicembre 2024.
In Sardegna, il Popolo sardo ha chiesto di potersi esprimere sull'uso massiccio dei mega impianti eolici e fotovoltaici.
Previsti in quantità sporporzionata rispetto al fabbisogno energetico dei sardi, in musura iniqua rispetto al carico attribuito alle altre regioni d'Italia, privilegiando, tra i tanti possibili strumenti per la produzione di energia verde, gli impianti eolici e i pannelli fotovoltaici, noti per il loro potere impattante e inquinante.
La Regione Sardegna ha negato questo diritto costituzionale ai sardi, dichiarando l' "illegittimità" del quesito referendario.
Ne ho parlato con l'avvocato Michele Pala, Rappresentante del Comitato referendario per il NO.
1) Avvocato Michele Pala, mi rivolgo a lei come Rappresentante del Comitato Referendario per il NO, per un'analisi, "a caldo", del parere espresso dall'Ufficio Regionale del Referendum della Regione Sardegna che ha bocciato, per "illegittimità", il quesito referendario da voi proposto: “Volete voi che il paesaggio sardo terrestre e marino sia modificato con l’installazione sul terreno ed in mare di impianti industriali eolici e/o fotovoltaici per la produzione di energia elettrica?”.
L'espressione di questo "rifiuto", successivo alla "diluizione" della Proposta Popolare di Legge "Pratobello 24", pare confermare la volontà politica della regione Sardegna, di impedire al Popolo sardo di esprimersi sul futuro del suo habitat naturale, e, dunque, sulla difesa della sua stessa "identità".
Qual è il suo commento, appunto, "a caldo"?
Innanzitutto occorre chiarire che l’Ufficio del referendum è un organo regionale istituito presso la Presidenza della Regione.
Infatti è la stessa Presidente della Regione che ha nominato i quattro magistrati che insieme al segretario generale formano questo collegio la cui funzione è proprio quella di deliberare sulla ammissibilità dei referendum previsti con legge costituzionale dallo Statuto speciale sardo.
Il provvedimento dell’Ufficio Regionale del Referendum di fatto non permette ai sardi di esprimere la propria volontà in modo unitario e democratico ed è sicuramente un atto che ha gravi conseguenze politiche.
Esso giunge dopo mesi di mobilitazione popolare, dopo gli appelli di numerose personalità del mondo del giornalismo, dello spettacolo e della cultura e infine dopo il sostanziale rigetto da parte del Consiglio Regionale della proposta di legge “Pratobello”.
In buona sostanza è stato negato al popolo ogni strumento legale che potesse incidere sull’indirizzo politico espresso dal governo nazionale.
Ai sardi che a vario titolo hanno contribuito a realizzare tutto ciò deve essere attribuita una responsabilità che rimarrà come una macchia indelebile nella storia della Sardegna ed in quella della democrazia italiana.
2) La Deliberazione dell'Ufficio Regionale per il Referendum, apre con il richiamo della L.R. 17 maggio 1957, n. 20 che tratta delle Norme in materia di referendum popolare regionale.
Tale legge, alla lettera f), prevede di poter "esprimere parere su questioni di particolare interesse sia regionale che locale" e questo riferimento giuridico è citato dalla stessa "Deliberazione" che, subito dopo, ne contesta l'applicazione dichiarando l'" illegittimità" del quesito referendario in quanto la materia su cui verte non può costituire oggetto di referendum consultivo...
Eppure, il testo presentato dal Comitato Referendario per il NO, ha trattato, esclusivamente, gli impianti eolici e fotovoltaici di taglia industriale, chiedendo ai sardi se siano o no favorevoli all' uso di questi "strumenti", gravemente impattanti, per raggiungere il fine della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
Come interpreta questa motivazione di "illegittimità"?
Sotto il profilo giuridico la motivazione addotta dall’ufficio del referendum lascia basiti perché si è voluto vedere la lesione dell’interesse nazionale dove questo non subisce alcun pregiudizio.
Infatti il quesito referendario non è contro la transizione energetica e neppure può pregiudicare gli impegni assunti dallo Stato per la riduzione dei combustibili fossili.
Questi impegni, che investono l’interesse nazionale, si traducono per la Sardegna in un obbligo di produzione minima di 6,2 gigawatt di corrente elettrica da energia rinnovabile.
Lo stesso decreto legislativo n. 199 del 8 novembre 2021 all’art.2 indica l’energia da fonti rinnovabili come energia proveniente da fonti rinnovabili non fossili, vale a dire energia eolica, solare, termico e fotovoltaico, e geotermica, energia dell'ambiente, energia mareomotrice, del moto ondoso e altre forme di energia marina, energia idraulica, biomassa, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas.
Il nostro referendum, qualora avessero prevalso i no, avrebbe indirizzato il legislatore ad escludere solamente l’utilizzo del fotovoltaico e dell’eolico industriali lasciando aperta la possibilità di utilizzare ogni altra fonte rinnovabile tra quelle indicate dalla stessa norma nazionale.
In poche parole, la regione Sardegna potrebbe produrre esattamente la quota di anergia a lei assegnata, senza il ricorso all’eolico ed al fotovoltaico, ma invece utilizzando le maree, oppure l’energia idroelettrica, le biomasse o altre tra quelle precedentemente indicate.
Quindi se è vero come è vero che l’interesse nazionale sta nella produzione di energia da fonti rinnovabili, il senso del referendum sta proprio nel favorire un processo politico che conduca la Sardegna a produrre la quota di energia a lei assegnata, come previsto dalle norme nazionali, utilizzando le fonti rinnovabili che meglio si adattano al territorio nel rispetto delle attività produttive, del paesaggio e degli elementi identitari dell’isola.
Invece l’Ufficio regionale del Referendum ha voluto vedere l’interesse nazionale nel fatto che l’energia sia prodotta esclusivamente per mezzo degli impianti eolici e fotovoltaici, uno strabismo davvero difficile da comprendere.
Per concludere, ricordo che alcuni anni fa l’Ufficio Regionale del Referendum ammise la consultazione popolare sui depositi di scorie radioattive in Sardegna.
Quel referendum aveva ad oggetto la materia dell’energia e quel particolare problema sottendeva senza alcun dubbio l’interesse nazionale.
Ebbene, quel referendum fu ammesso e i cittadini sardi si poterono esprimere, ma questo significativo precedente viene oggi totalmente omesso e taciuto.
2) Il testo della "Deliberazione" prosegue affermando che Preliminarmente, giova rammentare che la Repubblica è “una e indivisibile” (art. 5 Cost.)...
Ma, pur essendomi impegnata a cercare il nesso logico di questa citazione nel contesto della verifica di "legittimità" del quesito referendario, non sono riuscita a coglierlo.
Usando un approccio spicciolo, si potrebbe sintetizzare con "che c'azzecca"?
Si, è sconcertante! Il fatto che i cittadini si possano esprimere su un intervento così rilevante per il loro territorio secondo l’Ufficio Regionale del Referendum è divenuto un potenziale elemento di rottura della unità nazionale!!!
Per la verità il referendum è uno strumento previsto nella Costituzione della Repubblica e previsto con legge costituzionale nello Statuto Speciale Sardo. Esso è il principale strumento di democrazia diretta attraverso il quale viene esercitata la sovranità popolare.
Se per l’Ufficio del Referendum l’espressione della sovranità popolare di cui all’art. 1 della Costituzione giunge a divenire un elemento di rottura dell’unità nazionale, allora il problema non sta solamente nella tutela del paesaggio e della identità della Sardegna, ma diviene un problema di democrazia e libertà.
3) Segue, nel testo della "Deliberazione", una sorta di esercizio giuridico-speculativo che mal si coniuga con l'oggettiva gravità della situazione che esige, invece, soluzioni e risposte concrete al Popolo Sovrano che chiama, rinunciando ad esibizioni intellettuali acrobatiche di tal genere...
Viene alla mente il ricordo della regina Maria Antonietta che, secondo l'attribuzione dei rivoluzionari, avrebbe detto al Popolo affammato di Parigi: Se non hanno più pane che mangino brioches (S’ils n’ont plus de pain qu’ils mangent de la brioche).
Nel caso, al posto delle brioches, si offre in pasto al Popolo una "Deliberazione" dotta che conferma il totale scollamento tra le Istituzioni e la società reale.
Si legge: In un primo momento, ambiente e paesaggio costituivano un’endiadi: in tal senso, risulta particolarmente significativa Corte cost., 20 febbraio 1995, n. 46, nella quale la Corte, chiamata a pronunciarsi in materia di usi civici, aveva espressamente superato la “visione frammentaria della tutela del paesaggio propria della legge n. 1497 del 1939, in prevalenza diretta alla tutela di singole bellezze naturali isolatamente considerate”...
E, segue, ripercorrendo l'intera storia della definizione normativa delle tue categorie "Paesaggio" e "Ambiente", per giungere a sentenziare, dopo oltre 80 righe (!!!), che la finalità della richiesta referendaria è quella di stabilire una prevalenza tra il paesaggio e l’ambiente, indipendentemente da qualsivoglia bilanciamento tra i detti beni; tuttavia, ciò si pone in evidente e diretto contrasto con quanto affermato dalla più recente giurisprudenza costituzionale, secondo la quale:...
Le domando: il Comitato Referendario per il NO, prima di formulare il quesito, aveva stilato una classifica di valenza tra "Paesaggio" e "Ambiente"?
E, dunque?
Anche in questo caso l’orientamento dell’Ufficio del Referendum risulta francamente incomprensibile perché si afferma che “l’installazione di impianti industriali eolici e/o fotovoltaici per la produzione di energia elettrica, se da un lato consente di preservare l’ambiente, inteso come insieme delle condizioni fisiche e chimiche di esistenza dell’essere vivente, dall’altro impatta sul patrimonio paesistico e culturale” e quindi se il referendum vietasse l’eolico ed il fotovoltaico l’ambiente ne subirebbe un pregiudizio.
La contrapposizione tra paesaggio ed ambiente sollevata dall’ufficio del referendum è inconsistente perché non considera che se preservare l’ambiente è possibile con le biomasse, con l’idroelettrico, con il moto ondoso o con altre energie rinnovabili, perché farlo con l’eolico ed il fotovoltaico che sono particolarmente impattanti nei confronti del paesaggio?
La realtà è che l’esito referendario non crea alcun conflitto tra paesaggio ed esigenze di tutela ambientale e lascia al legislatore la possibilità di realizzare il bilanciamento nel rispetto della volontà popolare.
4) Nel «REPowerEU, l' Unione invita ad un processo di accelerazione del ricorso alle energie rinnovabili è fondamentale per ridurre la dipendenza dell’Unione dai combustibili fossili ed eliminare gradualmente il consumo di gas russo.
E, la stessa Commissione europea, noto il parere contrario delle popolazioni che non accettano lo stravolgimento dei loro territori per effetto di questi impianti invasivi, ha suggerito che per “Per sormontarlo, le esigenze e le prospettive dei cittadini e delle parti interessate della società dovrebbero essere prese in considerazione in tutte le fasi dello sviluppo dei progetti di energia rinnovabile – dall’elaborazione delle politiche alla pianificazione territoriale e all’iter progettuale – e dovrebbero essere incoraggiate buone pratiche volte a garantire un’equa distribuzione degli impatti degli impianti sulla popolazione locale”.
Ma, l'atteggiamento rigido assunto dalla regione Sardegna, pare ignorare tale indicazione scegliendo di "tirare dritto" al cospetto di qualunque iniziativa di espressione dei cittadini sardi in relazione alle loro "esigenze" e "prospettive".
Questo, al pari dei Governi centrali che non hanno applicato il principio di "equità" gravando la Sardegna del carico di 6,2 GW e, pure, non prevedendo un tetto massimo di produzione.
Qual è la sua lettura?
A me sembra grave il fatto in se.
L’espressa volontà di non ammettere la consultazione popolare deve farci riflettere sulla deriva assunta dal nostro sistema democratico.
Mi ripeto, la devastazione di una intera isola con la trasformazione dell’intero suo paesaggio da rurale ad industriale è una responsabilità che rimarrà nella storia, ma oggi il popolo si vede negato persino il diritto di esprimersi, o meglio, si può esprimere solo quando questa espressione sia conforme agli indirizzi di governo.
Il comitato referendario insieme agli altri comitati ed alle associazioni che hanno sostenuto il referendum insieme a numerosi concittadini hanno già avviato una riflessione su cosa rimanga delle garanzie costituzionali e della sovranità popolare.
Il provvedimento assunto dalla regione con il suo ufficio del referendum apre una fase nuova che potrebbe persino avere sviluppi giudiziari, ma che avrà certamente conseguenze politiche di assoluto rilievo per i cittadini sardi e ci si augura per questa nostra malandata democrazia.