La finanza nera

In pochi lo sanno probabilmente ma l’Italia è diventato il paese delle trivelle e terra di contesa tra i gruppi petroliferi attirati dalla legislazione favorevole che permette addirittura di far pagare royalties contenute.

Nel 2011 sono state presentate circa 300 istanze di ricerca e nel caso si trovasse l’olio nero le prime 50mila tonnellate di petrolio sono esentasse. Nel 2010 su 136 concessioni fornite, solo in 21 hanno pagato le royalties allo Stato.
E’ trapelata solo da poco la notizia di un guasto avvenuto nel mese scorso nel Metaponto in Basilicata dove si trova un giacimento dell’azienda Eni. Il guasto ad un oleodotto ha provocato la fuoriuscita di petrolio e lo sversamento su di un’area di circa 6 mila metri quadrati di terreno.


La regione Basilicata è una regione strategica per la produzione italiana di petrolio, contribuisce per il 6% al fabbisogno nazionale, il 60% del territorio è interessato da attività di ricerca e di coltivazione degli idrocarburi.
Per tale motivo il territorio è diventato una ragnatela di oleodotti, il rischio di inquinamento delle acque e del suolo e i rischi per la salute della popolazione lucana sono elevati e stupisce il silenzio dei media nazionali. Zone di rilevante interesse ambientale come il parco nazionale dell’Appennino lucano, la Val d’Agri e Lagongerse sembrano groviere dal momento che sono particolarmente assediate da attività di perforazione.


Se dal lato ambientale ci sono rischi evidenti, altrettanto evidenti sono le opportunità per le compagnie petrolifere che intendessero puntare al territorio lucano: ci sono incentivi per le ricerche di prospezione e per la coltivazione dei cosiddetti giacimenti marginali e agevolazioni sul gasolio utilizzato nelle attività di ricerca e coltivazione degli idrocarburi. Importanti sono anche gli aiuti fiscali: le prime 20mila tonnellate di petrolio prodotte annualmente in terraferma e le prime 50mila prodotte in mare, come i primi 25 milioni di smc di gas in terra e i primi 80 milioni di smc in mare, sono esenti dal pagamento di aliquote allo Stato.

L’aliquota oscilla tra il 7% e il 4%, a seconda che si tratti di idrocarburi gassosi o liquidi in mare, mentre in terraferma si sale al 10% sia per i liquidi che per i gassosi, mentre la media delle aliquote applicate dagli altri Stati oscilla tra il 20% e l’80% del valore del prodotto estratto senza contare le concessioni di coltivazione che partono da valori molto bassi e poco in linea col mercato.
Questo schema di incentivi e agevolazioni fiscali pertanto attira i gruppi internazionali anche se a posteriori i risultati non sono poi cosi soddisfacenti per le compagnie. Il Paese sta regalando territorio alle trivelle di tutto il mondo senza ricevere l’adeguato corrispettivo economico e, come se non bastasse, i mari che ci circondano stanno diventando il crocevia del traffico internazionale del petrolio. Molte associazioni ambientaliste si stanno unendo per fare fronte comune e contrastare l’attività di ricerca di idrocarburi nei mari italiani che si dovrebbero concentrare nei prossimi anni nel bacino Adriatico e nel Canale di Sicilia con rilevanti impatti ambientali.
Infatti, è proprio nella fase di ispezione in mare che si addentrano molteplici rischi per l’ambiente, dal momento che, utilizzando la tecnica conosciuta come air-gun che prevede una violenta onda d’urto che si propaga nel fondale e successivamente viene riflessa per mostrare la presenza o meno di idrocarburi, che si mettono a rischio le specie marine.
Le attività di esplorazione si protraggono per decenni con conseguenze che si possono ben immaginare, viene da chiedersi se questa sia la politica energetica del Paese e perché non ci si facciano problemi ad elargire incentivi alle compagnie petrolifere ed invece si trovino continui problemi al sostentamento delle energie rinnovabili.
Di sicuro la Basilicata, terra di splendidi paesaggi, sperava di essere importante e riconosciuta per ben altre risorse!

Scritto da Santovito Luigi, esperto di credito al consumo

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