L' INUTILITA' DELLA PENA DI MORTE

L' INUTILITA' DELLA PENA DI MORTE

Torino, 6 giugno 2023. Di Chiara Zarcone, Giurista e cultore della materia Diritto Penale presso l'Università degli Studi di Torino.

Non passa giorno che gli accadimenti tragici ai quali purtroppo assistiamo, non portino i più a tirare in ballo l'annosa questione inerente la pena di morte.
Tanto più tragiche sono le vicende alle quali assistiamo quanto più si ritorna a parlare di pena di morte.
Leggendo alcuni commenti sul web in merito all'omicidio di Giulia Tramontano e dell'angelo che portava in grembo, non ho potuto non notare come fosse percentualmente molto alto il numero di chi la invocava  per il reo-confesso autore del brutale omicidio, dimenticando dunque le battaglie epocali che hanno portato all'abolizione della pena di morte.
Una pietra miliare della cultura giuridica italiana in tal senso è rappresentata da un celeberrimo scritto di Cesare Beccaria del 1766, "Dei delitti e delle pene", ove egli afferma "Se dimostrerò non essere la morte né utile né necessaria, avrò vinto la causa dell'umanità".
Beccaria, figlio di una società di stampo illuminista, conscio dell'idea che era tralatiziamente celata dietro la pena capitale, si schiera decisamente a favore di altre e diverse tipologie di pena, ritenute da lui ancor più efficaci della morte, affermando come "Non è il terribile ma passeggero spettacolo della morte di uno scellerato, ma il lungo e stentato esempio di un uomo privo di libertà, che, divenuta bestia di servigio, ricompensa colle sue fatiche quella società che ha offesa, che è il freno più forte contro i delitti".
Insomma: "la schiavitù perpetua" è preferibile non perché meno disumana, ma al contrario perché più "dolorosa" e "crudele" della morte (cfr Dei delitti e delle pene, ed. di Livorno del 1766, a cura di F.Venturi, Einaudi, Torino 1981 ivi, p.65).
Non si vuole analizzare l'evoluzione storica che ha portato all'abolizione della pena di morte in quasi tutti i paesi del mondo occidentale perché non sarebbe né utile né interessante per il lettore.
Si vuole invece intraprendere un cammino di modernità teso a rendere meno "leggero" e "facile" appellarsi alla pena di morte ogni qualvolta un fatto di cronaca scuote le coscienze comuni, perché lungi dallessere solo un residuo del passato, la pena di morte una pericolosa possibilità sempre aperta, una tentazione immanente nella nostra società che va dunque esorcizzata.
Parafrasando Bobbio nelle Età dei diritti, la persona, la vita di una persona, per la sua sacralità, deve resistere alla forza del diritto che si estrinsecasse nella pena di morte.
Il che può voler dire che nell’età dei diritti la pena di morte non ha cittadinanza, non può averla, non è istituto di diritto.
Nel nostro ordinamento le pene hanno funzioni specifiche. In via di estrema sintesi possiamo dire che vi è una funzione general-preventiva, o deterrente che ha lo scopo di dissuadere dal porre in essere comportamenti delittuosi in coloro che sono portati a delinquere, funzione special-preventiva o di emenda, quando la pena esplica un’efficace deterrente anche nei confronti del condannato al fine di evitare altri comportamenti in violazione della legge e ci sono effetti rieducativi che le modalità di esecuzione della pena dispiegano sull’individuo ad essa sottoposto; funzione afflittiva o retributiva che mira cioè a infliggere una sofferenza al reo, a mò di retribuzione per il male commesso.
Merita inoltre di essere menzionata, seppur non condivisa dall'autore di questo scritto, la teoria di Morselli il quale sostiene che la pena è in realtà una vendetta, una reazione naturale dell’uomo ad un torto, che ad un torto reagisce con un’azione uguale e contraria.
L’individuo per natura reagisce ai torti.
E il diritto è il prodotto di una società e non si può pensare che una società che altro non è se non una somma di individui, reagisca in modo diverso rispetto a come reagirebbe il singolo.
Lo Stato, però, non può porsi sullo stesso piano del singolo individuo.
L'individuo singolo agisce per rabbia, per passione, per interesse, per difesa.
Lo Stato deve rispondere meditatamente, riflessivamente, razionalmente. Anch'esso ha il dovere di difendersi.
Ma è troppo più forte del singolo individuo per aver bisogno di spegnerne la vita a propria difesa.
L’articolo 27 della nostra Carta Costituzionale cristallizza il principio secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Va da sè che una pena che consista nell'eliminazione fisica del condannato non possa attagliarsi a nessuno dei principi che sono alla base propria delle teorie sulla funzione delle pene stessa.
Non si vede come il massimo rispetto della dignità umana potrebbe corrispondere al minimo di solidarietà!
Sarebbe forse necessaria una riflessione più profonda, sarebbe necessario uno esercizio di umanità poiché riprendendo Beccaria, la pena più gravosa non è la privazione della vita (che in alcuni casi più rappresentare la liberazione della coscienza dal peso dal male commesso) ma la privazione della libertà.
Non è necessario che le pene siano crudeli per essere deterrenti.
Esufficiente la certezza della pena.
Non posso non concludere citando nuovamente Bobbio, esempi mirabili di dottrina contraria alla pena di morte che in occasione della conferenza di Amnesty International del 1981 concludeva il suo intervento affermando:
Crediamo fermamente che la scomparsa totale della pena di morte dal teatro della storia sia destinata a rappresentare un segno indiscutibile di progresso civile.
Espresse molto bene questo concetto John Stuart Mill: “L’intera storia del progresso umano è stata una serie di transizioni attraverso cui un costume o unistituzione dopo laltra sono passati dallessere presunti, necessari alle esigenze sociali, nel rango di ingiustizie universalmente condannate.
Sono convinto che questo sia il destino anche della pena di morte. Se mi chiedete quando si compirà questo destino vi rispondo che non lo so. So soltanto che il compimento di questo destino sarà un segno indiscutibile di progresso morale (Norberto Bobbio, Contro la pena di morte , Conferenza tenuta a Rimini il 3 aprile 1981 in occasione della VI assemblea nazionale di Amnesty International -Sezione Italiana-).