INVESTIMENTI: CONTA DAVVERO SE A VINCERE SARA' HARRIS O TRUMP?

INVESTIMENTI: CONTA  DAVVERO SE A  VINCERE  SARA'   HARRIS  O  TRUMP?

Milano, 28 ottobre 2024. A cura di Philipp Vorndran, partner presso Flossbach von Storch AG.

Sostieni il nostro diritto di scrivere la VERITA' ed il tuo diritto di leggere la VERITA'   https://www.paypal.com/pools/c/123746670753869528

Se qualcuno mi chiedesse qual è la domanda che ci viene posta più di frequente in questi giorni, la mia risposta sarebbe certamente legata alle imminenti elezioni presidenziali negli Stati Uniti.

Per ragioni assolutamente comprensibili, tutto il mondo si preoccupa per il loro esito.

Le prossime elezioni segneranno probabilmente uno dei momenti più importanti nella storia, a tratti turbolenta, degli Stati Uniti.

Come investitori siamo a volte combattuti.

Siamo consapevoli dell’enorme importanza (geopolitica) delle elezioni, specialmente per chi vive in Europa.

E proprio per questo motivo, dato che tutto sembra essere interconnesso, fra gli investitori sorge inevitabilmente la classica domanda su quali potrebbero essere le conseguenze dell’esito elettorale per i mercati finanziari.

Azioni tipicamente “democratiche”

Si parla, ad esempio, dei settori in cui si dovrebbe investire in caso di vittoria dei Repubblicani, o viceversa, dei Democratici.

Tipicamente si dice che i Repubblicani vanno a braccetto con il petrolio o gli armamenti, i Democratici più con il solare e la salute.

Un altro argomento estremamente popolare è l’analisi di chi – storicamente – è stato meglio per Wall Street: Democratici o Repubblicani? In poche parole, anche se la storia non si ripete mai, può sempre far rima.

Personalmente, mi sento di raccomandare agli investitori di non prestare troppa attenzione a tali congetture.

Specialmente se si vuole mantenere il proprio patrimonio nel lungo termine.

Mai basare la propria strategia d’investimento sulle previsioni o sui risultati elettorali.

Mai cercare ossessivamente i titoli che potrebbero beneficiare di uno o dell’altro esito delle votazioni, ma selezionare piuttosto le buone aziende, con modelli di business interessanti e probabilmente redditizi nel tempo, a prescindere a chi siederà alla Casa Bianca.

A lungo termine, questa non è solo la strategia più conveniente, ma anche quella migliore.

Il 2016 è stato un ottimo esempio di quanto possano essere fuorvianti le previsioni, anche se formulate correttamente.

Supponiamo di aver saputo allora, nella primavera del 2016, che Donald Trump avrebbe vinto a novembre contro Hillary Clinton, che era la chiara favorita.

Cosa avremmo fatto?

Sospetto che molti avrebbero drasticamente ridotto la loro esposizione azionaria.

Trump, confusionario e protagonista di un reality show, significava caos assicurato anche sui mercati dei capitali.

Oggi invece sappiamo che le cose sono andate diversamente.

Nei mesi successivi, le borse statunitensi si sono mosse vertiginosamente al rialzo.

È andata bene quindi a chi non ha fatto nulla, non ha cercato di essere più furbo del mercato e ha invece mantenuto i propri investimenti (come evidenziato dal grafico qui di seguito).

Secondo la mia esperienza, di una cosa possiamo essere certi: gli americani pensano in modo molto più imprenditoriale di noi, il che si riflette non da ultimo nella profonda penetrazione del mercato nazionale dei capitali e – rispetto a molti paesi europei – in una cultura azionaria molto radicata. 

Anche se le coordinate politiche dei due partiti differiscono talvolta in modo significativo – i Democratici, ad esempio, vogliono un “Big Government” e quindi tasse più alte, mentre i Repubblicani vorrebbero tenere “lo Stato” fuori dalla vita degli americani – la competitività dell’economia statunitense è sacra per entrambi.

"America First", sia politicamente che economicamente, non è quindi solo una dottrina di Trump, ma è stata applicata e si applica tuttora anche al mandato di Biden.

E sarà così anche nei prossimi anni.