Investimenti, c’è chi crede ancora nel sogno americano

Dall’inizio del 2011 si sono verificati diversi eventi critici: i conflitti in Medio Oriente, l’incidente al reattore nucleare di Fukushima, l’innalzamento del tetto del debito negli Stati Uniti, il declassamento del rating di credito del paese da parte di Standard & Poor’s e, infine, l’escalation della crisi del debito in Europa.

Eppure, dall’inizio del 2011 il mercato azionario americano ha prodotto un buon rendimento per gli investitori. Uno studio condotto dal team Capital Market Analysis di Allianz Global Investors analizza gli elementi strutturali alla base delle positive performance delle imprese statunitensi. Nel contesto internazionale di crisi tra gennaio 2011 e la fine di maggio 2012 le obbligazioni societarie negli Stati Uniti hanno guadagnato il 12%, gli utili aziendali sono saliti del 14% e il mercato azionario americano (S&P 500) ha guadagnato il 7%. Questi risultati sono spiegati da un insieme di elementi molto significativi che riguardano sia le caratteristiche delle imprese USA sia i fattori strutturali dell’economia americana, approfonditi nello studio “Stati Uniti: oltre l’orizzonte la vita continua” di Allianz Global Investors. Le imprese statunitensi (escluso il settore finanziario) hanno innanzitutto mantenuto il debito su livelli pressoché stabili negli ultimi 10 anni e sono persino riuscite a ridurlo dall’inizio della crisi finanziaria. Il debito delle imprese in rapporto al Pil (escluso il settore finanziario) resta pressoché invariato al 70% circa. Se esaminiamo la situazione patrimoniale delle imprese statunitensi notiamo inoltre che, nel complesso, dispongono di abbondante liquidità. Il processo di internazionalizzazione gioca inoltre un ruolo fondamentale. Le imprese statunitensi internazionali hanno beneficiato della recente timida ripresa nel paese, ma da tempo hanno smesso di fare affidamento solo sull’economia locale. Grazie a un tasso di esportazione del 40%, le società americane quotate nell`S&P500 negli ultimi anni hanno approfittato della ripresa dei paesi in crescita. Di conseguenza, e grazie ai tagli ai costi operati dopo la crisi finanziaria, gli utili delle imprese ponderati in base all’indice S&P 500 nel 2011 sono saliti a livelli record e secondo gli analisti quest’anno continueranno a salire. Nello stesso periodo, le valutazioni azionarie di alcune imprese sono ancora lontane dai livelli massimi.

Anche l’analisi dei fattori strutturali che contraddistinguono l’economia americana nel suo complesso conforta queste prospettive delle imprese statunitensi. Per esempio, gli Stati Uniti sono ancora una volta tra i primi cinque paesi nell’indice di competitività globale del Global Economic Forum. In particolare, per quanto riguarda l’efficienza del mercato del lavoro e dei beni, nonché il grado elevato di innovazione delle imprese, gli Stati Uniti rimangono estremamente competitivi. Ci sono poi dinamiche demografiche estremamente positive, come la costante crescita prospettica della popolazione e l’elevato tasso di natalità, che stimolano favorevolmente l’economia americana. Un fattore relativamente nuovo che dà un vantaggio competitivo agli Stati Uniti nel lungo termine, in particolare ai settori a uso intensivo dell’energia (aziende chimiche, aerospaziali, materiali di base e acciaio) è rappresentato dal costo del gas che è molto basso rispetto al resto del mondo. A fine marzo 2012 il gas misurato in BTU (unità termica britannica) costa solo 2,3 dollari per milioni di BTU negli Stati Uniti, mentre il prezzo è tra cinque e sette volte più alto in Europa (11,40 dollari), India (14,00 dollari) e Giappone (15,90 dollari). Dennis Nacken, Senior Capital Market Analyst di Allianz Global Investors e autore dello studio, osserva: “Gli Stati Uniti non sono soltanto la principale potenza economica globale ma anche il mercato finanziario più ampio e più liquido al mondo. Gli Stati Uniti rappresentano circa il 48% della capitalizzazione del mercato azionario globale. In altri termini, quasi un dollaro su due investito nei mercati azionari viene investito in azioni di imprese americane. Il dato in Europa è solo del 23% circa. Inoltre il mercato statunitense con una percentuale relativamente alta di settori difensivi (farmaceutico, energia, beni di consumo non ciclici) e una percentuale relativamente bassa di società finanziarie, in passato ha subito meno oscillazioni e quindi è considerato un mercato “difensivo”.

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