Investimenti bidone e senza via di uscita. Fondi a cedola: innovazione o ennesimo bidone?
Riportiamo la Investment Newsletter del 3 luglio 2013 a cura di Alfred Hoffmann sul tema: Investimenti bidone e senza via di uscita. Fondi a cedola: innovazione o ennesimo bidone?
I fondi a cedola sono l’ultima “luminosa” trovata del sistema finanziario italiano per spremere le tasche dei risparmiatori. Gli ultimi dati di raccolta resi disponibili da Assogestioni mostrano come tali strumenti “tirino”: ce ne sono ben quattro nella Top 10 di marzo in termini di raccolta.
Cosa sono quindi i fondi a cedola e come funzionano?
Sono fondi comuni o sicav, che raccolgono il denaro dei sottoscrittori in un periodo di poche settimane, detto “di sottoscrizione”. La somma viene quindi investita dalla casa prodotto o SGR principalmente in obbligazioni, generalmente per 3, 5 o 7 anni. Trascorso il tempo prestabilito i sottoscrittori possono ritirare il risultato dell’investimento (è possibile farlo anche prima, ma occorre pagare delle cospicue commissioni d’uscita, in pratica delle penali). Se al termine del periodo il risparmiatore non ritira il suo denaro, esso confluisce automaticamente in un altro fondo.
La caratteristica che distingue questi fondi è che nel corso della loro vita pagano “cedole” periodiche, ad esempio ogni semestre, spesso con un minimo garantito, diciamo per esempio il 4% annuo. Fin qui tutto bene. Che male c’è a raccogliere del denaro, comprare un po’ di obbligazioni e distribuire le cedole? La risposta, cioè l’inghippo, sta in questa frasetta in tono legale riportata nelle pieghe dei documenti informativi:
“La distribuzione delle cedole potrebbe essere superiore alla redditività del portafoglio, rappresentando quindi un rimborso parziale del valore delle quote.”
In pratica se i titoli acquistati dal gestore del fondo a cedola hanno una cedola media del 3% ma è stato promesso il 4%, la differenza 4% – 3% = 1% verrà presa dal vostro capitale, rosicchiandolo nel tempo. Capito? Bella forza, son capaci tutti di pagare cedole in questo modo.
Il problema
I fondi a cedola sono l’ultima “luminosa” trovata del sistema finanziario italiano per spremere le tasche dei risparmiatori. Gli ultimi dati di raccolta resi disponibili da Assogestioni mostrano come tali strumenti “tirino”: ce ne sono ben quattro nella Top 10 di marzo in termini di raccolta.
Cosa sono quindi i fondi a cedola e come funzionano?
Sono fondi comuni o sicav, che raccolgono il denaro dei sottoscrittori in un periodo di poche settimane, detto “di sottoscrizione”. La somma viene quindi investita dalla casa prodotto o SGR principalmente in obbligazioni, generalmente per 3, 5 o 7 anni. Trascorso il tempo prestabilito i sottoscrittori possono ritirare il risultato dell’investimento (è possibile farlo anche prima, ma occorre pagare delle cospicue commissioni d’uscita, in pratica delle penali). Se al termine del periodo il risparmiatore non ritira il suo denaro, esso confluisce automaticamente in un altro fondo.
La caratteristica che distingue questi fondi è che nel corso della loro vita pagano “cedole” periodiche, ad esempio ogni semestre, spesso con un minimo garantito, diciamo per esempio il 4% annuo. Fin qui tutto bene. Che male c’è a raccogliere del denaro, comprare un po’ di obbligazioni e distribuire le cedole? La risposta, cioè l’inghippo, sta in questa frasetta in tono legale riportata nelle pieghe dei documenti informativi:
“La distribuzione delle cedole potrebbe essere superiore alla redditività del portafoglio, rappresentando quindi un rimborso parziale del valore delle quote.”
In pratica se i titoli acquistati dal gestore del fondo a cedola hanno una cedola media del 3% ma è stato promesso il 4%, la differenza 4% – 3% = 1% verrà presa dal vostro capitale, rosicchiandolo nel tempo. Capito? Bella forza, son capaci tutti di pagare cedole in questo modo.
Il problema non sarebbe nemmeno tanto grave, se la cosa fosse detta chiaramente. Perché se una persona ha bisogno di integrare il proprio reddito, pensate per esempio a un pensionato, ed è disposto ad erodere un po’ il capitale (alla fine è per questo che si risparmia o si dovrebbe risparmiare, da giovani), questo meccanismo funziona e va bene. Ma, all’atto della vendita di un fondo comune questo DEVE essere dichiarato al risparmiatore in modo esplicito, senza lasciar spazio al dubbio. 2
Può capitare, invece, che questo particolare venga, se non omesso, ben mimetizzato nei documenti da fornire al risparmiatore. Facciamo degli esempi concreti.
Guardatevi questo opuscolo della Banca di Credito Cooperativo: il fondo a cedola in oggetto è uno di quelli presenti nella classifica Assogestioni che citavo prima (uno a caso, sono più o meno tutti uguali). Il sito della banca accoglie i clienti con l’amichevole slogan: “Coltiviamo i tuoi interessi”… Ma rimaniamo sull’opuscolo. Spulciatelo in lungo e in largo e provate a trovare la clausola che avverte il risparmiatore del fatto che le cedole possono derivare dall’erosione del capitale. Io non l’ho mica trovata. Vedo scritto “cedola periodica”, trovo “semplicità e chiarezza” leggo “costi competitivi”, trovo l’immancabile “periodo di offerta limitato” che aiuta a scatenare nel risparmiatore la libidine da rendimento.
Qualcuno dirà che l’opuscolo ha fini commerciali; forse saremo più fortunati con il documento “Informazioni chiave per gli Investitori”, il “Key Investor Information Document” (o “KIID”): un documento previsto dalle Autorità di vigilanza europee. Nel KIID, al fondo, proprio in un angolino, c’è un indizio:
“Per maggiori informazioni sulle spese, si invitano gli investitori a consultare la Parte I, Sezione c) del prospetto del Fondo, reperibile sul sito internet della SGR: www.bccrisparmioeprevidenza.it”
Se andiamo sul sito www.bccrisparmioeprevidenza.it. Qui trovo il regolamento e al punto 2.2 trovo la verità:
“La distribuzione potrebbe essere superiore al risultato medesimo, rappresentando in tal caso un rimborso parziale del valore delle quote”.
Tutto trasparente e chiarissimo come da programma, no?
Ma vogliamo parlare dei costi dei fondi a cedola?
Lo strumento portato nell’esempio ha spese correnti pari all’1,35% all’anno. Guardando in giro tra gli altri fondi a cedola ho trovato costi annui tra 1,0% e 1,5%. Giusto chiedersi, a fronte di tali commissioni, quanto lavoro comporta gestire un fondo così? In pratica si comprano delle obbligazioni, diversificando un po’, e le si tengono per tutto il periodo: ci si comporta da “cassettista”. Fine. Anche la parte amministrativa è quasi inesistente perché le uscite prima della scadenza del fondo sono penalizzate con commissioni d’uscita, tipicamente intorno al 3%: il risparmiatore che vuole disinvestire ci pensa dieci volte prima di uscire dal fondo.
E, sempre parlando di costi, in giro ci sono chicche come questo fondo a cedola dove si può leggere:
“La commissione di collocamento pari a 3,75% è imputata al Fondo e prelevata in un’unica soluzione al termine del Periodo di Offerta ed è ammortizzata linearmente entro i 5 anni successivi a tale data mediante addebito giornaliero sul valore complessivo netto del fondo.”
Ciò significa che un grasso 3,75% del vostro investimento viene prelevato subito in contanti (per dire, su € 10.000 investiti, se ne vanno via 375) anche se, contabilmente, il prelievo viene diluito nel tempo, un pezzettino al giorno. Vi domanderete: perché? Se contabilmente il prelievo avvenisse in un colpo solo la quota del fondo (il prezzo) si muoverebbe verso il basso bruscamente. Allora voi ve ne accorgereste, forse vi arrabbiereste e, chissà, forse non comprereste più questi bei fondi…
Se fate qualche ricerca sul web cercando con la parola chiave “fondi a cedola” troverete delle belle curiosità. La maggior parte dei fondi a cedola ha queste caratteristiche.
Personalmente sono tormentato da una domanda: i fondi comuni sono ottimi strumenti d’investimento, perché stravolgerli così? Perché allettare il risparmiatore con l’idea della cedola, contemporaneamente glissando sulla possibilità che il capitale possa essere intaccato? Perché caricare di costi elevati un prodotto finanziario che richiede poco lavoro di gestione? È questo il massimo della creatività dell’industria finanziaria in Italia? È così che si vuole salvare un settore che ha perso migliaia di posti di lavoro?
Pericolo degli investimenti senza via d’uscita
Il caso dell’obbligazione Veneto Banca
Vogliamo esporre il caso dell’’obbligazione convertibile Veneto Banca, ISIN: IT0004874365, con scadenza dicembre 2017, cedola 5%, rimborsabile in azioni a discrezione della banca emittente.
Si tratta di un’obbligazione convertibile: Veneto Banca si finanzia con i soldi dagli obbligazionisti, i quali possono anche scegliere di convertire le obbligazioni in azioni.
La banca, però, si riserva il diritto di decidere se rimborsare gli obbligazionisti in denaro o con le sue azioni, anche in anticipo, in occasione dell’assemblea annuale degli azionisti. In pratica, l’obbligazionista può subire la conversione, secondo l’arbitrio della banca.
Le obbligazioni sono dichiaratamente illiquide, visto ciò che scrive Veneto Banca (sull’agevole prospetto informativo di 311 pagine):“Le Obbligazioni Convertibili oggetto del Prospetto Informativo non sono né saranno quotate in alcun mercato regolamentato, né in sistemi multilaterali di negoziazione, né tramite internalizzatori sistematici né l’Emittente svolgerà alcuna attività volta ad accentrare , gestire, realizzare o agevolare gli scambi delle Obbligazioni Convertibili”.
“L’Offerta di Obbligazioni Convertibili descritta nel presente Prospetto Informativo presenta gli elementi di rischio tipici di un investimento in strumenti finanziari non quotati in un mercato regolamentato, per i quali potrebbero insorgere difficoltà di disinvestimento. Per i sottoscrittori di tali Obbligazioni, infatti, potrebbe essere impossibile o difficile poter liquidare il proprio investimento prima della sua scadenza naturale“.
Non solo le obbligazioni… nemmeno le azioni dell’emittente Veneto Banca sono quotate in Borsa. Quindi anche per le azioni che il risparmiatore può ricevere c’è lo stesso problema di illiquidità (che la banca sintetizza nel prospetto con l’eufemistica formula “…potrebbero insorgere difficoltà di disinvestimento”).
Le azioni, con le quali gli acquirenti di questa preziosa obbligazione potrebbero essere rimborsati, non hanno un valore stabilito dal mercato ma dalla banca stessa.
Questo è un punto che vale davvero la pena di approfondire, soprattutto per il risparmiatore consapevole.
Le auto-valutazioni di Veneto Banca (pubblicate sul sito Veneto Banca) mostrano un robusto e costante trend di crescita, mai intaccato in 15 anni di mercati finanziari burrascosi. Il valore del titolo era l’equivalente di 14,04 € nel 1997 e nel 2012 era diventato 40,25 €. Insomma, il valore della banca è passato del tutto indenne attraverso la crisi della Russia e il default dell’hedge fund Long Term Capital Management, schivando il successivo scoppio della bolla internet, scansando il crollo delle Torri gemelle dell’11 settembre 2001, dribblando infine il fallimento di Lehman Brothers e la crisi del debito sovrano in Europa. Così, dalla crisi Lehman a oggi, mentre l’indice azionario della banche italiane (ticker Bloomberg IICGBANK Index) ha perso quasi il 75%, la brillante Veneto Banca ha guadagnato oltre il 13%!
A conferma dell’elevato valore delle azioni Veneto Banca, il rapporto prezzo/utili dell’istituto (o “Price/Earning”), secondo le auto-valutazioni riportate nel prospetto informativo, è un sonante 28, mentre quello della media delle banche è 12,4: meno della metà. Questo valore persiste anche con un 2012 dal bilancio in rosso e senza pagamento di dividendi. Sulle elevate valutazioni il prospetto informativo recita testualmente:
“…si segnala che i multipli Price/Earning, Price/Book Value impliciti nel corrente valore delle azioni Veneto Banca e nel Prezzo di Offerta, ancorché sostanzialmente comparabili con i peers non quotati, risultano disallineati rispetto alla media delle banche quotate, in ragione del fatto che il prezzo delle azioni di Veneto Banca viene determinato dall’assemblea dei soci annualmente e non in un mercato di titoli quotati.”
Insomma si tratta di un’obbligazione convertibile illiquida il cui acquirente può vedersi rimborsare in una data non precisata da qui al 2017 con azioni non quotate in Borsa, almeno altrettanto illiquide, di cui Veneto Banca arbitrariamente decide valore e concambio con l’obbligazione.
Possiamo così riassumere le conclusioni:
1) I prospetti informativi e gli altri documenti d’emissione sono di lunghezza infernale e noia mortale, ma dicono la verità e a volte riescono pure ad essere divertenti nella loro sfacciataggine.
2) Se sei un risparmiatore consapevole, è meglio se leggi la documentazione.
3) Se sei una banca non quotata con clienti che non leggono i prospetti, puoi finanziarti a condizioni veramente vantaggiose e il tuo valore può essere frutto di onirici esercizi d’autodeterminazione.
Sii prudente. Dubita
Che dire delle due nuove obbligazioni Mediobanca ancorate agli indici: secondo noi è meglio non osare …
Se aprite un qualsiasi giornale o sito finanziario e siete interessati a cosa offre il mercato obbligazionario avrete probabilmente notato gli ultimi 2 bond emessi da Mediobanca con scadenza 2021 dall’accattivante slogan “SII PRUDENTE. OSA. Investi in Mediobanca Sintesi” che sono stati quotati sul Mot e vengono pubblicizzati sul mercato dei risparmiatori (quella in euro ha Isin IT0004924004 e quella in dollari Isin IT0004924046) .
La promessa offerta ai risparmiatori è allettante se non siete del mestiere: l’istituto di Via Filodrammatici offre per il primo anno cedole semestrali pari al 5% annuo lordo (pari al 4% netto) nel caso della emissione in Euro e 6% annuo lordo (pari al 4,80% netto) per quella in Dollari. A partire dal secondo anno la cedola semestrale riconosciuta , sale rispettivamente al 6% annuo lordo (pari al 4,80% netto) per i titoli in Euro ed al 6,50% lordo (pari al 5.20%) per quelli in Dollari, ma è subordinata ad una condizione essenziale: l`indice azionario Eurostoxx50 o S&P500 deve superare il valore iniziale, in caso contrario non verrà pagata alcuna cedola.
Il messaggio (ma forse siamo noi che lo leggiamo così) che arriva al pubblico è che puoi guadagnare fino al 2021 cedole anche del 6-6,5% potendo osare in modo prudente grazie a questa obbligazione ibrida agganciata all’andamento del mercato azionario europeo o americano. Nell`immagine pubblicitaria un pedone diventa un Re.
Ma che probabilità ci sono di ottenere un rendimento del 6-6,5% all’anno dopo la cedola iniziale che è l’unica certezza da qui a fine 2021? E il prezzo di collocamento vicino a 100 è il prezzo giusto?
Non possiamo sapere quello che accadrà all’indice Eurostoxx50 o S&P500 da qui al 2021 ma se fosse obbligatorio indicare nel prospetto informativo un po’ di scenari probabilistici per capire appunto che probabilità c’è in effetti per un risparmiatore di incassare un 6-6,5% lordo, male non sarebbe. Ma nei prospetti pubblicati da Mediobanca per la Consob o resi disponibili sul sito di Borsa Italiana non ne vediamo traccia.
Invece in Italia “Repubblica fondata sul lavoro e dove il risparmio è tutelato in tutte le sue forme” questo dato non è stato ritenuto dai nostri legislatori e regolatori importante renderlo obbligatorio (per quanto va detto che molti risparmiatori nemmeno l’avrebbero letto come insegnano diversi casi come quello del BPM convertendo).
E secondo i nostri calcoli suffragati da altri esperti che abbiamo contattato per discutere di questa doppia emissione il prezzo `giusto` di questa obbligazione collocata intorno a 100 (e che vale dopo poco più di una settimana già circa 98) dovrebbe essere più correttamente almeno intorno ai 90. Ora sia chiaro che non è solo Mediobanca a emettere titoli obbligazionari con così tanto `grasso che cola`. E` di fatto quasi la norma nel collocamento delle banche quando propongono la propria mercanzia e soprattutto quando si tratta di titoli strutturati dove sono più ampi i margini di guadagno. Saremmo forse noi idealisti ma ci piacerebbe che fosse più chiaro qual è per ciascuna obbligazione (e non solo per quelle di Mediobanca naturalmente) nella prima pagina del prospetto con carattere grafico adeguato saperne di più sul prezzo `vero` dell`obbligazione, quali sono gli scenari probabilistici che indicano che questo titolo possa rendere più di un titolo a tasso fisso emesso dalla stessa società o di un Btp a pari scadenza e poi naturalmente ciascuno è libero di fare quello che vuole.