Le risposte a queste domande non sono tutte positive. L’esito della crisi debitoria nell’Eurozona è tuttora molto incerto.
Negli Stati Uniti, il miglioramento della performance economica è stato circoscritto, limitato cioè solo ad alcuni settori. E anche se questi progressi dovrebbero in parte continuare, è probabile che l’economia in generale vada incontro ad un rallentamento nel 2012 causato da molti dei problemi che l’hanno penalizzata nel 2011. Infine, per quanto riguarda la Cina, la sua economia è tuttora eccessivamente dipendente dalla domanda estera e pertanto molto vulnerabile all`aggravarsi della crisi in Europa.
Quindi, anche se l’adozione di misure per l’incentivazione fiscale e monetaria del mercato interno sembra ormai quasi certa nel 2012, il tasso di crescita complessivo della Cina dovrebbe essere inferiore a quello registrato nel 2010 o all`inizio del 2011.
LA CRISI DEL DEBITO NELL’EUROZONA
La crisi del debito sovrano nell`Eurozona ha tenuto banco sui mercati per ben diciotto mesi. La situazione si è decisamente aggravata a partire dal mese di marzo 2011, quando è apparso evidente il fallimento del primo piano di salvataggio della Grecia (varato nel maggio 2010). Da quel momento si sono susseguiti vari incontri fra i leader dell’Eurozona, culminati nella dichiarazione rilasciata a chiusura del quinto summit dedicato alla crisi il 9 dicembre scorso e con la quale i capi di governo si sono impegnati a rafforzare l`UEM (Unione Economica e Monetaria) in due modi.
Innanzitutto, i leader europei hanno pattuito di introdurre una disciplina fiscale più severa rispetto al passato nei propri paesi.
In particolare, hanno concordato di approvare modifiche costituzionali che vincolino il deficit di bilancio strutturale ad un
tetto massimo dello 0,5% del PIL, invece del 3% previsto attualmente per il deficit generale nel Patto di stabilità, ormai
considerato inefficace. Questo nuovo piano di consolidamento fiscale, il cosiddetto “Fiscal Compact”, dovrebbe essere attuato secondo tempistiche stabilite per ogni Stato membro su proposta della Commissione Europea, rafforzato da un grado maggiore di automatismo rispetto al passato e sottoposto alla vigilanza della Corte di Giustizia europea.
In secondo luogo, i leader hanno approvato il rafforzamento degli “strumenti di stabilizzazione”, vale a dire i fondi di salvataggio.
Questa decisione si traduce nel potenziamento del fondo di stabilità finanziaria (FESF) che avverrà “in tempi rapidi”, come è stato detto; inoltre, l’attivazione del fondo di salvataggio permanente, battezzato Meccanismo europeo di stabilità (MES), viene anticipata al mese di luglio 2012, ma la capacità di finanziamento congiunta dei due istituti sarà limitata a EUR 500 miliardi. Infine, gli Stati membri dovranno mettere a disposizione dell’FMI un importo pari a EUR 200 miliardi da utilizzare per prestiti bilaterali.
Per quanto le intenzioni siano lodevoli, è tuttavia probabile che i mercati finanziari richiederanno l’applicazione di misure ben più tangibili e con tempistiche più strette. Il problema è che queste iniziative possono contribuire ad evitare la prossima crisi, ma non sono in grado di risolvere quella che si è già determinata. Ad esempio, nonostante la stretta creditizia che investe il sistema bancario, né la BCE né altri organismi hanno promesso iniezioni di liquidità immediate in qualsiasi forma. Anche se le iniziative più recenti della BCE sul fronte della liquidità (riduzione dei coefficienti di riserva obbligatoria, erogazione di rifinanziamenti per tre anni ed estensione delle garanzie idonee) miglioreranno
la situazione e dovrebbero favorire la stabilità del credito bancario nel 2012 e nel 2013, non è affatto chiaro se queste
misure si dimostreranno sufficienti. Banche ed emittenti sovrani nell’Area Euro sono stretti in un rapporto reciprocamente distruttivo: se gli Stati falliscono le banche potrebbero subire corse agli sportelli, veder aumentare i costi di finanziamento ed esigere iniezioni di capitale. Ma, d`altra parte, se i mercati privati rifiutano di ricapitalizzare le banche in difficoltà, restano solo gli Stati che però non hanno capacità di raccolta di capitali. Eppure, come ha dichiarato l`Autorità bancaria europea il 7 dicembre, gli istituti dell’Area Euro hanno disperatamente bisogno di nuovi
capitali per EUR 115 miliardi.
Nel piano europeo non si riscontra una visione complessiva né chiarezza in merito alla destinazione finale e non vi è traccia di un percorso prestabilito per raggiungerla. Il pacchetto proposto contiene di fatto un unico strumento: maggiore austerità. Le misure di stimolo alla crescita si fanno notare solo per la loro assenza. Infine, non è stato fatto il minimo tentativo di risolvere il problema di fondo, vale a dire la perdita di competitività degli Stati europei meridionali, che risulta evidente dagli squilibri dei conti con l’estero: surplus al nord e deficit al sud. I partecipanti al summit hanno adottato la posizione essenzialmente tedesca secondo cui la crisi attuale deve essere risolta con uno sforzo
interno ai paesi debitori (leggasi: anni di deflazione) invece di consentire uno squilibrio dei conti generale che richiederebbe sacrifici anche da parte dei creditori .
Persino se prese alla lettera, le proposte del summit mancano di credibilità sui mercati. Per quanto riguarda la disciplina fiscale, il precedente Patto di stabilità è stato continuamente disatteso, in primis da Germania e Francia nel 2003-04 quando entrambi i paesi hanno rifiutato di pagare le multe incorse. È quasi certo che stavolta verranno trovati degli escamotage per sforare rispetto al limite dello 0,5% sul deficit di bilancio strutturale ed evitare le sanzioni teoricamente automatiche. In definitiva, questa forma di unione fiscale si dimostrerà troppo debole.
Per quanto riguarda gli strumenti di stabilizzazione, invece di porre un massimale complessivo di EUR 500 miliardi per i fondi di salvataggio, i leader europei avrebbero dovuto sfoderare armi molto più potenti e usarle subito. Oltretutto, esiste già un fronte di opposizione (ad esempio, Giappone, Stati Uniti e Cina) all’idea di continuare a utilizzare i fondi dell’FMI per salvare le ricche economie europee. Come ha fatto notare il Cancelliere britannico George Osborne, le proposte uscite dal summit rappresentano condizioni necessarie ma non sufficienti per risolvere la crisi.
Sfortunatamente, i leader dell’Eurozona continuano ad affrontare i problemi più gravi facendo sempre troppo poco e
troppo tardi.
Tutto questo significa che la crisi del debito nell`Eurozona proseguirà anche nel 2012 e oltre, esacerbata dall`aggravarsi della recessione nei paesi meridionali dell`unione fortemente indebitati. Sui mercati finanziari, però, aumentano l`incertezza e la volatilità. Tra le valute principali, l’euro sta cominciando a perdere il suo appeal e probabilmente arretrerà ancora nei confronti del dollaro USA, dello yen e della sterlina. I tassi di riferimento delle banche centrali nei paesi sviluppati resteranno su livelli estremamente bassi per un lungo periodo, quindi l`attenzione dovrebbe concentrarsi tuttora sugli asset di qualità che generano rendimenti sicuri e sostenibili, come le obbligazioni corporate e high yield nel settore del reddito fisso, le azioni “assimilabili alle obbligazioni”, cioè titoli con dividendi protetti da una crescita costante degli utili e dotati di solide coperture contro scenari economici di debolezza, o i fondi immobiliari che
possono offrire flussi stabili e sostenuti di ricavi da locazione. Le materie prime, infine, si mostreranno sensibili ai rallentamenti in Europa e in Asia.