Inflazione USA: timori infondati?
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Milano, 18 febbraio 2025. A cura di Clément Inbona, Fund Manager di La Financière de l’Échiquier.
Mercoledì 12 febbraio i mercati hanno risentito dell’aumento dello 0,5% dell'indice dei prezzi al consumo statunitense “CPI“ di gennaio non solo perché il dato è molto al di sopra della media delle stime del consenso degli economisti, attestata allo 0,3%, ma anche perché supera le aspettative più alte.
Con un aumento dei prezzi a gennaio del 3,0% su base annua, in costante crescita da settembre, la speranza di riportare il genio dell'inflazione all’interno della lampada sembra allontanarsi di nuovo.
Dobbiamo preoccuparci di una seconda ondata di inflazione alla stregua di quanto successe alla fine degli anni '70?
Non è detto.
Gennaio, infatti, è per tradizione il mese in cui gli economisti si sbagliano più di frequente per due motivi principali: in primo luogo perché i dati di gennaio sono inquinati da una revisione delle ponderazioni del paniere di riferimento dei consumi, e in secondo perché il Bureau of Labor Statistics corregge gli effetti stagionali in base all'anno precedente, rendendo l'esercizio particolarmente difficile all'inizio dell'anno.
Gennaio è quindi stato sistematicamente, dal 2022, il mese in cui il consenso ha sottostimato maggiormente l'aumento dei prezzi.
Per quanto riguarda poi l'indice dei prezzi alla produzione, i dati sono ancora più chiari.
In 10 anni, l'aspettativa a gennaio è stata sottostimata 9 volte!
L’effetto “primo mese dell'anno” è quindi a priori transitorio.
Eppure, la pubblicazione di questo dato ha comportato in pochi istanti un rialzo repentino del decennale americano - di più 14 punti base - e un calo dell'1% delle azioni dell'S&P 500.
I mercati però hanno ritrovato velocemente la lucidità visto che il giorno successivo tutte queste tendenze si sono invertite mentre il dato sull'aumento dei prezzi alla produzione era dello stesso tipo di quello dei prezzi al consumo: in rialzo e al di sopra delle stime. Sorprendente a prima vista ancorché logico se si approfondisce l'analisi.
Così come quelli al consumo, i prezzi alla produzione hanno subito lo stesso effetto di inquinamento stagionale.
Una parte inoltre delle componenti rientra nel calcolo dell'inflazione PCE, la bussola della Fed, la cui pubblicazione avviene però più avanti nel mese.
E proprio queste componenti sono più basse del previsto, lasciando presagire un dato PCE ragionevole.
Infine, questo scenario generale sui prezzi è in linea con la posizione della banca centrale americana.
I mercati finanziari sono tradizionalmente in affanno quando temono che la Fed sia “behind the curve”, cioè in ritardo rispetto a un ciclo di contrazione o, al contrario, di allentamento.
Ma questo rischio non sembra incombere per ora, Jerome Powell ha un approccio prudente e fermamente indipendente di fronte all'ingerenza politica della nuova amministrazione Trump.
Quando la Fed è in vantaggio, i mercati vanno avanti.