In Finanza non c’è trasparenza. La finanza è, strutturalmente, opaca

Ho ringraziato, in cuor mio, il nuovo amico Mario Sanna (giornalista di Rainews) per aver stimolato una mia nuova riflessione sul tema della trasparenza in finanza.

In Finanza non c’è trasparenza. La finanza è, strutturalmente, opaca

Mi aveva detto, l’8 marzo al telefono, “parliamo di trasparenza e finanza…”

Bel tema! Avevo pensato e, appena possibile, gli dirò quanto segue sperando che, grazie a lui, Rainews ci dia voce per il bene del ns Paese, secondo me.

Caro Mario, la trasparenza è una “condizione”; una condizione strutturale. Così come è legata ad una condizione strutturale la trasparenza del nostro mare di Sardegna.

La trasparenza, perché sia, non può essere una pretesa espressa o un’aspettativa dichiarata ex post – deve essere condizione ex-ante.

Perché sia trasparenza è indispensabile una condizione di strutturale coerenza con i canoni vigenti di moralità, di eticità, di approvazione e accettazione sociale.

Spigolando su Wikipedia, si può ricostruire, con semplicità, il concetto di trasparenza nel senso metaforico che gli si attribuisce nel mentre si cerca di introdurlo anche negli ambienti della finanza.

1.    Trasparenza è una estensione metaforica del significato della parola `trasparente` (`poter vedere attraverso le cose`) applicato nel settore delle attività di natura sociale e pubblica: esso implica apertura, comunicazione e responsabilità.
2.    La comunicazione (dal latino cum = con, e munire = legare, costruire e dal latino communico = mettere in comune, far partecipe) nella sua prima definizione è l`insieme dei fenomeni che comportano il trasferimento di informazioni
3.    La responsabilità può essere definita come la `possibilità di prevedere le conseguenze del proprio comportamento e correggere lo stesso sulla base di tale previsione`.
4.    Il comportamento è il modo di agire e reagire di un oggetto o un organismo messo in relazione con altri oggetti, organismi, o semplicemente con l`ambiente, che è l`esternazione di un atteggiamento, il quale si basa su una idea o una convinzione.

Tornando a Mario e nell’ordine, in finanza, la comunicazione, nel senso del “far partecipe” è scarsissima. Apparentemente, l’informazione è copiosa; i prospetti informativi possono contare, addirittura, 150 pagine e, pertanto, qualcuno può  affermare  ed applaudire il comportamento dell’industria finanziaria in quanto si spende, generosamente, per informare l’investitore.  Ma, in realtà, l’investitore si sente, non partecipato  ma schiacciato dalla valanga di pagine dei prospetti informativi.  Infatti, di solito, non li legge e se si avventura nella lettura, arriva stremato all’ennesima pagina con poche idee ed abbastanza confuse. Questo non lo so solo io, ovviamente. E, lo sa benissimo l’industria finanziaria.

La responsabilità, intesa nel senso più nobile, ovvero della previsione del  primato dell’interesse generale sull’interesse particolare, semplicemente, non c’è. Mentre, si esprime, in comportamenti diversi e contrari alla nobiltà.

Per esempio, negli ultimi 3 anni, la finanza italiana ha collocato proprie obbligazioni, in pieno conflitto di interessi, fino a coprire il 58% del volume dei prodotti non-equity collocati presso gli investitori retail. Questo atteggiamento non-è-responsabile. E’, tecnicamente, scorretto. Forse che le obbligazioni bancarie italiane rappresentano il 58% dell’offerta mondiale di prodotti non-equity? Il loro peso effettivo sarà pari ad uno zero-virgola..infinitamente lontano dal 58.  Si è creata una fortissima concentrazione di rischio che conferma, con nuova arroganza e spregiudicatezza, l’opposizione frontale dell’interesse dei banchieri italiani contro l’interesse degli italiani.

I banchieri italiani, per contro, per se stessi, si muovono correttamente. Lo attesta anche un documento recente (dicembre 2011) e presente negli archivi della Banca D’Italia NUOVE DISPOSIZIONI DI VIGILANZA PRUDENZIALE PER LE BANCHE, al TITOLO V (altre disposizioni) – Capitolo 1 (CONCENTRAZIONE DEI RISCHI). Alla premessa leggiamo, ben raccontata, della “disciplina ..diretta a limitare i rischi di instabilità derivanti dall’inadempimento di un cliente singolo o di un gruppo di clienti connessi verso cui una banca è esposta in misura rilevante rispetto al patrimonio di vigilanza`. L’attenzione è rivolta al “rischio idiosincratico” che lo stesso testo spiega molto bene: “il rischio idiosincratico si distingue dal rischio settoriale e geografico. Quest’ultimo rappresenta il rischio derivante dall’esposizione nei confronti di soggetti appartenenti allo stesso settore economico ovvero localizzati nella medesima area geografica.” Così alta è la percezione di gravità del rischio che si aggiunge: “tale tipologia di rischio fa parte di quelle da prendere in considerazione nell’ambito del processo di valutazione aziendale dell’adeguatezza patrimoniale.”

Peccato che lo stesso criterio di valutazione “dell’adeguatezza” non sia stato applicato per la tutela degli interessi degli investitori retail così caricati di “rischi idiosincratici”.

Il comportamento degli operatori finanziari,  inteso quale  modo di agire e reagire in relazione con l`ambiente, è l`esternazione di un atteggiamento, che  si basa su una idea o una convinzione che non possiamo condividere. Pochi giorni fa, su questo quotidiano dei CFI, l’amico Massimo Scolari aveva pubblicato una sua riflessione relativa all’articolo del 25 febbraio (a firma D’Ecclesia-Patroni Griffi) che pure aveva posto al centro dell’attenzione il tema della trasparenza e della protezione degli investitori. Come sempre, ho letto il pensiero di Massimo con grande interesse e ne ho condiviso molti aspetti. Inutile ripetere, anche in questo caso, che Assofinance afferma l’utilità degli scenari  probabilistici; per ovvie ragioni di ruolo, ero rimasta molto colpita dall’osservazione che Scolari aveva rivolto al servizio di consulenza offerto dalle banche su “ben 640 mld di euro” commentando che “se si ha a cuore l’interesse e la protezione degli investitori, tale risultato sia da giudicare in modo estremamente positivo…” Questa chiosa mi aveva messo in crisi! Come? La consulenza offerta dalle banche agli investitori è sufficiente per la tutela dei loro interessi? E’ stato superato lo storico conflitto di interessi e non me ne sono accorta? Se questo è, che senso abbiamo noi che ci fondiamo sul requisito di indipendenza come sangue delle nostre vene? Perché abbiamo rinunciato alle nostre brillanti carriere e ricchi redditi nell’industria finanziaria  se dall’interno potevamo ergerci a paladini indisturbati del pubblico interesse finanziario? La preoccupazione si è estesa allo stesso Scolari in quanto membro di vertice di ASCOSIM che rappresenta le SIM DI CONSULENZA. Che senso fabbricare tutte queste nuove SIM? Che senso sopportare tutti quei nuovi costi? Come competere a parità di risultati e disparità di mezzi? Superata la fase di destabilizzazione professionale ed esistenziale, ho riletto Scolari e mi sono concentrata sul numero: 640 miliardi! I numeri hanno un fascino straordinario. Quel grande numero era lì, avvolto in sé stesso, misterioso dato aggregato di cosa? Mi sono ripresa e mi sono chiesta: le banche-consulenti, dove hanno indirizzato le scelte dei clienti sottoposti alla “valutazione di adeguatezza”???? Ho scoperto che, anche in questo caso, forse era meglio quando era peggio ovvero senza consulenza e senza adeguatezza, in banca. C’è una meravigliosa tabella ASSORETI che, al settembre 2012, informa su Patrimonio in prodotti finanziari e servizi di investimento emessi dal proprio gruppo e da terzi in milioni di euro. Grande Marco Tofanelli e spero che continui quest’indispensabile attività di rendicontazione “trasparente”.

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Le percentuali, raccontano da sole, la desolante e scontata  inutilità della consulenza offerta in conflitto di interessi.

Riavvolgendo il filo, questa finanza,  per la sua stessa sopravvivenza ha bisogno di opacità.

Questa finanza vive in una condizione di non-trasparenza.

Se l’agire quotidiano della finanza, dai minimi ai massimi livelli delle sue gerarchie, fosse esposto in vetrina come una sorta di reality show, sarebbe soggetto a frequenti ed aspre censure sociali.

Si fa un gran parlare, negli ambienti finanziari, di trasparenza. Ma, se ne parla al solo scopo di assumersi  la leadership intellettuale sul tema. Per sottrarla. Un abilissimo esercizio di marketing, un belletto spesso su rughe profonde.

L’Occidente, l’Europa, l’Italia hanno bisogno di una nuova finanza.

Scritto da Giannina Puddu, presidente Assofinance

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