Il tempo dell`attesa

Ieri la Federal Reserve ha lasciato i tassi di interesse fermi a un minimo storico tra lo zero e lo 0,25% e ha mantenuto il proprio piano di acquisto titoli immutato a 85 miliardi di dollari al mese.

Il tempo dell`attesa

La banca centrale Usa non ha dato alcun indizio esplicito su un eventuale ridimensionamento degli stimoli monetari, prospettiva che ha tenuto i mercati in forte tensione nelle scorse settimane . L`economia Usa appare `in moderata espansione` e `le condizioni del mercato del lavoro hanno mostrato ulteriori segni di miglioramento negli ultimi mesi, sebbene la disoccupazione resti elevata`.

Ciò detto vogliamo comunque proporvi una interessante riflessione di un paio di giorni fa sulle dinamiche implicite o meno della politica monetaria internazionale. Buona lettura

La Fed dirà ai mercati cosa intende fare, per il prossimo futuro, degli acquisti di Treasury e obbligazioni ipotecarie, che acquista per l’importo mensile di 85 miliardi di dollari, nell’ambito dell’operazione nota come QE3.

Nelle ultime settimane i mercati, dopo aver letto e sentito dalle voci di Ben Bernanke e degli altri governatori che tale passo di acquisti potrebbe rallentare sino a cessare, sono divenuti molto nervosi. A poco sono servite le rassicurazioni successive di Bernanke (e non solo) sul passo degli acquisti condizionato ai dati economici, in modo da trasmettere la necessaria gradualità. I mercati erano pesantemente posizionati a caccia di rendimenti, ed il risveglio è stato brusco, con onde sismiche trasmesse a tutto il pianeta, Eurozona inclusa (ed il padreterno sa se ce ne fosse bisogno), e colpendo molto duramente i paesi emergenti. Ma questo non è l’unico conto in sospeso.

In Eurozona ci sono oggi due grandi aree di incertezza. Una è data dal percorso, lungo ed accidentato, verso l’unione bancaria o qualcosa che le somigli. Dal Consiglio europeo del 28 e 29 giugno dello scorso anno era emersa l’esigenza di recidere il pericolosissimo legame banco-sovrano nel debito, mettendo in campo l’ESM per ricapitalizzare direttamente le banche. Poi l’idea è stata diluita, e non poco. Intanto, vale pro futuro e non per il passato, il che ci può anche stare. Poi, dopo il caso-Cipro, si è deciso che in caso di dissesto bancario prima devono pagare azionisti, investitori e risparmiatori non protetti da assicurazione sui depositi (che però resta nazionale, quindi una pura finzione in caso di dissesto sistemico). Anche questo a grandi linee ci può stare, a nostro giudizio, a parte la dimensione nazionale dell’assicurazione sui depositi.

Ora, in attesa dell’Eurogruppo di giovedì, esiste una bozza di documento che specifica ulteriormente le modalità di ricapitalizzazione diretta delle banche in dissesto ma salvabili. Questa bozza prevede che ogni paese che richieda assistenza per salvare una propria banca (o più di una, in caso di crisi sistemica), debba mettere anche dei fondi di salvataggio, cioè usare debito pubblico. In dettaglio, per le banche in dissesto che avranno un core tier 1 di azioni ordinarie inferiore al minimo legale del 4,5 per cento, lo stato sovrano dovrà mettere soldi fino al raggiungimento di tale soglia. In caso di salvataggio con minimo legale già esistente, lo stato dovrà mettere un contributo di capitale tra il 10 ed il 20 per cento “del contributo pubblico totale”, cioè della somma dei fondi erogati da ESM e stato sovrano. In caso quest’ultimo abbia problemi di reperibilità dei fondi, potranno essere valutate deroghe. In sintesi, il legame banco-sovrano si attenua ma non scompare. La strada continua.

Altra area di incertezza è il prossimo (si parla di settembre) giudizio della corte costituzionale tedesca sulle OMT, le Outright Monetary Transaction, create da Mario Draghi la scorsa estate e mai entrate in azione, pur avendo contribuito ad abbattere i rendimenti di mercato sulla periferia europea, con ampio beneficio per Italia e Spagna, a conferma della credibilità della “minaccia” di Draghi. Anche in questo caso, come per il precedente della ricapitalizzazione “diretta” delle banche, siamo di fronte ad un “ripensamento”, o meglio a condizioni di ridimensionamento, effettivo o potenziale, degli intenti iniziali. Ma se nel caso del salvataggio delle banche i termini della questione stanno venendo precisati in modi che non rappresentano (ancora) una minaccia per l’equilibrio finanziario dell’Eurozona, dal “verdetto” della corte costituzionale tedesca potrebbe emergere una decisiva menomazione alla credibilità della Bce, e per noi italiani potrebbero essere guai seri.

Certo, è ancora presto per dirlo: la corte di Karlsruhe potrebbe archiviare il tutto, oppure potrebbe rimettere il caso alla Corte di Giustizia europea oppure legare le mani al governo tedesco (e a Draghi), chiedendo un nuovo trattato. Ma quello che conta, alla fine, è quello che potrebbe accadere attendendo il verdetto. Se è vero che del funzionamento delle OMT non si sa praticamente nulla, visto che esiste solo una bozza di linee d’azione, è altresì vero che la Bce stessa nelle audizioni di Karlsruhe ha assunto una posizione difensiva: per bocca di Joerg Asmussen, il tedesco membro del governing council dell’Eurotower, Draghi infatti ha mandato a dire (anzi, a ribadire) che gli eventuali acquisti della Bce sono “limitati” ai titoli di stato di scadenza fino a tre anni acquisibili sul mercato secondario (cioè già emessi), che per definizione sono una quantità finita.

La Bce ha precisato nuovamente, poi, che la sua azione nell’ambito delle OMT sarebbe limitata ad evitare il rischio di convertibilità, cioè di ritorno a valute nazionali, ma qualcuno a Karlsruhe potrebbe dire (come di fatto ha già detto il capo della Bundesbank, Jens Weidmann) che non è compito della Bce contrastare le spinte al ritorno a valute nazionali. E così via, sulla strada del paranoico purismo monetario tedesco. O forse si tratta solo di profonda passione per la democrazia, chi può dirlo.

Comunque vadano le cose, il rischio per il nostro debito è duplice: da un lato, la fuoriuscita della Fed dall’easing quantitativo prima che una effettiva ripresa sia in atto anche in Eurozona; dall’altro il rischio che i mercati, in un quadro di rendimenti crescenti, e quindi di alto rischio di sforamenti di bilancio per paesi come il nostro, che hanno una enorme spada di Damocle (o meglio, di debito) sulla testa, decidano di andare a “vedere” se il whatever it takes di Draghi è diventato un’arma giocattolo. Nel frattempo sarà utile informare i giornalisti che, con rendimenti in crescita, uno spread stabile non ci serve praticamente a nulla.

Tratto dal blog Phastidio.net

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