Il risparmio privato, via dalle banche verso l`impresa
Il risparmio delle famiglie italiane è (dati Banca d’Italia) pari a 8,6 miliardi di euro. Di questi, 3,7 sono ricchezza finanziaria (il resto è tutto investito in immobili), cioè denaro – quasi immediatamente disponibile – che le famiglie hanno investito, e tengono fermo, in bot, btp, cct, fondi e tutti gli altri prodotti d’investimento che le nostre banche ci offrono.
Scrive Federico Fubini sul “Corriere della Sera” del 10 maggio, in un articolo dal titolo forse troppo blando rispetto ai contenuti che tutti i cittadini-risparmiatori dovrebbero conoscere: «Nell’anno dell’avvio della crisi europea del debito, il 2010, le banche italiane detenevano titoli del Tesoro per 193 miliardi; a marzo di quest’anno il loro portafoglio era quasi raddoppiato a 363 miliardi. Un salto dal 9% al 18% di tutto il debito pubblico italiano. Solo in interessi su Btp e simili, nel 2012, il sistema del credito ha incassato cedole per 15 miliardi di euro [...] Basta moltiplicare una tale somma per questi pochi anni per capire la vastità del silenzioso trasferimento dal contribuente al sistema bancario». Conclude Fubini: «Senza che venga loro spiegato, i cittadini con le loro tasse stanno ricapitalizzando gli stessi istituti che negano loro i prestiti per la casa e per l’azienda».
Se si aggiunge poi che alle banche da due anni a questa parte stanno arrivando montagne di miliardi di euro dalla Bce senza che nulla poi venga traferito alle imprese e alle famiglie, credo sia facile comprendere perché oggi, più che il costo del lavoro, la burocrazia ed i costi della politica, si dovrebbe puntare il dito contro gli istituti di credito per i danni fatti prima della crisi e per come ci stanno scaricando addosso la soluzione più utile per loro per uscirne.
Mi diceva qualche giorno fa il dirigente di un medio istituto di credito che in questo momento le banche «sono piene» di liquidità dei propri clienti «che stanno a guardare»; ed un altro, “finanziere” che opera a Lugano, mi confidava che «C’è tanto denaro in circolazione».
Sono convinto che non parliamo del denaro dei pochi tanto ricchi ma, per fare questi volumi impressionanti, di quelle dimensioni di risparmio che fino ad oggi consideravamo, noi tutti “classe media”, il “premio” dei nostri tanti anni di lavoro da godere poi con la pensione o il “tesoretto” per garantire ai nostri figli di poter mettere su famiglia con la sicurezza della casa.
Oggi però è obbligatoria una riflessione semplice semplice…
Se a fronte di 3,7 miliardi di ricchezza finanziaria privata abbiamo oltre 3 milioni di ragazzi – i nostri figli – a casa senza lavoro e prospettive per il futuro e in quelle stesse famiglie c’è uno dei tanti milioni di uomini e donne “maturi” che hanno perso il lavoro con scarse possibilità di ritrovarlo a breve, non è forse giunto il momento di chiedersi se non sia giusto trovare il modo di “rimettere” in circolazione questa montagna di finanza “improduttiva”, che se resta nelle nostre tasche (o meglio in quelle delle banche) non serve e non può servire né a garantirci per molto tempo né a trovare un posto di lavoro?
Non potrebbe questa finanza essere resa “produttiva”, essere finalizzata a portare denaro alle imprese e quindi a creare sviluppo e lavoro e conseguentemente opportunità per i 3 milioni dei nostri figli e per i milioni e milioni di lavoratori a cui abbiamo dato come unica risposta la cassa integrazione, che alla fine paghiamo ancora tutti quanti noi?
Non penso sia necessario dare vita a chissà quali strutture elefantiache e/o statali per “governare” questo denaro nel senso giusto. Non lo penso, anzi temo questa prospettiva.
Basterebbe che ogni Associazione di Categoria, sia delle imprese sia dei lavoratori (questo è il Paese delle mille associazioni e sindacati) – e sarebbe bello pensare anche ogni istituto di credito presente sul suolo italiano – si organizzasse per creare tanti sistemi analoghi al nostro BacktoWork, sistemi diffusi geograficamente e vicini alle imprese, alle caratteristiche produttive dei territori, con l’intento di “facilitare” l’investimento del risparmio privato nelle piccole aziende a fronte di occupazione.
Senza pensare a sistemi complessi, ad infrastrutture burocratiche, a nuove forme di gestione che costano più di quanto devono garantire.
Basterebbe un piccolo ufficio provinciale con dei buoni professionisti che sappiano valutare le aziende e le risorse umane secondo quella sapienza che una volta era del “direttore di banca di provincia” che conosceva il territorio e tutte le sue imprese, l’imprenditore e tutta la sua famiglia, ed era “colto” e sapeva di risparmio, economia e finanza.
Basterebbe che le banche smettessero di pensare di poter continuare a fare il mestiere così come ora, facendosi finanziare dalla Stato e non rifinanziando la produzione, perché tanto «Ha da passà ‘a nuttata» e poi tutto tornerà come prima.
Questa “nuttata” quando finirà – perché finirà – porterà non solo un altro giorno ma la sorpresa di un mondo nuovo. Per tutti, banche comprese.
Un mondo in cui chi vorrà lavorare potrà sicuramente farlo, e lo farà perché con merito si è costruito una opportunità. Un mondo in cui le imprese e gli imprenditori non considereranno più l’azienda una cosa di famiglia ma un sistema per far crescere l’economia, il territorio, il lavoro e se stessi. In cui lo Stato smetterà di pensare che la produzione, il lavoro ed il prodotto sono beni da tassare come beni di lusso.
Un mondo in cui le banche, le più colpevoli di tutti, tornino a dare denaro alle imprese secondo logiche non speculative e soprattutto con capacità di analisi e giudizio che da troppo tempo hanno perduto.
Non è un sogno… è solo la strada obbligata… altrimenti la “nuttata” sarà lunga lunga…
Articolo di Carlo Bassi (Amministratore Delegato BacktoWork24)