Il promotore ha fatto crash

Ecco il proseguio della prima puntata della saga legata al promotore più famoso d`Italia.

Il crash non apparteneva allo spot, ma era il rumore del prestigioso frontale della Jaguar di Sturli che si impastava sul triste posteriore della Dacia.
Ma puttana Eva!
Poi dicono che non è vero che non si deve guardare la televisione quando si guida.

2.

“Ma che cazzo significa questa promozione? Ma come si permette ancora JACKFLY di sparare a zero sulla nostra banca? Come ha potuto farsi mettere in onda?”
Mancini era fuori di sé. Nel giro di due ore aveva ricevuto quaranta telefonate: clienti sbalorditi, concorrenti divertiti, giornalisti sfrucuglianti. Persino sua madre l’aveva chiamato, ma di questo non c’era da stupirsi dato che stava tutto il giorno davanti alla TV, e quella maledetta promozione era andata in onda su tutte, dicesi TUTTE le emittenti nazionali e locali alla stessa ora. E ora banner, blog, twitter e link di tantissimi siti portavano tutti al video che era stato caricato su youtube...
L’unico a non aver telefonato – e la cosa lo agghiacciava – era Il Grande Vecchio, il Presidente della banca. Silenzio assoluto. Il telefono riservato era rimasto muto, come un rimprovero.
Magari è morto, pensò Mancini ma immediatamente scacciò il pensiero, come fosse sacrilego, e tornò a fissare furibondo Sturli.
“Cosa facciamo? Mi dici cosa facciamo?” esclamò.
Sturli era seduto, con le gambe accavallate molto elegantemente e si guardava le lunghe dita affusolate. Bianca chioma fluente, naso affilato. “Abbiamo sporto denuncia contro ignoti per concorrenza sleale e diffamazione. E abbiamo denunciato anche le emittenti. Sebbene, con queste ultime ci sia ben poco da fare.”
“Come contro ignoti? Ma se la promozione è della Sicav JACKFLY!” sbottò Mancini.
“No, non credo.  Questa volta dobbiamo capire  chi sta dietro a questa operazione. Da quel che ci hanno detto nelle varie emittenti, il dvd con il girato è arrivato tramite corriere da Hong Kong. In allegato c’era la richiesta per la messa in onda con data e ora precisa e un assegno circolare di una filiale di una banca tedesca. Tutto questo un paio di settimane fa. Dato che l’assegno era molto cospicuo, nessuna emittente si è fatta troppe domande e ha mandato in onda lo spot.”
“Come non si è fatta troppe domande? E se c’era un incitamento alla guerra civile? Povera Italia!” esclamò Mancini, sempre più sconvolto. Sturli scosse impercettibilmente la testa.
“Non te le saresti fatte neanche tu, Marco. Tanto più la pubblicità comparativa in Italia è permessa e tutti i dati che riporta la pubblicità sono veri e facilmente riscontrabili. Non è mica colpa mia se i tuoi gestori sono i peggiori del mercato. ”
“Dobbiamo fermare questo scempio. Trovare JACKFLY...”
“Che non sappiamo nemmeno dove si trova...”
“Dopo che l’hai fatto picchiare è sparito dalla circolazione. ”
“Marco, davvero non lo sappiamo?” disse Sturli, con un sussurro appena percepibile, ma che nelle orecchie di Mancini riecheggiò come un colpo di cannone.

3.

Tre giorni dopo sulla prima pagina del Il Sole 24ore l’esperto di turno si interrogava:
“Cosa c’è dietro l’attacco di questa Sicav JACKFLY contro una delle più grandi banche italiane? Da chi è appoggiata la Sicav JACKFLY? Una manovra dei cinesi? Una ripresa degli speculatori che si celano dietro le agenzie di rating? O forse addirittura la Germania, che dopo aver spazzato via la Grecia pensa di poter fare altrettanto con l’Italia?”
“Quel che è certo”, continuò la lettura Mancini rivolgendosi a una bella ragazza in deshabillé che condivideva con lui il tavolo della colazione, “è che nel giro di tre giorni la Nattan Bank ha visto sfumare almeno 400 milioni di patrimonio perché non sono stati pochi gli investitori che hanno ritirato i loro soldi per passare alla Sicav JACKFLY e non si esclude un declassamento delle agenzie di rating per la Nattan Bank. Merda! E meno male che non sanno tutto.” Mancini si interruppe. La ragazza era molto carina, le si intravedeva un seno sotto la vestaglietta leggera, ma in quel momento era completamente inopportuna.
“Dai, Marco, lo so. Sono tre giorni che me lo ripeti. Calmati adesso. Anzi, vieni qua che ti coccolo un po’...”
“Ma figurati! Ho altro per la testa!” esclamò Mancini. Scostò bruscamente le tazze della colazione e si fece una presa di coca.
E in tutto questo casino Il Grande Vecchio non si era ancora fatto sentire. O, meglio: si era fatto sentire, ma non da lui. Aveva telefonato a Sturli – e quella vipera non aveva perso l’occasione per dirglielo – chiedendogli come andava la famiglia e se avevano già preso provvedimenti contro quella campagna diffamatoria.
Lui, invece, aveva telefonato diverse volte, ma non era mai riuscito ad andare oltre la segretaria, la mitica Nilde – trentacinque anni di intemerato servizio.
Il fatto è che lui conosceva JACKFLY , lo conosceva anche Sturli, ma non potevano ancora crederci alla sua reazione incredibile. Erano convinti che JACKFLY fosse appoggiato da qualche loro concorrente che li voleva fare chiudere. Ma chi? E, per di più, non sapevano come contattare JACKFLY, o meglio, chiamiamolo con il suo nome, Giacomo La Mosca. Sturli aveva cercato di rintracciarlo tramite il suo legale ma inutilmente.
Intanto, “Anonimus” e diversi hacker dalla Romania attaccavano il sito della banca, c’erano in circolazione notizie allarmanti sulla solvibilità della Nattan Bank, l’andamento del titolo in borsa stava risentendone. In più nelle filiali delle agenzie della banca c’erano file di clienti che ritiravano i loro soldi.   
E Il Grande Vecchio, in tutto questo, continuava a tacere.

4.

Una settimana dopo la Jaguar di Sturli era tornata come nuova e l’umore dell’avvocato molto migliorato. Vedere Mancini dibattersi come un pesce preso all’amo lo riempiva di energia. Il Grande Vecchio non si era fatto vivo e questo significava che Mancini era finito. Evidentemente, Il Presidente lo riteneva responsabile di tutta questa storia e poi ora c’era la continua emorragia di patrimoni: i giornali parlavano di cifre tra i trecento e quattrocento milioni, ma Sturli e Mancini sapevano che si trattava di almeno il doppio. Ora però bisognava stare attenti: se Mancini non aveva più nulla da perdere poteva diventare pericoloso e sferrare qualche attacco improvviso. Se la banca falliva, Sturli non avrebbe avuto che da guadagnarci – tra contenziosi, procedure e curatele fallimentari, il suo studio si sarebbe preso tutto quello che fosse scampato ai creditori e non si fossero intascato i dirigenti.
Insomma, andava tutto bene. E per quella sera gli avevano promesso una ragazzina disposta a tutto. Il coronamento di una giornata ideale.

5.

“Sturli, fai presto. Devi venire subito in questura.”
“In questura? A quest’ora? E perché? In che casini ti sei ficcato?”
“Sturli!” esclamò Mancini chiaramente esasperato. “Non ti pago per far domande. Vieni subito che sei nei casini.”
Sturli cercò di alzarsi, ma c’era qualcosa che gli bloccava il braccio. Non era del tutto sveglio, aveva mal di testa e dato che Mancini lo metteva sempre di cattivo umore si immaginò subito di avere il braccio preso sotto un blocco di cemento. Ebbe un istante di panico folle, e cominciò a dibattersi come un ossesso.
La ragazza balzò in piedi e gli liberò il braccio, sopra il quale si era addormentata. “Cosa c’è? Che succede?” chiese spaventata anche lei e accese la luce.
Sturli la guardò per un istante come se non la riconoscesse. Poi ricordò tutto. Era la ragazza che gli avevano fornito. Si chiamava... si chiamava... boh, tanto sono tutti nomi falsi. Gli era piaciuta: un po’ in carne, intorno ai sedici, e faceva tutto.
Non doveva pagare perché ci pensava l’agenzia. Si vestì e uscì. Erano le 3 e 17.

Diciotto minuti dopo, Sturli si sedeva nello studio del questore. C’era il questore e c’era Mancini. Questa poi, pensò Sturli, Il questore addirittura a quest’ora della notte!
Ma non ebbe il tempo di pensare a molto altro, perché il questore gli mise sotto il naso un paio di foto e poi voltò lo schermo del computer verso di lui.
Sturli, che era sempre stato un tipo pallido, impallidì, se possibile, ulteriormente. Nelle foto c’era lui e c’era la ragazza in carne che aveva lasciato diciannove minuti prima. E tutti e due erano nudi e facevano le cosacce.
“Avvocato, è lei in queste riprese?” gli chiese il questore.
Sturli non rispose.
“Lo sa che la ragazza è minorenne?”
Sturli si guardò intorno smarrito.
“Si chiede come faccio a saperlo?” interpretò il suo gesto il questore. “Semplice. Mi hanno mandato la foto del suo passaporto. Eccola, l’ho appena scaricata.”
Mancini balzò in piedi. “Fai schifo, Sturli, te l’ho sempre detto. Ma ora hai messo di mezzo il buon nome della banca. Sei fuori!” E se ne andò.
Sturli rimase un attimo basito. Avrebbe voluto dire che anche Mancini amava andare a puttane, lo sapevano tutti. E che tirava di coca. E poi si stupì che le sue famose doti di avvocato si esaurissero, in quel momento, in un’autodifesa così debole.
Il questore, raccolse le foto, già stampate, rigirò lo schermo verso di sé e, come se lo compatisse veramente e cercasse di consolarlo, gli disse:
“Vede, avvocato, è il mondo di oggi. Non è diverso da quello di ieri: anche allora la gente si faceva i fatti tuoi, ti spiava e sapeva tutte le porcheriole che facevi. Solo che, ieri, non poteva diffonderle in tempo reale e con un ottima risoluzione su tutta la rete, da Ulan Bator alla Terra del Fuoco, passando (ovviamente) dalla questura locale, dalla cronaca e dal tuo datore di lavoro. Oggi sì. Questo è tutto. Mi spiace.”

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