IL POPOLO PALESTINESE E' ALL'ULTIMO ATTO. L'EGITTO MINACCIA ISRAELE
Redazione, 13 febbraio 2024.
Dall'attacco del 7 ottobre, l'esercito israeliano ha ammazzato 28.340 palestinesi dopo aver subito la morte di 1139 israeliani.
E' un rapporto, ad oggi, pari a circa 1 contro 25.
Ovvero: un israeliano vale 25 palestinesi, donne e bambini compresi.
E, questo rapporto, è destinato a salire.
All'inizio del suo attacco, partito dal nord di Gaza, Israele aveva "consigliato" ai civili palestinesi di rifugiarsi, all'istante, a sud, per sfuggire ai suoi attacchi e salvarsi.
Attualmente, nell'area sud, a Rafah, si contano circa un milione e quattrocentomila palestinesi ammassati, senza cibo, senz'acqua, senza energia elettrica, senza farmaci e senza cure sanitarie.
Volker Turk, per l'ONU che non parteciperà all'evacuazione forzata dei palestinesi, ha anticipato che "un numero estremamente elevato di civili" morirebbe o sarebbe ferito per un'incursione israeliana a Rafah.
Ma, l'esercito israeliano sta già attaccando Rafah, dal cielo, dal mare e da terra.
Ieri, alla Casa Bianca, Biden ha incontrato il re di Giordania Abdullah II e, poco dopo, ha avuto la sua ennesima geniale intuizione e ha dichiarato che i civili a Rafah "hanno bisogno di essere protetti".
Anche il re Abdullah ha detto la sua asserendo l'urgenza del cessate i fuoco per almeno quattro mesi e aggiungendo che "Non possiamo permetterci un attacco israeliano a Rafah. Sicuramente provocherà un'altra catastrofe umanitaria".
Vedremo...
Si è fatta sentire anche la Cina, tra un business e l'altro: "fermare le sue operazioni militari il prima possibile... per evitare un disastro umanitario più grave nella zona di Rafah".
Ma, ieri mattina all'alba, Israele ha condotto un raid a Rafah e, per liberare due ostaggi, ha ucciso circa 100 persone.
Netanyahu ha celebrato il successo dell'operazione, mentre il ministero degli Esteri palestinese ha affermato che la morte di dozzine di abitanti di Gaza costituisce un "massacro".
Israele ha sempre le sue ragioni per bombardare i palestinesi e, stavolta, motiva con l'obiettivo irrinunciabile di scovare ed eliminare 4 gruppi di Hamas che sarebbero infiltrati a Rafah.
Nessuna considerazione per gli effetti sulla popolazione civile palestinese che, ormai, è in trappola.
Dopo il sud di Gaza è la fine del territorio di Gaza e c'è la penisola del Sinai, in Egitto con il governo egiziano che ha sempre respinto l'invito di Netanyahu ad accogliere i palestinesi in massa.
Il presidente egiziano aveva motivato il suo rifiuto con milioni di egiziani dichiaratamente contrari e con la prospettiva di trasformare il Sinai in una base di attacco militare contro Israele.
Cionosostante, Benjamin Netanyahu ha dichiarato che Rafah è l'ultima roccaforte di Hamas e che è costretto ad invadere la città per vincere la guerra con Hamas.
La posizione del Cairo è stata chiara, ha minacciato di sospendere il suo trattato di pace con Tel Aviv nel caso in cui le truppe israeliane avessero invaso Rafah, costringendo i profughi palestinesi a spingersi verso la frontiera egiziana per sfondarla in cerca di salvezza.
L'Egitto, teme e prevede l'ovvio.
Spinta dal terrore dei bombardamenti israeliani, ci sarà una marea umana di migliaia di sfollati palestinesi verso il suo confine e neanche l'esercito sarà in grado di fermarla.
Il Sinai sarebbe occupato e, una volta trasferiti i palestinesi sopravvissuti, Israele ne impedirà il rientro "a casa".
Il Qatar, l'Arabia Saudita e altri Paesi hanno minacciato "gravi ripercussioni" se Israele avesse osato entrare a Rafah.
Ma, Israele è già a Rafah e sta già seminando morte.
Per Hamas, l'attacco di Israele a Rafah, "farebbe saltare" la possibilità di liberazione dei 100 ostaggi israeliani.
L'Egitto ha schierato i suoi carri armati per proteggere il suo confine a sud di Gaza, mentre Netanyahu ha dichiarato che chiedergli di non intervenire a Rafah equivale a chiedergli di perdere la sua guerra contro Hamas.
A questo punto, non solo gli egiziani, ma il mondo intero dovranno decidere se accettare che il Popolo palestinese sia definitivamente sterminato e privato della sua terra o, se, sia giunto il momento di fermare Israele.
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