Il lato oscuro dei derivati di Stato
Riportiamo un interessante contributo scritto da Alessandro Penati per Repubblica, il cui titolo é `Il lato oscuro dei derivati di Stato`, dal sottotitolo `Dal tesoro occorre la stessa trasparenza che le normative giustamente impongono ai privati` emergono forti affinità con il caso Mps, lo stesso Penati afferma: ` Si `rinegozia` un derivato perché altrimenti dovrebbe essere chiuso in perdita; con la `rinegoziazione` si sostituisce il vecchio derivato con uno nuovo per rinviare le perdite nel tempo. Non è simile al caso Mps? E chi ha verificato che i valori usati nella `rinegoziazione` non fossero troppo favorevoli alla banca controparte?` Vi invitiamo dunque alle lettura del prezioso contributo, certi che possa suscitare il vostro interesse e alcune riflessioni.
Il comunicato del Tesoro in risposta alle rivelazioni di Repubblica sui derivati dello Stato è lacunoso e contiene palesi errori. Esattamente come nel marzo del 2012, quando Bloomberg rivelò che lo Stato aveva pagato 3 miliardi a Morgan Stanley (guidata in Italia, ironia della sorte, da un ex ministro dell`Economia) per la chiusura di un derivato.
Il Tesoro dichiara di non tenere conto del valore di mercato dei derivati stipulati poiché non generano movimenti di cassa, se non a scadenza; di conseguenza, non rientrano nel calcolo del debito pubblico, in accordo coi criteri stabiliti da Eurostat. Nessuno chiede di contabilizzare i derivati come debito, ma si reclama trasparenza sulle perdite potenziali per lo Stato: il valore di mercato dei derivati, infatti, misura la dimensione del debito potenziale, moltiplicato la probabilità che si materializzi.
È come se un`assicurazione non accantonasse riserve considerando i sinistri inesistenti fino al momento in cui deve liquidarne uno. Sarebbe un falso in bilancio. A prescindere dalle regole di contabilità pubblica, un governo deve rendere conto ai cittadini degli impegni che potrebbero gravare sulle loro tasche.
Sono impegni, inoltre, che il Tesoro può dover liquidare prima della scadenza, per esempio se le perdite superano livelli concordati (Termination clause), come nel citato caso di Morgan Stanley.
Il Tesoro perde sui derivati; ma potrebbe guadagnarci. In questo caso, la controparte avrebbe le risorse per pagare (il caso Lehman insegna)? In altre parole, non dovremmo conoscere il rischio controparte per lo Stato Italiano? Il Tesoro non spiega perché nel 2012 ha rinegoziato 32 miliardi di derivati stipulati anni addietro, come documentato da Repubblica.
Si `rinegozia` un derivato perché altrimenti dovrebbe essere chiuso in perdita; con la `rinegoziazione` si sostituisce il vecchio derivato con uno nuovo per rinviare le perdite nel tempo. Non è simile al caso Mps? E chi ha verificato che i valori usati nella `rinegoziazione` non fossero troppo favorevoli alla banca controparte?
Il Tesoro dichiara di stipulare derivati `nell`interesse del Paese` e per `coprirsi dai rischi`. Spetterebbe all`opinione pubblica stabilire cosa sia nell`interesse del Paese; ma a prescindere da questo, che lo si compri per `coprirsi` o per `speculare`, un derivato equivale sempre a una scommessa: uno vince e un altro perde e paga.
I derivati, quindi, trasferiscono i rischi tra due scommettitori. Va benissimo per i privati, non per lo Stato, per due buone ragioni. Prima: quando i privati comprano e vendono rischi, ne sopportano le conseguenze economiche; mentre funzionari e governanti impegnano risorse dei cittadini: chi decide quanti e quali rischi prendere, a prescindere dalle motivazioni (anche nobili)?
Seconda: i privati usano derivati per trasferire rischi al di fuori del loro controllo, mentre il Tesoro li usa per prendere posizione su rischi, come il costo del debito pubblico, che dipendono da sue decisioni. Un potenziale conflitto di interessi.
Sorge il dubbio che questo potenziale conflitto sia alla base dell`ostinato rifiuto del Tesoro a fornire una rappresentazione chiara, tempestiva ed esaustiva delle sue posizioni in derivati. Non si darebbero informazioni per evitare imbarazzi.
Per esempio, il Tesoro giustifica la posizione esistente in derivati per potersi avvantaggiare da un possibile futuro aumento dei tassi a breve: ovvero paga un premio per guadagnare se c`è un forte rialzo dei tassi Bot. E` un segno di sfiducia (si temono difficoltà di collocamento per i Bot), oppure si dà del fesso a chi ha comprato recentemente Bot a tassi così bassi che il Tesoro non ritiene sostenibili?
Oppure è il frutto di un accordo con le banche che hanno venduto i derivati, per non fare sapere le loro posizioni? Inquietante, visto che sono anche grandi operatori del nostro debito pubblico.
L`inspiegabile reticenza del Tesoro alimenta da 10 anni ricorrenti insinuazioni circa l`uso opportunistico di derivati per agevolare il nostro ingresso nell`euro. Basterebbe un poco di trasparenza per spazzarle via. La stessa trasparenza sui derivati che le norme dello Stato, giustamente, impongono ai privati.