Banca MPS è passata dall`essere un gioiello conteso al ruolo di una pietra scartata.
Le sue azioni, in occasione dell`approdo in borsa a maggio 1999, andarono a ruba.
Poi, nei decenni successivi, le cose peggiorarono sempre più fino ad arrivare alla situazione che stiamo vivendo oggi.
I guai per MPS iniziarono già nel 2000.
In seguito al collocamento dei prodotti finanziari `My Way` e `4 You` (offerti dalla Banca 121, poi acquistata dalla Banca Monte dei Paschi di Siena - N.D.R.) la banca si trovò nell`occhio del ciclone.
Dovette così affrontare vicende giudiziarie onerose in termini di capitale e di reputazione.
La discutibile gestione continuò negli anni seguenti, fino a portare l`istituto al collasso.
Purtroppo, a mio avviso, la banca è stata manovrata dalla politica, che ne ha condizionato la gestione.
I crediti di cattiva qualità che si sono accumulati sono andati in insolvenza in seguito alla crisi del 2008.
A peggiorare la situazione, proprio durante la Grande Crisi, contribuì l`acquisizione di Banca Antonveneta avvenuto ad un prezzo triplo rispetto al valore effettivo.
L`operazione fu finanziata grazie ad un aumento di capitale da 5 miliardi di euro, cui fece seguito l`emissione di un bond subordinato da 2,2 miliardi più un ulteriore indebitamento per 2 miliardi nei confronti del sistema bancario.
Da allora l`Istituto non è più riuscito ad uscire dalle sabbie mobili affondando sempre più.
Lei crede che il MEF abbia fatto bene quando ne ha acquisito il controllo, seppure a tempo?
Onestamente no.
Credo si sia trattato di un passo indietro nella storia.
Prima della `legge Amato` del 1990 avevamo le banche pubbliche.
La stessa legge bancaria del 1936 definiva l`attività bancaria come una funzione di pubblico interesse.
Alla privatizzazione degli istituti fece seguito il Testo Unico del 1993 che definisce espressamente l`attività bancaria come attività di impresa.
In questo nuovo contesto privatistico la nazionalizzazione del Monte dei Paschi ha rappresentato un passo indietro nella storia.
Inoltre l`arrivo della mano pubblica non ne ha migliorato la gestione.
Al contrario ha esacerbato, a mio modo di vedere, la cattiva gestione che si è concretizzata nella concessione di prestiti di dubbia qualità che non sono stati ripagati.
Penso che il MEF avrebbe fatto meglio a fungere da controllore, lasciando però la banca in mano privata, così da cercare di prevenire quella stessa situazione che ora l`ha messa letteralmente in ginocchio.
Cosa ne pensa delle ipotesi di `salvataggio` compresa l`entrata in campo di Unicredit?
Temo che si tratti di una mera manovra di maquillage che cerca di nascondere lo sporco sotto il tappeto.
Unicredit ha accettato di comprare MPS poiché Banca Intesa si era già dovuta accollare UBI Banca.
Ma dato che Unicredit è una banca `in cerca di identità`, dopo la dismissione di importanti asset del risparmio gestito, si è dichiarata disposta a prendere solo il buono di MPS, lasciando fuori i crediti deteriorati che sono la parte più spinosa.
In pratica Unicredit si comporta come quelle persone che scelgono la frutta dalle bancarelle del mercato.
Prendono solo i pezzi più sodi, lasciando sul fondo della cassetta quelli eccessivamente maturi.
Purtroppo così facendo MPS non solo verrà smembrata, ma c`è il rischio concreto che le attività in sofferenza confluiscano in un nuovo istituto a mano pubblica le cui perdite saranno fatte gravare sulla collettività.
Forse, se il privato fosse intervenuto prima con la supervisione dello Stato non saremmo arrivati a questo punto.
Le banche oggi sono in una posizione particolare, a causa della crisi da COVID-19 e possono fare, come ha fatto Unicredit, la voce grossa.
Il messaggio è chiaro: `caro MEF vuoi che prenda MPS?
Va bene, ma decido io quali frutti mettere nella borsa e quali, invece, restano nella tua cassetta`.
Lei crede che MPS possa farcela da sé, con il suo management e con le sue risorse attuali? Se, si, a quali condizioni?
Temo che i problemi della banca siano così gravi e profondi che nessun management sarebbe stato in grado di salvarla senza la necessaria autonomia.
L`arrivo di Alessandro Profumo, ex amministratore delegato di Unicredit, fu salutato con entusiasmo.
I risultati, tuttavia, non furono all`altezza delle aspettative.
Dopo di lui altri manager si susseguirono senza riuscire a portare la banca fuori dal guado.
Se non è un problema di management credo che il bubbone si nasconda altrove.
Forse nel fatto che la politica ha messo troppo del suo nella gestione della banca?
Il sistema bancario rappresenta un ramo particolare dell`attività economica.
Esso, infatti, lavora sulla fiducia e lo fa usando soldi di altri.
Proprio per evitare che le industrie si comprassero le banche e usassero il denaro dei correntisti per finanziare imprese non meritevoli il legislatore del 1936 introdusse il concetto di `separatezza` tra banca e industria.
Il problema è che si sarebbe forse dovuto creare una separazione netta anche tra banche e politica.
Per risollevare l`istituto sarebbe stata necessaria, secondo me, una compagine azionaria privata, solida, in grado di promuovere un piano industriale che portasse la banca fuori dal guado.
MPS ha molte attività interessanti, a cominciare dalla presenza nella bancassicurazione grazie alla partnership con Axa.
Più che puntare a creare redditività attraverso l`attività bancaria classica il management avrebbe potuto virare la gestione verso la vendita di prodotti assicurativi.
O magari entrare nel business dell`arte grazie anche alla storia gloriosa e lunga che l`istituto può vantare.
Proprio oggi, 3 agosto 2021, il Sindaco di Siena ha alzato il tono, dichiarando ciò che segue. Cosa ne pensa?
Penso che il sindaco della città abbia ragione.
In fondo avere un cadavere ambulante non interessa né serve a nessuno.
Monte dei Paschi è la banca più antica del mondo e non merita di chiudere attraverso uno smembramento, che mi sembra inevitabile dopo la parziale acquisizione di Unicredit.
Ammesso che si riescano a salvare, in un modo o nell`altro, i posti di lavoro di chi in banca lavora, è indubbio che si tratti di una soluzione temporanea.
L`istituto, la sua storia, la sua sede senese, finiranno inevitabilmente per morire.
Da torinese vivo con apprensione quello che sta succedendo allo stabilimento di Mirafiori e alle scelte di Stellantis.
La città si sente orfana di un`azienda e di un sito che è cresciuto con la metropoli.
Quando il radicamento di un`azienda nel territorio è forte si crea un rapporto simbiotico indissolubile.
La fine dell`attività imprenditoriale rischia di coincidere con la fine della stessa città, che perde motivazione, non crede più in sé stessa e non ha più un punto di riferimento.