Gli investitori di soldi reali sono tornati sul mercato dei titoli sovrani dell’eurozona dopo una lunga assenza. Proprio come i rendimenti delle obbligazioni bancarie italiane salivano in alto insieme di pari passo con i titoli di stato italiani, allo stesso modo sono anche precipitati, e quest’anno è stato possibile per le banche immettere obbligazioni sul mercato, anche se va notato che finora si è trattato solo di covered bond o obbligazioni senior. Il grafico sotto mostra proprio quanto i costi di finanziamento italiani siano diminuiti.
Coloro che dubitano della sostenibilità delle politiche della BCE hanno del tutto ragione quando sostengono che gettare liquidità sulla crisi del debito non fa nulla per risolvere i problemi strutturali al centro dell’Eurozona. Anche se imbellettati, un titolo di stato zombie o un’obbligazione bancaria zombie, rimane comunque uno zombie. I problemi, potenzialmente al capolinea, della grande disparità nella competitività tra i vari stati (ovvero gli attuali squilibri di bilancio) sono ancora tutti da risolvere. Una possibile risposta sarebbe l’unione fiscale completa, in cui i Paesi dell’Europa del Nord dovrebbero farsi carico dei debito dei Paesi del Sud Europa, con questi ultimi che dovrebbero lasciar prendere le decisioni ai Paesi del Nord Europa, circostanza alquanto improbabile. Un’ipotesi alternativa, vedrebbe Germania e Paesi Bassi dover gestire un’inflazione a tassi più alti rispetto al resto d’Europa, e anche questo è improbabile. Come Milton Friedman ha dichiarato in breve nel 1999 “i vari Paesi dell’area Euro non costituiscono un mercato valutario naturale. Non sono un’area valutaria. C’è molto poca mobilità di persone tra I Paesi. Ci sono estesi controlli, regolamenti e regole, e quindi c’è bisogno di un meccanismo di ‘correzione’ di un qualche tipo per correggere crisi asincrone – e il tasso di cambio oscillante tra i vari Paesi gliene dava uno. Ora non hanno meccanismi correttivi”*.
Ma proprio perché la risposta politica della BCE non si è indirizzata ai problemi sottostanti, non significa che le conseguenze saranno di poco rilievo, anzi, è quasi il contrario. Sappiamo dal 2009 quanto possa essere potente l’impatto sui mercati quando le banche centrali dispiegano in pieno i loro bilanci. Alla luce di questo, il rally degli asset a reddito fisso più rischiosi che abbiamo visto di recente probabilmente deve ancora venire, e nelle ultime settimane ho acquistato per la prima volta anche titoli di stato italiani.
Il rovescio della medaglia è che i livelli di rendimento attuali dei titoli di stato “core” è una preoccupazione, e la duration sembra meno interessante. A maggio dello scorso anno, i rendimenti dei titoli di stato erano dell’1% più alti rispetto ad oggi, e le curve del rendimento molto più inclinate. In quel momento non pagava avere una duration corta. La situazione è un po’ cambiata da allora, presumibilmente per la crisi dell’Eurozona e forse anche per la Cina. Se l’Europa non è più in una spirale verso il basso - infatti gli importanti dati PMI dell’Eurozona rilasciati ieri suggeriscono che ci sia stato un rimbalzo nell’attività economica nel mese di gennaio - allora i titoli di stato sembrano davvero vulnerabili.