Di Yuchen Xia, Portfolio Manager in MoneyFarm
Dopo circa 10 anni durate i quali le banche centrali hanno operato per rimediare alla crisi finanziari che ha colpito l’economia globale, la fede degli investitori nell’efficace dei loro interventi ha iniziato a svanire negli ultimi anni. Il QE, i bassi tassi d’interesse, la strategia di comunicazione pubblica etc non sono stati risolutivi e gli investitori temono che banche centrali abbiano giocato tutte le carte in loro possesso per aiutare la crescita globale e generare inflazione. Inoltre, la lenta crescita economica, la mancata spinta inflazionista e i fattori di rischio esterni hanno portato i policymakers a rimanere sulla difensiva, come dimostrato in particolare nei primi mesi del 2016. Nell’ultimo periodo abbiamo assistito a diverse operazioni da parte delle banche centrali. Prime fra tutte, la Banca Centrale Europea (BCE) e la Bank of Japan(BoJ) si sono mostrate le più determinate nella lotta contro la deflazione e la stagnazione economica. Il pacchetto di misure previste dalla BCE include un ulteriore taglio dei tassi d’interesse, una estensione del QE non solo nell’ammontare di titoli comprati ma anche nella tipologia di titoli comprati (oltre a titoli governativi, ora anche alcuni titoli obbligazionari societari potranno essere comprati) e di conseguenza un incoraggiamento verso la maggiore circolazione di denaro, spingendo le banche all’erogazione di nuovi prestiti. Anche negli Stati Uniti, dove la situazione economica appare più solida, non mancano le preoccupazioni per una crescita globale lenta, come dimostrato della FED e della sua decisione di tenere invariati i tassi di interesse. Emergono quindi temi comuni alle banche centrali globali accomunate dalla risoluzione delle medesime problematiche. La reazione dei mercati. L’intervento delle banche centrali, nonostante sia la dimostrazione di un sostegno necessario ad un’economia che fatica a crescere, ha rinvigorito la fiducia degli investitori e influenzato i mercati. La volatilità sui mercati azionari e di credito negli ultimi anni è stata molto correlata con il tono usato dalle banche centrali. Un esempio recente è l’intervento a marzo della BCE, che annunciando l’espansione del suo piano di acquisto ha avuto un impatto enorme sul mercato delle obbligazioni societarie. È importante sottolineare come anche la cosiddetta forward guidance (la strategia di comunicazione pubblica) sia a tutti gli effetti uno strumento di politica monetaria, tramite la quale una banca centrale regole le attese degli operatori economici. L’annuncio della BCE di nuove politiche hanno fatto, come è normale aspettarsi, indebolire l’Euro, che poi si è rafforzato in seguito alle parole di Draghi sul fatto che ulteriori tagli non saranno necessari. Le aspettative di tassi non in diminuzione hanno pesato più delle effettive politiche dispiegate. Si era osservata una reazione simile alle scelte della Boj di implementare tassi di interesse negativi, che contrariamente alle attese ha portato a un rafforzamento dello Yen. Una chiara evidenza dei limiti delle politiche monetarie in atto che tuttavia, stanno sostenendo i mercati e la loro ripresa, dopo un inizio anno difficile. L’effetto palliativo. Alcuni economisti non mancano di rimarcare il fatto che in fondo l’intervento della Bce è solo un palliativo, un modo per temporeggiare in mancanza di riforme strutturali efficaci. La ripresa economica non potrà che passare per i governi e il loro operato, meglio ancora se prima che l’effetto “palliativo” possa svanire.
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