Gas Naturale: la rivoluzione `shale gas` che non arriverà

Con l’avvento dello shale gas -un tipo di gas non convenzionale (in prevalenza metano) che è presente all’interno di rocce scistose- la politica energetica americana è cambiata, ed ora il paese a stelle strisce è diventato meno dipendente dall’estero per le importazioni di gas naturale, prevedendo addirittura di diventare un esportatore netto nei prossimi anni. L’estrazione dello shale gas avviene attraverso una tecnica precisa, detta idrofratturazione, che consiste nello sparare ad alta pressione acqua ed un certo numero di additivi chimici per poter frammentare la roccia e permettere quindi la fuoriuscita del gas non convenzionale.

L’utilizzo dello shale gas ha permesso agli Stati Uniti di diminuire la propria dipendenza dal gas naturale estero e di cambiare la politica energetica, che fino a qualche anno fa aveva puntato sulla costruzione di un gran numero di rigassificatori -ad oggi sottoutilizzati- per ricorrere all’importazione di gas naturale liquido (LNG). Le importazioni di gas naturale per gli Usa sono infatti passate dai 130,49 miliardi di metri cubi del 2007 ai 105,93 miliardi di m₃ del 2010 (-18,81% in soli 3 anni), a fronte di un aumento dei consumi passati dai 654,04 miliardi di m₃ del 2007 ai 682,01 miliardi di m₃ del 2010 (secondo l’EIA, l’agenzia americana dell’energia). Il gap fra gas importato e gas consumato è stato in parte coperto dalla produzione interna di shale gas e nel 2010 la percentuale di gas importato -sul totale consumato- si è attestata al 15,53% dal 19,95%. Questo è comunque un dato piuttosto basso se paragonato al 90,20%, che rappresenta la percentuale di  gas naturale che l’Italia ha importato dall’estero rispetto al totale dei consumi del 2010 (le importazioni sono state pari a 75,35 miliardi di m₃ contro gli 82,97 miliardi di m₃ di gas consumato). L’aumento della produzione di gas naturale da parte degli Usa, da addebitarsi in prevalenza allo shale gas, è continuata anche  per il 2011, dove ad ottobre c’è stata una variazione positiva del 6% rispetto allo stesso periodo del 2010.

Quando l’offerta cresce più della domanda il prezzo scende e così è stato anche per il gas naturale: il prezzo dello Henry Hub è sceso del 9% nel 2011, attestandosi intorno ai 4 dollari per milioni di Btu (British Thermal Unit). Parallelamente, l`indice Henry Hub Spot oggi quota circa 2,25 dollari per milioni di Btu, lasciando sul terreno il 50% rispetto ai valori di un anno fa (quando quotava 4,5 dollari per milioni di Btu). Il trend negativo che ha coinvolto il prezzo del gas naturale americano è iniziato dopo il massimo di giugno 2008, quando il prezzo medio dello Henry Hub toccò il massimo di 12,69 dollari per milione di Btu. Fino a quella data il prezzo del gas naturale si era sempre mosso più o meno in linea con quello del petrolio, anche perché i due combustibili fossili vengono estratti insieme, per cui le variazioni nell’offerta dell’uno equivalgono –grosso modo – a quelle dell’altro e lo stesso succede sul lato della domanda trattandosi di due beni sostituti (almeno nel lungo termine). Il prezzo di entrambe le materie prime crollò nell’autunno del 2008 con l’inizio della crisi finanziaria dei subprime, quando il petrolio americano (WTI) passò in pochi mesi dai 140 dollari al barile ad un prezzo al di sotto dei 40 dollari al barile. Il prezzo del greggio tornò poi (piuttosto in fretta) intorno agli 80 dollari al barile, mentre le quotazioni del gas naturale non si sono più riprese.

In un’Europa sempre più fragile e dipendente dalle importazioni di combustibili fossili, ci si chiede se non sia possibile anche per il “vecchio continente” sfruttare il gas naturale non convenzionale. Di questo avviso pare essere anche Frank Umbach, direttore dell’European Centre for Energy and Resource Security (EUCERS), secondo cui lo shale gas rappresenterebbe un’ottima opportunità per rafforzare la posizione dell’Europa negli scenari geo-politici mondiali e per diminuire la sua dipendenza energetica da Russia e Medio Oriente. Umbach si è mostrato ottimista anche alla luce delle stime molto positive da parte delle compagnie che si occupano di produzione ed esplorazione di gas. Ad esempio Cuadrilla Resources stima che ci siano abbondanti riserve di shale gas sia nell’Europa Occidentale che Orientale. Ma di diverso avviso pare essere il massimo esperto europeo sul gas, Jan de Jager, che ha lavorato per più di 30 anni come geologo esploratore per Shell, prima ottenere la cattedra per poter insegnare “Regional and Petroleum Geology” alla Free University di Amsterdam.  Intervistato dall’European Energy Review De Jager ha detto che è piuttosto improbabile che l’Europa (o almeno l’Europa Occidentale) faccia come gli Stati Uniti e riesca ad estrarre lo shale gas dal proprio territorio. Infatti non sussistono le stesse condizioni geologiche e le stime che sono state fatte ad oggi sono esagerate. In Germania ed in Svezia non sono ancora state trovate significative riserve di shale gas, mentre per l’Olanda le abbondanti riserve stimate sarebbero state semplicemente gonfiate. Esistono poi altri fattori, ambientali in primis che fanno sì che difficilmente l’Europa sperimenterà una “corsa all’oro” per lo shale gas. Lo sfruttamento dello shale gas richiede l’utilizzo di molta acqua a cui poi vengono aggiunti additivi chimici inquinanti e poi per poter utilizzare la tecnica dell’idrofatturazione occorrono terreni non abitati, cosa difficile in un’Europa densamente abitata.

Il prezzo del gas naturale -in discesa dal 2008- rispecchia solamente la domanda e l’offerta relativa allo Henry Hub, che sintetizza la situazione degli Stati Uniti. A causa degli alti costi di trasporto, il blocco nordamericano e quello eurasiatico sono scarsamente integrati e questo potrebbe voler dire che a fronte di una discesa del prezzo dello Henry Hub la bolletta del gas europea comunque non cala. Sul versante geo-politico i prossimi anni vedranno gli Stati Uniti sempre più indipendenti ed “autarchici”, in grado di soddisfare il proprio ristretto e calante bisogno di importazioni di gas dal vicino Canada. L’Europa, che difficilmente vivrà il boom dello shale gas, dovrà invece mantenere buone relazioni diplomatiche con Russia, Medio Oriente e Nord Africa, cercando di far prevalere la propria influenza rispetto alla vorace Cina, che per mantenere gli attuali tassi di crescita ha un disperato bisogno di energia.

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