Fine della seconda repubblica

Prima delle primarie del PD si ventilava l’ipotesi di un ticket Monti-Renzi. Con la vittoria di Bersani questa ipotesi è venuta meno. Tuttavia, la perigliosa discesa in campo di Berlusconi e l’annuncio delle dimissioni del governo, hanno ridato forza politica proprio a Mario Monti e reso preziosa la forza innovatrice di Matteo Renzi.  “Non si può sprecare un tesoro” ha detto ieri Monti, ricordando le molte cose fatte dal governo in soli dodici mesi.

Fine della seconda repubblica

La risposta dei mercati è stata conforme alle previsioni. Lo spread è risalito da quota 300 fino a superare 360 (si è poi adagiato a 351 basis points) e il mercato azionario ha perso fino al 4% con una disfatta dei titoli bancari nuovamente alle prese con il link con il debito sovrano. L’Europa, incredula e preoccupata, chiede a Monti di restare in campo. Déja vu?  Non proprio. Questi eventi in sole 48 ore hanno formalizzato la fine della seconda repubblica. Ora, gli scenari sono del tutto nuovi.  Non vi sono precedenti e la middle class, con i suoi 24 milioni di voti, è chiamata a svolgere un ruolo decisivo. Ecco perché l’idea di un ticket Monti-Renzi, che mobiliti il fronte moderato e riformatore, torna ad avere una valenza interessante.  Da un lato, vi sono le forze della protesta guidate da Beppe Grillo cui si accredita, in base ai sondaggi più recenti, il 16-19%.  Il centro destra (Pdl più Lega) intorno al 15-18%. In totale questo tipo di opposizione populista ed anti-europea avrebbe un 31-37%.  Un fronte ispirato a Monti potrà contare su uno zoccolo duro del 20-22% con una spinta “emotional” aggiuntiva (in caso  di  disponibilità di Renzi) stimata al 10-12%. In pratica questo exploit lascerebbe al centro-sinistra un 34-36% togliendo un potenziale 10%. Bersani, non a caso, suggerisce a Monti di restare di riserva. Di certo, la sommatoria “Monti + centrosinistra” otterrebbe una prevalenza assai forte nel Parlamento tale da avere la maggioranza anche al Senato. Queste previsioni cominciano a circolare a tal punto che il Pdl sembra disposto in extremis (ipotesi ventilata da Cicchitto) ad una modifica della legge elettorale. E’ pura fantascienza oppure la “rabbia” della middle class è pronta alla spallata finale contro la seconda repubblica? Le premesse ci sono tutte. Anche perché interrompere il lavoro del governo Monti rischia conseguenze drammatiche. Vediamo perché. La lettera della Bce, inviata al governo Berlusconi nell’agosto 2011, ha reso evidente che l’Italia, con il quarto debito nel mondo, era la miccia che rischiava di far esplodere l’Unione europea. Il lavoro non è finito. Entro fine dicembre l’Italia dovrà rimborsare al mercato oltre 56 miliardi di debito. L’aumento degli spread può costare caro. Con il blocco dei lavori parlamentari gran parte della riduzione delle spese è ora in pericolo. Le Province innanzitutto. Ma anche la spending review e la semplificazione della macchina dello Stato compresi gli incentivi alle imprese (dove è finita la riforma Giavazzi?). I toni della campagna elettorale di Berlusconi (“lo spread non dice nulla, serve solo a schiavizzare l’Italia”) rischiano di affossare oltre al fiscal compact anche la riforma dello Stato che per essere realizzata richiede almeno cinque anni.  Monti ha detto a Cannes che c’è il rischio di “promesse illusorie” per ricercare il successo politico. Le dimissioni di Monti hanno ripulito il terreno da tante scorie. De Rita ha così commentato l’eredità degli ultimi venti anni: ”Perché dobbiamo sopportare governi in cui tutti vogliono governare, ma nessuno è d’aiuto al nostro stress di sopravvivenza?”   Basti pensare che la crisi di governo, provocata da Berlusconi, lascia sul binario morto il 76% delle misure che debbono ridisegnare lo Stato a cominciare dal titolo Vi della Costituzione e dal finanziamento dei partiti. Una riforma che dovrebbe mettere sotto controllo la spesa delle Regioni e ridimensionare il costo della politica valutato in oltre 80 miliardi di euro all’anno. Solo il Ddl sulla stabilità troverà semaforo verde, secondo gli accordi raggiunti da Napolitano con Pdl e Pd. Si tenta di includervi anche il salva-infrazioni, le proroghe e Tfs agli statali e forse la delega fiscale.  Si coglie in giro una diffusa  richiesta di cambiamento. Si volta pagina.

Scritto da Guido Colomba, membro del Direttivo AssoFinance – Direttore responsabile “The Financial Review”.

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