FED e BCE: Le sfide delle politiche monetarie tra tagli e inflazione

FED e BCE: Le sfide delle politiche monetarie tra tagli e inflazione

Milano, 12 giugno 2024. A cura del Team di gestione di Pharus.

Con la reporting season ormai conclusa, che si è tradotta nell’ennesima revisione a rialzo delle stime di crescita utili da parte degli analisti, a dominare la scena sui mercati negli ultimi giorni abbiamo avuto l’uscita di diversi dati macro insieme alla decisione sui tassi da parte di alcune banche centrali tra cui la BCE.

I dati macro in uscita sono risultati mediamente al di sotto delle attese, con gli indici di sorprese economiche sui minimi dal 2019, e sembra si stia iniziando a creare nei mercati il sospetto che un brusco rallentamento dell’economia americana potrebbe essere in corso. 

Alcuni dati soft come il PMI oppure di fiducia come l’ISM sono risultati in deterioramento, così come brutte indicazioni sono arrivate da alcuni dati del mercato del lavoro con ADP più bassi e Jobless superiori alle attese.

Abbiamo però anche avuto altri dati sul mercato del lavoro che hanno sorpreso invece per la loro forza: in particolare il dato di venerdì scorso sulle buste paga per il settore non agricolo è uscito a 272.000 ben al di sopra delle attese di 180.000 e dei così detti dati sussurrati che si attendevano 165.000. 

Un dato molto forte, accompagnato però dalla solita revisione a ribasso del dato del mese precedente insieme ad un tasso di disoccupazione sopra le attese e una crescita salariale più alta del previsto, in un insieme di dati estremamente complessi da decifrare che mediamente sono risultati inferiori alle attese, ma se letti singolarmente appaiono molto controversi e in grado di cambiare totalmente la narrativa dei mercati tra un dato e l’altro. Il mercato fino a due settimane fa era schierato per il no landing ma ora inizia a scontare una qualche forma di atterraggio morbido, con un rischio concreto possa però diventare un atterraggio duro se la FED dovesse ritardare troppo sui tagli dei tassi.

La realtà è che la lettura dei dati macro è oggi più complessa che mai, e i dati stessi diventano, a dire il vero, sempre meno affidabili - basti pensare che molti dati vengono ampiamente corretti da algoritmi statistici oppure destagionalizzati prima di essere presentati. Come se non bastasse gli stessi dati vengono spesso rivisti nei mesi successivi, facendo perdere l’affidabilità del dato stesso.

Per non parlare dei dati costruiti facendo indagini, sempre più numerosi e ritenuti da molti economisti non più credibili.

Il dato macro rende estremamente difficile leggere la realtà presente, e questo è vero non solo per gli investitori ma anche per le banche centrali, che dipendono però da questi dati nelle decisioni di politica monetaria, sulle quali a loro volta gli investitori sembrano molto sensibili nell’indirizzare le loro decisioni di investimento. Un circolo vizioso di non senso per l’investitore razionale che è consapevole di questa scarsa affidabilità dei dati macro e si affida invece ad una lettura più statistica della storia e guarda al futuro con gli occhi delle aziende che durante la stagione degli utili sono in grado di offrire spunti molto interessanti sull’evoluzione del business e sull’andamento della domanda e dell’economia in generale. 

La storia insegna che la lettura sull’andamento del business, fornita dall’amministratore delegato o dal management team di una azienda che sono in quel settore da decenni oppure da generazioni e conoscono ogni piccola sfumatura del settore, sia molto più affidabile di ogni dato macro. 

Da questo punto di vista, stiamo evidenziando da molte settimane diverse aziende, soprattutto nel settore dei consumi discrezionali, che nel commentare i loro risultati trimestrali hanno evidenziato un deterioramento della crescita che in alcuni casi si è già tradotto in profit warning. Un deterioramento della crescita che non dovrebbe sorprendere, in quanto sarebbe perfettamente in linea a quello che è sempre successo nella storia, dove c’è sempre stato un leg temporale tra gli effetti di trasmissione delle politiche monetarie e le crescite economiche.

Parlando di crescite economiche, sta facendo molto discutere in questi giorni il deterioramento del GDP Now calcolato dalla FED di Atlanta. Il GDP "Now" è una stima in tempo reale della crescita del prodotto interno lordo degli Stati Uniti misurato dalla FED di Atlanta, ed è ritenuto un indicatore molto affidabile della crescita in atto. Questa stima si trova ora al 3%, ma quello che sorprende è che era arrivato a segnare l’1.8% rispetto al 4% di sole 2 settimane fa. Un andamento non molto in linea alla narrativa del no landing e dell’economia molto resiliente di consenso fino alla scorsa settimana.

È stata anche la settimana in cui la BCE, dopo la banca centrale Cinese, quella Svizzera e sempre in settimana quella Canadese, ha dato avvio al tanto atteso taglio dei tassi.

La BCE ha mantenuto la sua promessa e ha consegnato al mercato un taglio dei tassi di interesse di 25 centesimi per la prima volta dal 2019, ma anche in questo caso i mercati sono stati un po' sorpresi dai toni da falco usati nel comunicato ufficiale e durante la conferenza stampa in cui la Lagarde ha rivisto a rialzo le stime sull’inflazione per i prossimi due anni e non ha fornito alcuna indicazione sul futuro percorso dei tassi, dichiarando che valuteranno meeting per meeting in base ai dati raccolti  e che manterranno i tassi ufficiali sufficientemente restrittivi per tutto il tempo necessario fino a raggiungere l’obiettivo del 2% di inflazione.  

Questo ha portato le aspettative di mercato ad incorporare il prossimo taglio a settembre con il 55% di probabilità, con un successivo taglio a dicembre con il 52% di probabilità.

Parlavamo all’inizio dell’articolo della revisione a rialzo delle stime sugli utili da parte degli analisti, come risposta alla buona reporting season. La nostra sensazione è che prima o poi il mercato inizierà a realizzare che su alcuni titoli si stanno scontando aspettative troppo ottimistiche e questo non sarà preso bene dalle large-cap che trattano a valutazioni non sostenibili e che pesano moltissimo nella crescita complessiva del mercato attesa per fine anno dal consenso. Ci aspettiamo di iniziare a vedere i fondamentali delle società a grande capitalizzazione statunitensi affrontare maggiori pressioni, che si tradurranno in revisioni a ribasso per quei titoli e settori dove le aspettative sono oggi troppo generose. 

Quando i fondamentali iniziano a scricchiolare, in genere sono guidati da un deterioramento dei ricavi prima che degli utili, e questo trimestre segna il terzo di fila dove si registrano delle sorprese negative in termini di crescita del fatturato.

Questo scenario di possibile deterioramento delle crescite utili sembra essere supportato anche dalle ultime guidance fornite delle società a grande capitalizzazione statunitensi, con 64 società che hanno riportato per il 2Q24 delle guidance negative, un numero che è superiore delle medie a 5 e 10 anni, con 1/3 delle guidance negative che sono state emesse dal settore Tech.

La buona notizia è che nei mercati permangono anche molte aree di sottovalutazione che a livello geografico continuiamo a vedere in Europa, UK, nelle Small Caps americane, senza dimenticare la Cina.

Continuiamo a vedere grandi sottovalutazioni in alcuni dei settori più difensivi e nei business model più semplici da comprendere (come ad esempio il settore dei consumi non discrezionali). Crediamo che la selettività all’interno dei mercati azionari sia ora più che mai fondamentale. Meno selettivi perché le opportunità sono ad ampio raggio nel mondo dei governativi, dove vediamo grande valore nella duration su cui ci attendiamo significativi benefici per i portafogli nei prossimi mesi.

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